venerdì 27 febbraio 2009

Gli stucchevoli obamisti di sinistra e la lezione di Marat

Il 17 giugno 1789 i deputati del Terzo stato ruppero con la legalità dell’ancien régime e si costituirono in assemblea nazionale. Il 20 giugno giurarono di non separarsi e di riunirsi “fino a che la costituzione non sia stabilita e affermata su solide basi”. Il 27 giugno, dopo diversi tentativi di intimidazione dei rappresentanti del terzo stato, Luigi XVI ratificò il fatto compiuto del 17 giugno e invitò “il fedele clero e la sua fedele nobiltà ad unirsi al terzo stato”. Gli ingenui esultarono. Ma Luigi Capeto prendeva solamente tempo e cospirava, insieme al Consiglio e alla famiglia reale, per preparare una nuova notte di san Bartolomeo. Il 26 giugno, il giorno prima della recita da monarca costituzionale, il re dette l’ordine di mobilitazione di sei reggimenti di guardie svizzere. Il primo di luglio ordinò la mobilitazione di dieci reggimenti di ussari tedeschi. Ma al mondo oltre agli ingenui ci sono anche i rivoluzionari e, uno fra i più grandi, Jean Paul Marat pubblicò, il primo di luglio, un opuscolo in cui chiamava borghesi, sanculotti e plebei alla vigilanza ed alla mobilitazione:“concittadini! Osservate sempre la condotta dei ministri, onde regolare la vostra. Il loro obiettivo è lo scioglimento della nostra assemblea nazionale, l’unico mezzo per fare ciò è la guerra civile. I ministri intendono aizzare la sedizione!...E intanto vi circondano con l’imponente apparato dei soldati, delle baionette”. Mentre l’assemblea nazionale discuteva sull’organizzazione della guardia nazionale, le masse parigine assaltarono Les Invalides, portarono via 32.000 fucili e, poi, si diressero alla Bastiglia. Luigi XVI, che non capì la lezione, continuò a cospirare ma l’energia delle masse ed il realismo dei giacobini le fecero fallire ed il 21 gennaio 1793 il re fu ghigliottinato. Gli antigiacobini di professione hanno sempre sprecato parole per attribuire a Marat ed agli altri rivoluzionari quell’insieme di sciocchezze che chiamano la “cultura del sospetto”, la “demonizzazione dell’avversario”, la “paranoia rivoluzionaria”. Aria fritta per nascondere ciò che le persone di buon senso chiamano realismo. Ma i nemici della rivoluzione sono nemici dei rivoluzionari e cercano di screditarli con tutti i mezzi a loro disposizione.
Anche gli stucchevoli obamisti di sinistra continuano a non capire la lezione di Marat. La rivista statunitense The Nation ed il Manifesto hanno impegnato notevoli energie per illudere la sinistra che l’ex senatore dell’Illinois rappresenti un’alternativa.
Ida Dominijanni, nei giorni dell’ “incoronazione” di Obama, scambiando i suoi desideri con la realtà, scriveva: “ sulla relazione con le folle che lo hanno eletto e con le loro aspettative che si deciderà alla fine la partita del primo presidente americano del XXI sec:, una partita che si gioca sì su due tavoli della crisi e della politica estera, ma prim’ancora su quello della reinvenzione della democrazia…..La sua forza sta nella relazione con loro, con quelle voci che dice di portarsi appresso nello studio ovale, e senza di esse diventerebbe debolezza”. Ci ha pensato l’ex ammiraglio Dennis Blair, il gran capo degli spioni del governo Obama, come questo intenda agire con “le folle”. Nel discorso fatto giovedì 12 febbraio di fronte al Comitato per i servizi del senato, Dennis Blair ha detto che la principale preoccupazione per la sicurezza degli USA, cioè dell’élite dominante di questo paese, è la crisi economica mondiale e gli effetti di questa sulla classe lavoratrice e sulle masse sfruttate(world socialist web site, 14 febbraio). A coloro che confrontano questa crisi con la Grande Depressione, ha ricordato che negli anni ’20 e ’30 la crisi economica produsse in Europa e negli USA “instabilità e alti livelli di estremismo violento”. Tradotto dal suo linguaggio sbirresco-burocratico, la crisi economica in quegli anni produsse, in Europa, movimenti rivoluzionari che si lanciarono alla conquista del potere. La “reinvenzione” della democrazia che ha in testa il governo Obama è quella di schierare l’esercito contro le lotte dei lavoratori e non di certo contro gli obamisti che si fanno ipnotizzare dai guitti del rock and roll. A. Portelli, lo è al punto da aver avuto “momenti di perplessità, ascoltando Obama, quando chiama ancora ‘guerra’ la lotta al terrorismo”(L’America di Obama).
Eppure tutto il mondo sa che dal 1 ottobre dell’anno scorso sul suolo degli Usa è schierato il “First Brigade Combat Team” della terza di divisione di fanteria sotto gli ordini del NorthCom comando interforze armata creato da Bush nel 2002, e su cui Obama non ha aperto bocca. Il colonnello Roger Cloutier, intervistato dalla rivista Army Times( 8 settembre 2008), disse che la brigata possiede le cosiddette armi non letali “progettate per assoggettare individui rivoltosi e pericolosi nel quadro del controllo delle folle”. La “dottrina militare”, ad uso interno, del governo Obama è il documento dell’Istituto di studi strategici del USA Army College (KNOWN UNKNOWNS: UNCONVENTIONAL “STRATEGIC SHOCKS”) il cui estensore è il tenente colonnello Nathan Freier. La sostanza di questa “dottrina” è così riassumibile: “una violenza civile diffusa all’interno degli Usa costringerebbe il personale militare a riorientare all’ultimo momento le priorità per difendere l’ordine nazionale…Un governo americano e un personale militare cullati nella soddisfazione di un ordine interno sempre sicuro sarebbero costretti a disimpegnare da alcuni o da gran parte degli impegni esterni di sicurezza per affrontare un’insicurezza umana in rapida espansione in patria”( N. Freier). Quanto sia a rischio la democrazia politica nel nord America lo esemplifica quanto è successo in Canada: il parlamento canadese ha ripreso le sue normali attività il 26 gennaio, un mese e mezzo dopo che la sua attività fu sospesa per decreto dal governatore generale per evitare il voto di fiducia che avrebbe messo fine al governo conservatore.
Eppure Obama ha da sempre dichiarato che avrebbe rafforzato la guerra in Afghanistan estendendola al Waziristhan, dove in questi giorni i killer dell’aviazione hanno bombardato. Bastava questo dato per vedere chi è Obama: l’ultimo tentativo, sotto la stretta tutela dei vertici militari, di controllare le masse statunitensi nel quadro dell’attuale regime politico liberale. Obama è convinto di ottenere il consenso alla sua politica di guerra perché la conduce in nome di quella sporca ideologia chiamata islamo-fascismo. Non è un caso che Obama è stato votato da quel rinnegato di Christopher Hitchens, teorico della guerra per esportare la democrazia. L’ideologia dell’islamo-fascismo ha lo scopo di mistificare lo stato delle cose in Afghanistan: non una guerra imperialista contro una resistenza nazionale, ma la “liberazione” di quel paese dagli islamo-fascisti. Il movimento socialista internazionale non sarà credibile fra le masse di quel paese se non quando rovescerà qualche governo imperialista e ritirerà da quel paese le truppe coloniali. Il fine del governo Obama in quella zona è lo stesso del governo Bush: il controllo del petrolio nell’Asia centrale. Ma per il governo Obama la situazione si aggrava per le difficoltà logistiche di rifornimento, dopo la straordinaria azione della resistenza nazionale che, nel dicembre 2009 in Pakistan, a Peshawar (tre milioni di abitanti), distrusse completamente 300 tra Humvees ed autocarri. Nonostante il governo pakistano, per conto degli imperialisti, abbia occupato il passo Kiber ed esegua rappresaglie nella regione, gli approvvigionamenti via Pakistan (l’80 %) sono sempre più difficili e neanche il raddoppio dei militari voluto da Obama riuscirà a sconfiggere la resistenza nazionale afgana.
Per quell’area politica internazionale, che va dall’americana The Nation, all’italiano il Manifesto - che non si sono mai liberati dal cancro del VII congresso dell’internazionale stalinizzata e dalla tattica dei fronti popolari, e per questa ragione sono sempre sostenitori di qualche borghese a cui affibbiano l’etichetta di ‘illuminato’ - la comparsa di Obama è stata provvidenziale, perché costituisce un nuovo argomento contro i marxisti che si battono per l’indipendenza politica delle masse dai padroni di ogni tipo e colore. Gli obamisti di “sinistra”contribuiscono a indebolire le masse, perché le spingono a mettersi nelle mani dell’ “illuminato” di turno.
Obama ha così poco a cuore quelle “folle” che vuole portare nello “studio ovale” da non pronunciare mezza sillaba, quando per ottenere il voto dei due senatori repubblicani sono stati tagliati dal suo Stimulus bill 17 miliardi stanziati per la costruzione di nuove scuole e per le riduzioni fiscali alle famiglie dei salariati. Ma questo gli obamisti di “sinistra” non lo dicono. Il settimanale on line ‘manifestosardo’ ha visto nella “solidarietà” demagogica di Obama verso la lotta dei 240 lavoratori della Repubblic Windows & Doors il segno di “un’aria nuova”. Invece non dice nulla sull’assenso di Obama all’ultimo attacco del governo Bush alla classe operaia della General Motors: subordinare i dollari ai padroni di GM alla condizione che i lavoratori non debbano più scioperare e mobilitarsi. Il primo passo verso la liquidazione dei diritti sindacali. Il caso General Motor è utilizzato dall’oligarchia finanziaria americana per assestare alla classe salariata un colpo tale da riportarla alle condizioni degli anni trenta e abolendo tutte le conquiste che in quegli anni furono strappate a Roosevelt con scontri feroci con la guardia nazionale e gli sbirri privati. Per quanto riguarda le famiglie intrappolate nel debito dei subprime gli aiuti di circa 75 miliardi saranno destinati a coloro la cui rata non superava il 31% del reddito lordo del proprietario ma negli ultimi mesi era arrivata fino al 40/50 del reddito. I 75 miliardi riguardano nove milioni di persone. Ma gli aiuti non risolveranno nulla perché sono relativi ad una condizione di bassi salari e di disoccupazione crescente. Inoltre c’è da aggiungere la seguente considerazione: nel febbraio del 2008 ci fu lo Stimulus act del governo Bush ( anche questo un “piano di aiuti” per gli intrappolati nei subprime) che non risolse assolutamente nulla. Se Obama avesse avuto a cuore le “folle”, per decreto avrebbe potuto abolire i debiti contratti dalle famiglie per acquistare la casa e confiscare i beni di amministratori delegati e membri dei consigli di amministrazione. Per gettare fumo negli occhi ha proposto un tetto di 500 mila dollari allo stipendio di quelli. Ma 500mila dollari sono pari a 12 volte il salario annuale di un lavoratore medio americano. Gli Obamisti che invece di ragionare sui fatti ragionano sul simbolico, che invece di ragionare sui ministri e consiglieri di Obama, si fanno abbagliare dai concerti rock, da subito avrebbero dovuto prendere in considerazione la chiamata di Paul Volcker a capo dei suoi consiglieri economici. Presidente della Federal Riserve dal 1979 al 1987, nominato per la prima volta dal presidente democratico Carter e poi riconfermato nel 1983 da Reagan, “ Volcker è la minaccia più pesante per la classe operaia. Nessun altro individuo nella storia moderna degli USA ha avuto, come lui, la responsabilità di aver creato intenzionalmente una massiccia disoccupazione per abbassare i salari e spezzare la resistenza della classe operaia. Lui dette il via alle politiche che distrussero settori interi dell’industria e la crescita smisurata della finanziarizzazione dell’economia americana”( Patrick Martin, World socialist web site 29 novembre).
The Nation, oracolo Usa degli stucchevoli obamisti di “sinistra”, di fronte alla realtà dei fatti si avviluppa nell’idiozia: “Certo Obama si sta comportando da centrista e da pragmatico, ma viviamo in tempi straordinari e il suo può essere il modo giusto per ottenere risultati in un ottica progressista” ( Corsera 13 gennaio). I trotskisti americani, al contrario dei preti rossi dei due lati dell’Atlantico, chiamano i lavoratori “ a rifiutare il ricatto delle imprese, del governo e della burocrazia sindacale e a preparare la resistenza militante con scioperi di massa e mobilitazioni contro i licenziamenti, la chiusura delle fabbriche, la riduzione dei salari e delle pensioni”.
La legislazione protezionista di Obama, il Buy american, non differisce in nulla dalla politica protezionista iniziata nel giugno 1930 lo Smoot-Hawley Tariff Act, una forma politica della concorrenza interimperialista che portò alla II guerra mondiale imperialista. Il Buy American è la risposta di Obama alle richieste dei grandi gruppi dell’acciaio. Nello scorso dicembre 2008 le tonnellate di acciaio sfornate erano inferiori del 46% a quelle dello stesso mese del 2007. Col Buy American i produttori americani hanno eliminato dagli appalti pubblici i loro concorrenti cinesi, indiani, brasiliani e russi. Adesso i gruppi Usa si preparano a una campagna anti-dumping per eliminare i loro concorrenti da quell’area di mercato (100 miliardi di dollari) non protetto dalla legislazione protezionista di Obama. Nel Senato Usa è passato un emendamento repubblicano che impone rigide limitazioni all’assunzione di stranieri alle banche assistite dallo stato, limitazioni finora riservate alle aziende con oltre il 15% di lavoratori stranieri. Se diventerà legge oltre 300 banche dovranno adottare quelle misure. Originariamente l’emendamento proponeva il divieto totale di assunzione per gli stranieri. E’ stata modificata tenuemente per avere l’approvazione dei due rami del parlamento Usa. Tutti sanno che il prossimo anno ci saranno forti scontri valutari tra gli Usa e la Cina e che Geithner, il segretario al tesoro, ha aperto le danze accusando il governo cinese di “manipolare il cambio”. Chissà se oggi Ida Dominijanni ripeterebbe quanto scriveva qualche mese fa: “ [Obama] incarna nella sua pelle e nella sua biografia il presente e il futuro meticcio, transnazionale e transculturale del mondo globale”. Noi pensiamo che individui come la giornalista del Manifesto, pur di non schierarsi in modo franco nella lotta di classe internazionale e di non rivendicare la parole d’ordine storica, proletari di tutto il mondo unitevi , continueranno nell’opera intrapresa.
Il piano Obama ed il piano Geithner (2000 miliardi di dollari per le banche) sono destinati ad aggravare la crisi perché aumenteranno i già stratosferici debiti pubblici. W. Gale vicepresidente della Broocking Institution ( al servizio di Obama) ha ammesso che “la prossima bolla finanziaria sarà proprio quella del debito pubblico, il debito degli stati. E’ più facile che, tra qualche anno, a dichiarare il default sul suo debito sia la Gran Bretagna piuttosto che società private come McDonalds”(Corsera 11 febbraio). Il Coordinamento internazionale per la rifondazione della IV internazionale tra l’estate e l’autunno del 2008 individuava nella questione del debito pubblico, cioè nella solvibilità degli stati, il salto di qualità della crisi che diventava politica. Ecco perché il governo Obama è un governo sotto la tutela dei vertici militari. Il giornalista borghese Marco Margiocco, commentando la somma dei vari piani dei governi Usa, circa 7500 dollari pari al doppio di quanto fu speso nella II guerra mondiale imperialista dal governo Roosevelt, si è chiesto quale sarà la reazione degli “americani” che “ intanto, tra minusvalenze immobiliari, dei piani pensione, dei risparmi ne hanno già persi 13 mila”(Sole24ore).
Giulio Tremonti ha confessato sul Corriere della sera del 12 febbraio che “ l’ottimismo della volontà” gli deriva “dalla forza simbolica del nuovo presidente che dalla forza del suo piano”. Per Tremonti sino ad oggi ci sono stati “quattro mostri”: la crisi dei subprime, il collasso del mercato, la bancarotta delle maggiori istituzioni bancarie, il collasso delle borse. Ma “nascosti dietro l’angolo, ci sono il quinto mostro (le carte di credito), il sesto (le possibili bancarotte di società prodotte dalle difficoltà di declassamento dei loro corporate bond) e il settimo i derivati, simbolo della finanza. I derivati nel loro crescente importo sono 12,5 volte il Pil del pianeta”. A modo suo Tremonti conferma quanto il Coordinamento internazionale per la rifondazione della IV internazionale sostiene dalla fine del 2007, che questa crisi è inarrestabile.
Gli obamisti di sinistra e, fra questi, Naomi Klein tentano di ridicolizzare il marxismo, attribuendogli una concezione messianica, escatologica della crisi. Recensendo il libro della Klein, “The shock Doctrine: the rise of Disaster capitalism”, il trotskista australiano Nick Beans ha scritto che “l’amalgama di sciocchezze contenute nel libro, non è il prodotto dell’ignoranza. Klein ha scelto accuratamente le parole. Lei vuole che il pubblico, come i promotori dei suoi libri sappiano chiaramente che non è associata ad alcuna forma di programma marxista avente come obiettivo la fine del sistema capitalista”(world socialist web site,5 marzo 2008). Questo vale per tutti gli obamisti di sinistra. Le masse si rivolteranno, ma loro non vorranno essere associati a chi come noi chiarisce alle masse che la questione di fondo è la conquista del potere.
Quanto il trotskista americano James Patrick Cannon - in prima fila nelle lotte dei camionisti di Minneapolis nel 1934 - diceva della coscienza di classe dell’eroica sezione sindacale 574 del sindacato dei camionisti, è ciò che i lavoratori e le lavoratrici del mondo devono conquistarsi oggi:“La sezione 574 non crede alla teoria secondo la quale il capitale e il lavoro sono fratelli, e che il fratello più piccolo, il lavoro, per guadagnare le briciole, deve essere un gentile piccolo garzone e fare appello ai migliori sentimenti del suo fratello maggiore, il capitale. Per noi la questione tra il capitale ed il lavoro è un combattimento permanente tra la classe dei lavoratori sfruttati e la classe dei parassiti sfruttatori. E’ una guerra. E in questa guerra, come nelle altre ciò che decide è il potere. Gli sfruttatori sono organizzati per schiacciarci. Noi dobbiamo organizzare la nostra classe per contrattaccare”.

Gian Franco Camboni 21 febbraio 2009