martedì 4 agosto 2009

Cacciamo via Paolo Scaroni e Roberto Poli dall’ENI

Volantino che distribuiremo i prossimi giorni al Petrolchimico.

Sotto la direzione di Paolo Scaroni e di Roberto Poli, rispettivamente amministratore delegato e presidente, l’Eni in quest’ultimo trimestre ha dimezzato i profitti. Nonostante questo evidente fallimento i due continuano a percepire stipendi colossali: 3.077.000 euro a Scaroni, 1.131.000 euro a Poli. I due, con la faccia da culo che contraddistingue i grandi sacerdoti del capitalismo, vogliono risolvere la crisi, che loro e le altre facce da culo, come loro, hanno creato.

Coloro che hanno creato la crisi si arrichiscono licenziando e aumentando lo sfruttamento dei lavoratori e delle lavoratrici. I banchieri, le società finanziarie, i capitalisti, gli alti dirigenti dello stato hanno derubato alla classe lavoratrice cifre stratosferiche. Per dare un’idea riportiamo alcuni dati che riguardano i soldi che lo stato ha regalato ai banchieri, ai pescicani della finanza e ai grandi industriali: 10.440 miliardi di dollari negli US, 1.260 miliardi di sterline in Inghilterra e 1.640 miliardi di euro negli stati dell’Unione Europea.

La crisi mondiale in corso è il risultato dell’accumulo delle crisi precedenti (1970-73; 1987; 1997-98; 2001). I governi dei principali capitalisti, come è detto sopra, l’unica cosa che sanno fare è regalare soldi ai capitalisti. Ciò provoca due effetti:
1) licenziamenti di massa a catena;
2) aumento stratosferico del debito pubblico che i governi scaricano sul popolo attraverso i tagli ai servizi sociali ( sanità, scuola, trasporti, nettezza urbana etc.), attacco agli insegnanti, a tutti i lavoratori del pubblico impiego precari e non precari. Ci vogliono ridurre al minimo di esistenza materiale e culturale.
Lor Signori, invece, se la spassano nelle loro lussuose ville. Maledetti!

Ai burocrati non può più essere lasciato in mano il sindacato. Le sue risorse economiche vanno utilizzate per la costruzione di una cassa di sciopero. Non per mantenere degli inetti che dall’ ottobre del 2008 piagnucolano davanti ai prefetti e ai capi politici dicendo “non siamo in grado di controllare i lavoratori”. I burocrati di fronte a questa crisi “sunu puddas imbannidas”. Si erano autoconvinti, per convenienza, che il capitalismo non avrebbe più subito crisi catastrofiche come quella in corso.
Perciò va fatta la lotta, anche, alla burocrazia sindacale. Il burocrate che comprende gli errori fatti e si schiera con i lavoratori, senza alcun dubbio darà un contributo alla lotta e otterrà il rispetto. Ma coloro che continuano a piagnucolare e tradire saranno disprezzati, innanzitutto, dalle famiglie che lottano insieme ai propri padri e ai propri mariti. Di fronte ai figli dei lavoratori che hanno lottato, cosa faranno? Piagnucoleranno, dicendo che i loro padri erano degli esagitati?

Noi del Partito Comunista dei Lavoratori andremo a manifestare pubblicamente, davanti alla sede della CGIL di Sassari, la nostra critica e presenteremo queste proposte:

1) la convocazione di un’assemblea generale dei lavoratori del petrolchimico e delle altre categorie che elabori le forme di lotta contro la direzione dell’ENI e contro il governo Berlusconi;
2) la costituzione di un coordinamento fra i lavoratori di P. Torres e di P. Marghera per organizzare una manifestazione operai davanti alla sede dell’ENI a Roma.

La fabbrica ai lavoratori
La galera ai padroni e ai politicanti corrotti

Coordinamento regionale Partito Comunista dei Lavoratori

domenica 19 aprile 2009

CACCIAMO VIA DALLA NOSTRA TERRA I GOVERNI DEI BANCHIERI, DEI CAPITALISTI E DEI CRIMINALI DI GUERRA

I governi del G8 sanno fare solo una cosa: rapinare i lavoratori e le loro famiglie per regalare il bottino ai banchieri e ai capitalisti parassiti e truffatori.

Berlusconi, che è solo un cafone ed un ignorante arricchito, ha voluto questa riunione in Sardegna per umiliare il popolo sardo. Come al solito ha sparato le solite balle: i lavori per il G8 rilanceranno l’economia del nord Sardegna. Invece, come lamentano gli stessi imprenditori sardi, per le aziende sarde non c’è altro che la catena dei subappalti, per i lavoratori edili sardi il solito sfruttamento: lavoro nero, assenza di sicurezza nei cantieri, salari che vengono pagati in ritardo col soliti sistema degli “acconti” ( “ti pago più tardi”, “abbi pazienza” dicono i “caporali” con i macchinoni comprati facendo debiti, ma senza pagare gli operai).

Invece chi mangia a quattro ganasce sono i grandi gruppi edili favoriti da Berlusconi, da Soru (altro pesecane) e da Prodi. Tutti e tre hanno voluto questa riunione, tutti e tre sono responsabili di questa pagliacciata fatta solo per regalare soldi ai grandi industriali del continente.

Questa catastrofe economica internazionale del capitalismo l’hanno provocata banchieri, capitalisti e i governi a loro servizio. Questa crisi facciamola pagare a loro. Ogni cittadino e ogni cittadina della Sardegna ha il dovere di presidiare tutte le strade, tutte le piazze, tutti gli alberghi per rendere impossibile questa riunione di parassiti e di bugiardi. Facciamogli sentire il nostro disprezzo ed il nostro odio. Questi politicanti che intascano miliardi dai banchieri e dagli industriali loro protettori sono solo degli ignoranti, superficiali, venditori di fumo, ma questa catastrofe economica sta aprendo gli occhi a molti.

Ogni cittadino ed ogni cittadina della Sardegna devono fare in modo che i potenti del mondo scappino via dalla Sardegna e rimanga impresso nella loro mente che il popolo sardo non si fa offendere impunemente.

Uniamo le lotte contro il G8 con le lotte dei lavoratori, a partire da quelli che stanno perdendo il posto di lavoro!
Facciamo pagare la crisi ai veri responsabili, i banchieri e i capitalisti! Cacciamo i loro governi!
Se ne vadano tutti, governino i lavoratori!


Gherra, gherra a s’egoismu
Gherra, gherra a s’oppressore

sabato 4 aprile 2009

Testo del volantino del PCL in occasione della manifestazione nazionale CGIL del 4 aprile

(3 Aprile 2009)

DARE UNA PROSPETTIVA A QUESTA GRANDE MANIFESTAZIONE APRIRE UNA LOTTA VERA, RADICALE, A OLTRANZA

NON PER PARTECIPARE, MA PER VINCERE.

L’imponente manifestazione di oggi- cui il PCL da’ la sua piena adesione- non può finire su un binario morto. Di fronte all’enormità della crisi e alle politiche reazionarie di Berlusconi, le sole manifestazioni trimestrali e gli scioperi dimostrativi sono del tutto insufficienti . E’ necessaria una svolta radicale di lotta, unitaria e di massa.
In tutta Europa si vanno sviluppando, in maniera diversa, forme di lotta radicale, sino ad evocare una vera rivolta sociale. E’ ciò che la borghesia teme come la peste. Invece in Italia Epifani si vanta sul Corriere della sera di “ saper evitare l’esplosione della rabbia sociale come in Grecia e in Francia” con l’intento di tranquillizzare Confindustria. E questo nel momento in cui, paradossalmente, la Cgil è all’opposizione del governo.
Così non va. Non si può fare opposizione a Berlusconi cercando di tranquillizzare Marcegaglia. Non si può contrastare efficacemente le politiche del padronato e del governo con manifestazioni rituali una tantum: che certo sono un’importante espressione di dissenso, ma che non incidono sui rapporti di forza reali. E che per di più vedono spesso assurdamente divisi la Cgil e i sindacati di base.
E’ necessaria una vera prova di forza contro le classi dirigenti del paese. La piazza di oggi ci dice che è possibile.
Proponiamo che tutte le organizzazioni sindacali del mondo del lavoro, dalla Cgil (a partire dalla Fiom) a tutto il sindacalismo di base, convochino unitariamente una grande assemblea nazionale di delegati eletti che promuova una svolta di lotta.
Proponiamo l’apertura di una grande vertenza generale del mondo del lavoro, dei precari, dei disoccupati, che sfoci in una mobilitazione prolungata ( sino ad uno sciopero generale ad oltranza), che si combini con l’occupazione delle aziende in crisi e con la costituzione di una cassa nazionale di resistenza.
Proponiamo una piattaforma di lotta unificante che miri a ricomporre tutto ciò che la crisi tende a dividere; che parta dalla rivendicazione del blocco generale dei licenziamenti, della ripartizione tra tutti del lavoro che c’è ( con la riduzione progressiva dell’orario a parità di paga), di un grande piano di opere pubbliche di utilità sociale, dell’assunzione a tempo indeterminato di tutti i precari ( con l’abolizione di tutte le leggi di precarizzazione del lavoro), di una vera indennità per tutti i disoccupati ( non inferiore ad almeno 1000 euro netti mensili detassati), del permesso di soggiorno per tutti i lavoratori immigrati; e che soprattutto dica: “Paghi chi non ha mai pagato”. A partire dalle grandi imprese e delle banche, che vanno nazionalizzate, senza indennizzo per i grandi azionisti, e sotto il controllo dei lavoratori: una soluzione che garantirebbe i posti di lavoro e consentirebbe il risparmio di enormi risorse pubbliche, oggi regalate a banchieri e capitalisti, destinandole al lavoro, ai salari, a vere protezioni sociali.
Questa svolta di lotta non solo è possibile, ma è la condizione decisiva per dare una prospettiva alla grande manifestazione di oggi, per ricomporre la più vasta unità dei lavoratori, per ottenere risultati. Perchè l’esperienza dice che solo la forza di massa può strappare conquiste nuove e difendere conquiste vecchie. A chi obietta che questa proposta d’azione è “incompatibile” con le attuali regole del gioco, rispondiamo che è vero: infatti solo rompendo le regole del gioco di questa società capitalista, si può aprire il varco di un’alternativa vera. Solo la lotta per cacciare i capitalisti e i banchieri, e per affermare un governo dei lavoratori può dischiudere una prospettiva nuova. Il resto è un film già visto (e subìto), troppe volte.
In ogni caso il PCL- unico partito della sinistra a non essersi mai compromesso con le politiche antioperaie- impegna le proprie forze, in ogni luogo di lavoro e in ogni sindacato, per questa svolta unitaria e radicale del movimento operaio. E chiede pubblicamente a tutte le sinistre, politiche e sindacali, di realizzare un fronte unico d’azione su questo terreno decisivo.
IL PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI HA AVVIATO UNA CAMPAGNA NAZIONALE PER LA NAZIONALIZZAZIONE DELLE AZIENDE IN CRISI E DELLE BANCHE, CHE STA GIA’ REGISTRANDO L’ADESIONE DI NUMEROSE STRUTTURE SINDACALI E DIRIGENTI SINDACALI ( A PARTIRE DAL LIVELLO DELLE RSU). IL TESTO DELLA CAMPAGNA SI PUO’ TROVARE SUL SITO DEL PARTITO(pclavoratori.it). SE INTENDI DARE L’ADESIONE, PUOI INVIARLA ALL’INDIRIZZO DEL PCL (info@pclavoratori.it) indicando nome e cognome, carica sindacale, luogo di lavoro.

venerdì 3 aprile 2009

Documento degli studenti del PCL

(3 Aprile 2009)

domenica 29 marzo 2009

LA CRISI LA PAGHINO I PADRONI E I BANCHIERI!

“Noi la crisi non la paghiamo!”: questo slogan ha infiammato e infiamma tuttora le lotte delle nuove generazioni di tutta Europa, dall’Italia alla Grecia. Una nuova generazione che si affaccia alla lotta di classe non sente più parlare dei miti fasulli e menzogneri sulla “fine del comunismo” o su un “nuovo ordine mondiale” che sarebbe sopraggiunto dopo la caduta del Muro di Berlino, ma prova in maniera reale sulla propria pelle il costo di una crisi catastrofica del capitalismo che porta tutti i governi capitalisti ad attaccare pesantemente i posti di lavoro, i salari, lo stato sociale, il diritto allo studio e in generale le condizioni di vita dei lavoratori e dei loro figli.
E’ in questo contesto che si è svolta la lotta esemplare degli studenti italiani (insieme a genitori, insegnanti e lavoratori della scuola) contro i tagli criminali del governo Berlusconi sui fondi destinati alla scuola e all’università pubbliche, e contro il progetto di controriforma della ministra Gelmini.
PERCHE’ L’”ONDA” NON HA VINTO?
Tuttavia la sconfitta subita dal movimento con l’approvazione dei decreti e la fine delle mobilitazioni ci impongono una seria riflessione per capirne le cause e per non ripetere gli stessi errori nell’ipotesi di un rilancio del movimento.
A questo scopo è utile confrontare l’”Onda” italiana con esperienze di lotta vittoriose, come il movimento anti-Cpe in Francia, che attraverso una lotta esemplare di studenti e lavoratori uniti è riuscito a sconfiggere l’odioso Contratto di Primo Impiego. In Italia invece, la mancanza di una prospettiva concreta della lotta e la mancanza di una vera prova di forza contro il governo (nella convinzione che una vittoria si potesse ottenere facendo più kilometri possibile nei cortei) hanno progressivamente sprecato le forze e portato gli studenti ad abbandonare gradualmente la lotta.
La prova di forza contro i governi si fa soltanto con l’unità di lotta tra studenti e lavoratori, ciò che ha permesso in Francia di creare un movimento di massa che ha sconfitto il governo Chiraque, uno dei più reazionari , sul Cpe. Chi sostiene, come la Rete per l’Autoformazione (disobbedienti) che ha diretto in maniera autoritaria il movimento a Roma, che “la classica parola d’ordine dell’unità studenti-operai è oggi definitivamente superata” (www.uniriot.org) mistifica la realtà e non ha a cuore la vittoria del movimento ma soltanto interessi burocratici di controllo su di esso, come hanno dimostrato Francesco Raparelli e la relativa linea politica “post autonoma”.E’ quando scende in campo la classe operaia, cioè chi manda avanti la produzione, che i padroni e i loro governi cominciano ad avere paura ed è possibile perciò creare prove di forza vincenti. Nascondendo questa realtà i disobbedienti non hanno fatto altro che indebolire la lotta.
E proprio questa burocrazia ha impedito una qualsiasi forma democratica di partecipazione degli studenti al movimento; per paura di perdere il controllo su di esso hanno rifiutato e combattuto con metodi autoritari la forma di organizzazione più democratica che possa esistere per una lotta e che ha animato le esperienze di movimento vittoriose operaie e studentesche: un coordinamento a vari livelli (da quello d’ateneo a quello nazionale) formato da delegati eletti dalle assemblee degli studenti e revocabili in qualsiasi momento dalle stesse. Questo principio è profondamente diverso da quello della delega borghese, fatto di deputati e senatori corrotti che non rispondono a nessuno del loro mandato. Il coordinamento per delegati è al contrario la forma di democrazia più diretta che avrebbe consentito, oltreché di centralizzare e coordinare meglio la lotta, di coinvolgere la massa degli studenti attivamente nel dibattito all’interno del movimento.
AUTORIFORMA O LOTTA IN DIFESA DELL’UNIVERSITA’ PUBBLICA?
Altro elemento centrale che ha rappresentato un punto debole è stato la proposta centrale appioppata dai disobbedienti al movimento della cosiddetta “autoriforma” incentrata sull’”autoformazione”: ma cosa c’è dietro queste parole? Il progetto dei disobbedienti (se ci credono veramente) è quello di costituire nel quadro di un’università scadente dei percorsi di didattica “autogestita” dagli studenti. Oltre a rappresentare una proposta vaga e deleteria, essa implica l’accettazione dell’autonomia universitaria, il primo male che ha partorito tutte le attuali controriforme, e non mette in dubbio il modello universitario attualmente propinato. La questione centrale che si deve affrontare è quella di una lotta per un’università pubblica, gratuita, di massa, di qualità e al servizio delle masse popolari e non dei privati. Soltanto questa piattaforma è in grado di difendere il diritto allo studio e di far diventare la mobilitazione degli studenti una lotta di massa e popolare, coinvolgendo gli altri settori oppressi della società.
PER IL RILANCIO DEL MOVIMENTO, PER L’UNITA’ DI LOTTA STUDENTI-LAVORATORI!
Allo stato attuale, dopo il riflusso, è oggettivamente difficile far ripartire immediatamente una mobilitazione delle dimensioni viste nei mesi scorsi: ma la crisi mondiale sta producendo e preparando in Europa e in tutto il mondo grandi esplosioni sociali contro le condizioni di vita imposte dal capitalismo. Quando i lavoratori e le nuove generazioni torneranno a mobilitarsi sarà necessaria però una svolta nella direzione: servirà una piattaforma di lotta all’altezza della situazione e al di fuori delle castronerie irreali propinate ad esempio dai disobbedienti. Questa è la piattaforma che come Coordinamento Studenti Rivoluzionari abbiamo proposto al movimento e riteniamo sia un punto di partenza indispensabile nel caso di un suo rilancio:
• LOTTA AD OLTRANZA IN DIFESA DELLA SCUOLA E DELL’UNIVERSITA’ PUBBLICH
• PER L’ABROGAZIONE DELL’AUTONOMIA UNIVERSITARIA E DI TUTTE LE CONTRIRIFORME DEGLI ANNI ‘90 A PARTIRE DALLA ZECCHINO-BERLINGUER
• ABOLIZIONE DEI FINANZIAMENTI PUBBLICI AI PRIVATI, MASSICCI INVESTIMENTI PER LA SCUOLA E L’UNIVERSITA’ PUBBLICHE
• PER UN’ISTRUZIONE PUBBLICA, GRATUITA, DI MASSA E DI QUALITA’ E AL SERVIZIO DELLE MASSE POPOLARI
• UNITA’ DI LOTTA COL MONDO DEL LAVORO
• ORGANIZZARE LE LOTTE CON UN COORDINAMENTO PER DELEGATI ELETTI DALLE ASSEMBLEE E REVOCABILI IN QUALSIASI MOMENTO
• CACCIARE BERLUSCONI, PER UN’ALTERNATIVA ANTICAPITALISTA
Sulla base di questo programma proponiamo come CSR un fronte unico di lotta a tutte le organizzazioni che si riconoscono in esso.
Paghi chi non ha mai pagato!
COORDINAMENTO STUDENTI RIVOLUZIONARI – Roma
www.csrstudenti.blogspot.com csrstudenti@gmail.com

venerdì 20 marzo 2009

LA NAZIONALIZZAZIONE DELLE BANCHE, MISTIFICAZIONE E REALTA’. L’ATTUALITA’ DI UNA RIVENDICAZIONE RIVOLUZIONARIA.

Documento di Marco Ferrando.

Il PCL è stato l’unico partito della sinistra a sollevare pubblicamente , nella stessa campagna delle elezioni politiche, la rivendicazione della nazionalizzazione delle banche.

Quando sollevammo questo tema, appena 10 mesi fa, incontrammo una reazione generale di incredulità, scetticismo, o addirittura irrisione. E non solo negli ambienti borghesi liberali, com’è naturale. Ma nell’ambito stesso della sinistra e dei suoi stati maggiori. L’obiezione borghese, ancora imbevuta dell’ipocrisia “liberista,, ci accusava di intollerabile “statalismo”. Gli stati maggiori delle sinistre (PRC- PDCI-SC) irridevano, con sufficienza, al nostro “astratto propagandismo ideologico, che non si confrontava con la realtà”. Ed in effetti..”la realtà” di allora vedeva tutte le sinistre votare un regalo di 10 miliardi di euro alle banche ( tra cuneo fiscale del 2006 e taglio IRES del 2007), pur di compiacere un governo Prodi e un PD che vantavano il sostegno dei principali banchieri. La parola d’ordine della nazionalizzazione delle banche non poteva che suonare lunare alle orecchie del loro mondo.

Da allora sono passati solo 10 mesi. E sull’onda della grande crisi del capitalismo internazionale, l’intero vocabolario ideologico del mondo appare capovolto. Il tema della nazionalizzazione delle banche entra prepotentemente nel dibattito pubblico dominante. Molti vecchi campioni del liberismo borghese si scoprono improvvisamente statalisti, e plaudono all’”intervento pubblico” nel sistema creditizio. Mentre gli stati maggiori della sinistra, totalmente frastornati e politicamente a pezzi, ripetono come un disco rotto il vecchi rosario “antiliberista” col rischio di accodarsi alla truffa delle nazionalizzazioni borghesi : incapaci, ieri come oggi, di una propria proposta indipendente all’altezza della crisi.



LIBERISMO E STATALISMO. IL LINGUAGGIO DELLA CONFUSIONE

La riscoperta ideologica, dal versante borghese, del tema “nazionalizzazioni”, dopo 20 anni di ubriacatura liberista, è tuttaltro che irrilevante. In un certo senso è la misura indiretta della profondità della crisi capitalistica. Il combinarsi della crisi finanziaria e bancaria con la recessione internazionale, e la straordinaria rapidità della dinamica della crisi, hanno scosso profondamente la borghesia mondiale, ponendola di fronte a compiti nuovi, su un terreno largamente inesplorato dalle sue ultime generazioni.

La svolta borghese non è affatto rappresentabile come passaggio “dal liberismo allo statalismo”, se non nello schermo distorto dell’ideologia. Occorre diradare il fumo dell’ideologia per evidenziare la realtà. Nella realtà, la borghesia non è mai stata “liberista” in passato, come non è diventata “socialista”oggi. La borghesia difende sempre, ieri come oggi, in forme diverse e con diversi strumenti, il proprio sistema di oppressione e di sfruttamento. Nella cosiddetta era “liberista”, gli Stati imperialisti hanno svolto un ruolo centrale nella liberalizzazione dei mercati finanziari, nelle privatizzazioni bancarie, industriali e dei servizi, nell’abbattimento del prelievo fiscale sui profitti, nello smantellamento delle protezioni sociali dei lavoratori, nell’imporre ai Paesi dipendenti la rimozione di ogni protezione del loro mercato interno ( mentre erigevano barriere doganali a difesa del proprio mercato dai prodotti di quei Paesi). Il “liberismo” contro i lavoratori e i popoli oppressi era solo il manto ideologico delle politiche statali del capitalismo, entro una nuova competizione mondiale tra Stati. Specularmente, nella nuova fase statalista che si va aprendo, ogni intervento dello Stato nell’economia capitalista non solo non ha nulla di “socialista” o di “progressivo”, ma serve a tutelare il mercato capitalistico dagli effetti rovinosi della sua crisi planetaria. Entro un nuovo quadro di relazioni mondiali segnato dal declino americano e dalla rottura dei vecchi equilibri. Lo “statalismo” o addirittura i civettamenti linguistici con il “socialismo” (“siamo tutti socialisti” titolava New Sweek), sono solo la copertura ideologica delle politiche di salvazione del capitalismo contro i lavoratori e tutte le sue vittime sociali.



LE NAZIONALIZZAZIONI BORGHESI: LA SOCIALIZZAZIONE DELLE PERDITE

La questione “nazionalizzazioni” si pone in questo quadro. Lo sdoganamento borghese di questo termine “proibito” si combina con il rovesciamento di segno del suo significato. Le nazionalizzazioni di cui parlano, in forme diverse, Obama e Merkel, Sarkosy e Berlusconi, Brown e Zapatero, non espropriano banche ma socializzano le loro perdite, ad esclusivo vantaggio dei loro profitti e del loro rilancio . E a carico di lavoratori e contribuenti.

A tutte le latitudini del mondo, le grandi banche capitaliste, protagoniste della ventennale rapina finanziaria, hanno due problemi di fondo: liberarsi dei titoli tossici e ridurre il rapporto tra debito e capitale. Gli Stati e i governi capitalisti di ogni colore si affannano a risolvere questi problemi.

Le forme del loro intervento sono tra loro molto diverse.

Lo Stato può prestare risorse pubbliche alle banche private, o attraverso l’intervento della banca centrale, o attraverso l’acquisto di obbligazioni bancarie ( come i Bond di Tremonti). Una pratica di cui hanno usufruito sinora decine di grandi banche in tutto il mondo ( ma senza risultati..)

Lo Stato può mettere a disposizione delle banche risorse pubbliche sotto forma di “garanzia pubblica dei depositi” dei risparmiatori, al fine di impedire il ritiro dei depositi e di sostenere il valore delle azioni bancarie in Borsa, quindi il patrimonio dei banchieri. E’ ciò che ha fatto in parte il governo Berlusconi con i decreti d’ottobre ( ma le azioni bancarie hanno continuato a calare).

Lo Stato può acquistare i titoli tossici delle banche ( porcherie accumulate con speculazioni e truffe senza confini) e depositarli in una ( o più) cosiddetta “ bad bank”: al fine di ripulire le banche speculatrici e rilanciarle sul mercato. E’ ciò che ha in progetto il decantato governo Obama, con un’operazione calcolata in oltre 1000 miliardi pubblici; è ciò che ipotizza il governo Brown con un investimento di 500 miliardi, e che non escludono i governi tedesco e italiano. E’ l’operazione che è stata fatta in Italia con il Banco di Napoli alla metà degli anni 90. Ed è l’operazione ad un tempo più costosa e più cinica: lo Stato accolla ai contribuenti il costo sociale delle speculazioni per salvare gli speculatori.

Lo Stato può infine acquisire con soldi pubblici pacchetti azionari delle banche in crisi, al fine di allargare il loro patrimonio e salvarle dal fallimento: e può farlo sia con l’acquisizione di quote di minoranza e con azioni prive di diritto di voto ,sia conseguendo in casi particolari la maggioranza azionaria e dunque il controllo pubblico ( come è avvenuto con la Northern Bank in GB). Sono anch’esse operazioni costose per le risorse pubbliche, e sono a termine: lo Stato risana la banca coi soldi pubblici per poi rivenderla agli speculatori privati, quando la bufera è passata, a vantaggio dei loro profitti.( E’ l’operazione fatta dal governo svedese nel 79). Salvo che oggi la bufera non è ordinaria, ha una dimensione mondiale, e le risorse pubbliche oltre una certa soglia scarseggiano.

Sono, come si vede, operazioni di diversa portata su un terreno spesso sperimentale e accidentato, segnato dalla recessione internazionale dell’economia reale, dal rischio default di diversi Paesi dell’Est europeo, dalle contraddizioni esplosive tra i diversi paesi capitalisti. E tuttavia qual è il tratto comune di queste diverse soluzioni? Salvare il capitalismo e i capitalisti dalla loro bancarotta, con risorse sottratte ai salari, alle protezioni sociali, ai servizi pubblici. Sottrarre ulteriori risorse a coloro che hanno sempre pagato per darle a chi non solo non ha pagato mai, ma è il responsabile, da tutti riconosciuto, del grande crak: il banchiere e il capitalista. Chiamare tutto questo “ nazionalizzazioni” è solo la misura dell’ipocrisia borghese. E’ l’eterno tentativo- come diceva Marx- di spacciare per interesse generale l’ interesse particolare della borghesia.



LE SINISTRE: DAL VOTO ALLE PRIVATIZAZIONI ALL’AVALLO DELLE NAZIONALIZZAZIONI BORGHESI

Proprio per questo colpisce l’afasia delle sinistre italiane di fronte a questo scenario. Tutto il riformismo italiano ed europeo ha rimosso da alcuni decenni lo stesso termine “ nazionalizzazione”, persino nella sua torsione riformistica. Nella battaglia interna al PRC, la rivendicazione della nazionalizzazione delle banche, avanzata ostinatamente per 15 anni dalla sinistra rivoluzionaria di quel partito ( futuro PCL), è stata assunta a emblema dell’”estremismo ideologico” da combattere: e non solo dai gruppi dirigenti riformisti, ma dagli stessi dirigenti di Sinistra Critica. “ Ha senso rivendicare solo ciò che è immediatamente ottenibile”, ci hanno spiegato tutti per anni, con aria saccente, contro la rivendicazione delle nazionalizzazioni. Salvo votare, una volta al governo ( o nella sua maggioranza), le..privatizzazioni della borghesia (certo “ottenibilissime” senza sforzo).

Ora che la realtà della crisi capitalistica ha superato il loro limitato immaginario; ora che i circoli borghesi evocano loro stessi le “nazionalizzazioni”, cosa fanno i dirigenti riformisti e centristi? Si accodano “criticamente” alla moda corrente, e avallano “criticamente” le “nazionalizzazioni” della borghesia. La politica economica della nuova amministrazione Obama è salutata dal riformismo italiano con estatica ammirazione: i suoi versamenti stratosferici a grandi imprese e banche sono stati assunti come esempio di intervento pubblico nell’economia e di svolta “antiliberista”. Persino l’evocazione populista di Berlusconi sulle nazionalizzazioni è stata salutata come “una buona idea” da Paolo Ferrero e come “una rivendicazione comunista” dal PDCI, forse con ironia, ma con scarso senso del ridicolo. La proposta testuale del PRC è quella di “acquisire quote di proprietà pubblica” delle banche, e di destinare risorse pubbliche alle imprese “solo in cambio di impegni occupazionali”( v. il volantone di partito al sciopero fiom del 13 febbraio). Ma per quale ragione si dovrebbero spendere soldi pubblici( cioè dei contribuenti lavoratori) per sostenere il patrimonio delle banche, per di più in posizione di minoranza? Per queste misure non serve Ferrero, è sufficiente Brown o Merkel. E quale valore avrebbero gli improbabili “impegni” occupazionali dei capitalisti, a fronte del regalo materiale di nuovi miliardi di euro che Ferrero e Diliberto sarebbero disponibili a concedere loro, alla coda di tutti i politicanti borghesi? I casi di General Motors o di Pegeout o della stessa Fiat non sono sufficientemente eloquenti? . Tanti impegni, tanti soldi pubblici intascati, tanti licenziamenti.

Ma c’è di più: la burocrazia dirigente della CGIL ha sentito il bisogno di dichiarare pubblicamente la propria preoccupazione per l’”autonomia” degli istituti di credito minacciati dall’invadenza “statalista”del governo. Si è schierata con Bankitalia e i banchieri speculatori contro l’invocazione prefettizia di Tremonti. Il che significa che il principale sindacato italiano, nel momento stesso della sua opposizione a Berlusconi è riuscito, in un colpo solo, a difendere i banchieri e a prendere sul serio il Cavaliere, avallando le sue mistificazioni populiste. Come ci si può meravigliare se, nonostante la crisi, il governo continua a raccogliere il ( tragico) consenso di un settore significativo dello stesso mondo del lavoro?

La verità è che la borghesia, a suo modo, si mostra infinitamente più radicale, nel suo stesso linguaggio e propaganda, di chi dovrebbe combatterla. E che una cultura riformista e centrista, impregnata di realismo minimalista e di adattamento alle vecchie regole del gioco, si trova totalmente spiazzata dalla più grande crisi capitalista degli ultimi 80 anni, e dalla stessa disinvoltura della svolta ideologica borghese.



L’ESPROPRIO DELLE BANCHE, QUALE UNICA VERA NAZIONALIZZAZIONE

Questa stessa crisi è invece un’eccezionale occasione storica per l’intervento dei comunisti rivoluzionari. E la questione della “ nazionalizzazione delle banche” è al riguardo paradigmatica.

Ad una borghesia costretta a contraddire, nel modo più clamoroso, tutto il corso ideologico iperliberista post89; costretta per la prima volta sulla difensiva – in campo culturale- dalla grande crisi del capitalismo; costretta a nobilitare, controvoglia, la stessa tematica delle nazionalizzazioni, non si può rispondere col vecchio approccio sindacale e minimale, né con l’armamentario culturale “antiliberista”, se non al prezzo di una nuova subordinazione. Si può e si deve rispondere opponendole un’alternativa di sistema, che restituisca alla rivendicazione della nazionalizzazione il suo significato anticapitalista e rivoluzionario.

Si tratta di far leva sul nuovo linguaggio ideologico della borghesia per rivolgerlo contro di essa. Al salvataggio delle banche a spese dei contribuenti va contrapposto il salvataggio dei contribuenti a spese delle banche: non un soldo alle banche; le banche vengano nazionalizzate, senza alcun indennizzo per i grandi azionisti, e sotto il controllo operaio e popolare ( visto che l’indennizzo se lo sono già pagato con decenni di truffe,rapine, mutui usurai..), mentre lo Stato garantirà pienamente ( a differenza degli attuali banchieri) il piccolo risparmio; e le risorse pubbliche così risparmiate saranno investite in salari, protezioni sociali, servizi pubblici, in tutte quelle voci sociali falcidiate per vent’anni in ogni finanziaria, su pressione delle banche. Una grande banca pubblica, sotto controllo sociale, con dirigenti eletti e revocabili, pagati col salario di un operaio medio,sarà uno strumento formidabile per riorganizzare dalle fondamenta l’intera economia e società.

Come si vede, non si tratta affatto di un approccio astratto e incomprensibile. Al contrario: tutte le rivendicazioni immediate dei lavoratori di fronte alla crisi; tutte le rivendicazioni di difesa del lavoro, di assunzione dei precari, di estensione del diritto di cassa integrazione all’insieme dei lavoratori con l’80% del salario, di reale indennità per tutti i disoccupati, di difesa ed estensione dei servizi pubblici e delle opere di pubblica utilità ( casa, scuola, sanità..), riconducono all’interrogativo naturale: chi paga?.E non c’è risposta possibile a questo interrogativo senza chiamare in causa l’immensa mole di risorse pubbliche oggi destinate alla borghesia e in primo luogo alle banche. A sua volta non è possibile privare le banche di quelle risorse, senza una loro nazionalizzazione-esproprio sotto controllo operaio e popolare. Per questo la tematica delle nazionalizzazioni può e deve acquisire, nella crisi, un carattere popolare.



IL GOVERNO DEI LAVORATORI, QUALE UNICA VERA SOLUZIONE

La prospettiva del governo dei lavoratori è sottesa organicamente, alla rivendicazione delle nazionalizzazioni. Il PCL non chiede a Berlusconi, come non lo chiederebbe a Prodi, di espropriare i banchieri. Tutta la propaganda e l’agitazione sulla rivendicazione della nazionalizzazione ha un senso esattamente opposto: ricondurre alla necessità di un governo operaio e popolare, capace di liberare la società dalla crisi del capitalismo e dalla spazzatura politica e morale delle sue classi dirigenti. Di ogni colore.

Questo resta il punto decisivo e discriminante. Tutti coloro che,a sinistra, parlano oggi di nazionalizzazioni ( dopo aver votato ieri le privatizzazioni), senza porre la prospettiva di un governo operaio e popolare, fanno loro sì, pura propaganda, subalterna e ingannevole. Continuano a illudere i lavoratori, in forme nuove, su un possibile capitalismo “sociale” e “riformato”, e su una funzione neutrale dello Stato. Per di più alla coda dell’emergente statalismo borghese, e di fronte alla catastrofe capitalistica.

La nostra proposta è opposta. La rivendicazione della nazionalizzazione delle banche, senza indennizzo, e sotto controllo dei lavoratori, è apertamente contrapposta allo statalismo della borghesia perchè vuole liberare i lavoratori da ogni vecchia illusione riformista : rivendica l’esproprio del cuore stesso del capitale finanziario, delle sue proprietà, del suo potere ; afferma l’istanza di un potere nuovo e autonomo ( il “controllo operaio”), apertamente alternativo al comitato d’affari dello stato borghese, alla sua burocrazia, al suo funzionariato. Se il ministro Tremonti evoca il controllo prefettizio sulle banche private, (col plauso di Di Pietro), per chiedere loro di dare più soldi ai capitalisti, il PCL propone il controllo dei lavoratori su un’unica banca pubblica,per dare più soldi alla maggioranza della società. Solo un governo dei lavoratori, che rovesci il dominio dei capitalisti, potrà realizzare questa misura.



MARCO FERRANDO.

domenica 1 marzo 2009

Maledetti collaborazionisti

(28 febbraio 2009)

Cisl e Uil nascono con i soldi del governo americano per dividere e disorientare i lavoratori in vista dell’offensiva borghese, che si scatenò dopo la sconfitta del Fronte Popolare nelle elezioni dell’aprile 1948. Anche allora si facevano blocchi stradali e ferroviari. Dalla loro nascita ad oggi, Cisl e Uil hanno mantenuto il loro compito. La CGIL deve rompere definitivamente con Cisl e Uil ed avviare una campagna in tutti i posti di lavoro contro la burocrazia collaborazionista di Cisl ed Uil.

Senza la complicità di Cisl ed Uil, il governo padronale non avrebbe sferrato l’attacco al diritto di sciopero con il “disegno di legge delega sulle agitazioni”. Dalle fabbriche di Detroit - dove i lavoratori non devono più scioperare, altrimenti non saranno elargiti i fondi stanziati, prima, da Bush e, ora, da Obama a G.M. e Crysler- allo Stato italiano, l’oligarchia finanziaria e industriale marcia compatta contro il diritto di sciopero. Il craxiano Sacconi, Ministro del lavoro, ha dichiarato: “non potevamo stare a guardare rispetto ai 500 scioperi l’anno rilevati dal garante”. Questo rinnegato, che si è fatto le ossa nell’apparato della CGIL e del Partito socialista, crede che la burocrazia collaborazionista di Cisl e Uil sia in grado di attentare in profondità alla volontà di lotta e all’unità della classe lavoratrice. Il ministro Sacconi scoprirà ben presto che ha esagerato, notevolmente, le capacità di agitazione reazionaria dei collaborazionisti.

Chi continua a credere che ci sarà un’uscita democratica dalla crisi generale del capitalismo disarma politicamente il movimento operaio, perchè accredita presso i lavoratori e le lavoratrici le bugie degli economisti ufficiali, la propaganda dei governi. Il piano di salvataggio dei banchieri e degli industriali, attraverso i “Tremonti bond”, con i suoi effetti negativi immediati per le masse provocherà la rabbia popolare contro il governo e i suoi complici banchieri ed industriali. Non saranno le misure di Berlusconi contro il diritto di sciopero a fermare scioperi, mobilitazioni e rivolte.

Sull’Europa dei padroni si addensano nubi che annunciano uragani sociali. La crisi mondiale in Russia, non ha trovato impaurite le masse. A Mosca, a Pskov, a Volgograd ed a Vladivostok i manifestanti e gli scioperanti si scontrano con la polizia. A Dublino la settimana scorsa hanno manifestato centoventimila scioperanti. In Francia, nonostante la demagogia nazionalista e protezionista di Sarkozy, quattro francesi su cinque giustificano la rivolta popolare nel Dipartimento d’Oltremare della Guadalupa. In Grecia la lotta continua.

Le masse lavoratrici d’Europa si troveranno a dover combattere insieme contro i propri governi, il direttorio dell’Unione e della Banca centrale europea. Chi continua a pensare che la cornice nazionale sia la più adatta alla lotta di classe, fa il gioco della demagogia nazionalista e protezionista. L’esperienza storica del XX secolo insegna che quando i partiti operai sono venuti meno all’internazionalismo, la borghesia ha potuto dar libero sfogo ai suoi istinti predatori ammazzando e rovinando centinaia di milioni di persone.

L’alternativa non è fra un’uscita democratica o autoritaria dalla crisi ma fra rivoluzione socialista e barbarie progressiva (regimi burocratico-polizieschi nei paesi imperialisti dominanti, guerre colonialiste in Africa, Asia, America latina e regimi mafiosi in tutto l’est europeo). La classe lavoratrice di tutta l’Europa nei prossimi mesi inizierà a convincersi che l’alternativa alla catastrofe capitalista è la lotta per il governo dei lavoratori.


Coordinamento Sardo del Partito Comunista dei Lavoratori per la IV Internazionale

venerdì 27 febbraio 2009

Gli stucchevoli obamisti di sinistra e la lezione di Marat

Il 17 giugno 1789 i deputati del Terzo stato ruppero con la legalità dell’ancien régime e si costituirono in assemblea nazionale. Il 20 giugno giurarono di non separarsi e di riunirsi “fino a che la costituzione non sia stabilita e affermata su solide basi”. Il 27 giugno, dopo diversi tentativi di intimidazione dei rappresentanti del terzo stato, Luigi XVI ratificò il fatto compiuto del 17 giugno e invitò “il fedele clero e la sua fedele nobiltà ad unirsi al terzo stato”. Gli ingenui esultarono. Ma Luigi Capeto prendeva solamente tempo e cospirava, insieme al Consiglio e alla famiglia reale, per preparare una nuova notte di san Bartolomeo. Il 26 giugno, il giorno prima della recita da monarca costituzionale, il re dette l’ordine di mobilitazione di sei reggimenti di guardie svizzere. Il primo di luglio ordinò la mobilitazione di dieci reggimenti di ussari tedeschi. Ma al mondo oltre agli ingenui ci sono anche i rivoluzionari e, uno fra i più grandi, Jean Paul Marat pubblicò, il primo di luglio, un opuscolo in cui chiamava borghesi, sanculotti e plebei alla vigilanza ed alla mobilitazione:“concittadini! Osservate sempre la condotta dei ministri, onde regolare la vostra. Il loro obiettivo è lo scioglimento della nostra assemblea nazionale, l’unico mezzo per fare ciò è la guerra civile. I ministri intendono aizzare la sedizione!...E intanto vi circondano con l’imponente apparato dei soldati, delle baionette”. Mentre l’assemblea nazionale discuteva sull’organizzazione della guardia nazionale, le masse parigine assaltarono Les Invalides, portarono via 32.000 fucili e, poi, si diressero alla Bastiglia. Luigi XVI, che non capì la lezione, continuò a cospirare ma l’energia delle masse ed il realismo dei giacobini le fecero fallire ed il 21 gennaio 1793 il re fu ghigliottinato. Gli antigiacobini di professione hanno sempre sprecato parole per attribuire a Marat ed agli altri rivoluzionari quell’insieme di sciocchezze che chiamano la “cultura del sospetto”, la “demonizzazione dell’avversario”, la “paranoia rivoluzionaria”. Aria fritta per nascondere ciò che le persone di buon senso chiamano realismo. Ma i nemici della rivoluzione sono nemici dei rivoluzionari e cercano di screditarli con tutti i mezzi a loro disposizione.
Anche gli stucchevoli obamisti di sinistra continuano a non capire la lezione di Marat. La rivista statunitense The Nation ed il Manifesto hanno impegnato notevoli energie per illudere la sinistra che l’ex senatore dell’Illinois rappresenti un’alternativa.
Ida Dominijanni, nei giorni dell’ “incoronazione” di Obama, scambiando i suoi desideri con la realtà, scriveva: “ sulla relazione con le folle che lo hanno eletto e con le loro aspettative che si deciderà alla fine la partita del primo presidente americano del XXI sec:, una partita che si gioca sì su due tavoli della crisi e della politica estera, ma prim’ancora su quello della reinvenzione della democrazia…..La sua forza sta nella relazione con loro, con quelle voci che dice di portarsi appresso nello studio ovale, e senza di esse diventerebbe debolezza”. Ci ha pensato l’ex ammiraglio Dennis Blair, il gran capo degli spioni del governo Obama, come questo intenda agire con “le folle”. Nel discorso fatto giovedì 12 febbraio di fronte al Comitato per i servizi del senato, Dennis Blair ha detto che la principale preoccupazione per la sicurezza degli USA, cioè dell’élite dominante di questo paese, è la crisi economica mondiale e gli effetti di questa sulla classe lavoratrice e sulle masse sfruttate(world socialist web site, 14 febbraio). A coloro che confrontano questa crisi con la Grande Depressione, ha ricordato che negli anni ’20 e ’30 la crisi economica produsse in Europa e negli USA “instabilità e alti livelli di estremismo violento”. Tradotto dal suo linguaggio sbirresco-burocratico, la crisi economica in quegli anni produsse, in Europa, movimenti rivoluzionari che si lanciarono alla conquista del potere. La “reinvenzione” della democrazia che ha in testa il governo Obama è quella di schierare l’esercito contro le lotte dei lavoratori e non di certo contro gli obamisti che si fanno ipnotizzare dai guitti del rock and roll. A. Portelli, lo è al punto da aver avuto “momenti di perplessità, ascoltando Obama, quando chiama ancora ‘guerra’ la lotta al terrorismo”(L’America di Obama).
Eppure tutto il mondo sa che dal 1 ottobre dell’anno scorso sul suolo degli Usa è schierato il “First Brigade Combat Team” della terza di divisione di fanteria sotto gli ordini del NorthCom comando interforze armata creato da Bush nel 2002, e su cui Obama non ha aperto bocca. Il colonnello Roger Cloutier, intervistato dalla rivista Army Times( 8 settembre 2008), disse che la brigata possiede le cosiddette armi non letali “progettate per assoggettare individui rivoltosi e pericolosi nel quadro del controllo delle folle”. La “dottrina militare”, ad uso interno, del governo Obama è il documento dell’Istituto di studi strategici del USA Army College (KNOWN UNKNOWNS: UNCONVENTIONAL “STRATEGIC SHOCKS”) il cui estensore è il tenente colonnello Nathan Freier. La sostanza di questa “dottrina” è così riassumibile: “una violenza civile diffusa all’interno degli Usa costringerebbe il personale militare a riorientare all’ultimo momento le priorità per difendere l’ordine nazionale…Un governo americano e un personale militare cullati nella soddisfazione di un ordine interno sempre sicuro sarebbero costretti a disimpegnare da alcuni o da gran parte degli impegni esterni di sicurezza per affrontare un’insicurezza umana in rapida espansione in patria”( N. Freier). Quanto sia a rischio la democrazia politica nel nord America lo esemplifica quanto è successo in Canada: il parlamento canadese ha ripreso le sue normali attività il 26 gennaio, un mese e mezzo dopo che la sua attività fu sospesa per decreto dal governatore generale per evitare il voto di fiducia che avrebbe messo fine al governo conservatore.
Eppure Obama ha da sempre dichiarato che avrebbe rafforzato la guerra in Afghanistan estendendola al Waziristhan, dove in questi giorni i killer dell’aviazione hanno bombardato. Bastava questo dato per vedere chi è Obama: l’ultimo tentativo, sotto la stretta tutela dei vertici militari, di controllare le masse statunitensi nel quadro dell’attuale regime politico liberale. Obama è convinto di ottenere il consenso alla sua politica di guerra perché la conduce in nome di quella sporca ideologia chiamata islamo-fascismo. Non è un caso che Obama è stato votato da quel rinnegato di Christopher Hitchens, teorico della guerra per esportare la democrazia. L’ideologia dell’islamo-fascismo ha lo scopo di mistificare lo stato delle cose in Afghanistan: non una guerra imperialista contro una resistenza nazionale, ma la “liberazione” di quel paese dagli islamo-fascisti. Il movimento socialista internazionale non sarà credibile fra le masse di quel paese se non quando rovescerà qualche governo imperialista e ritirerà da quel paese le truppe coloniali. Il fine del governo Obama in quella zona è lo stesso del governo Bush: il controllo del petrolio nell’Asia centrale. Ma per il governo Obama la situazione si aggrava per le difficoltà logistiche di rifornimento, dopo la straordinaria azione della resistenza nazionale che, nel dicembre 2009 in Pakistan, a Peshawar (tre milioni di abitanti), distrusse completamente 300 tra Humvees ed autocarri. Nonostante il governo pakistano, per conto degli imperialisti, abbia occupato il passo Kiber ed esegua rappresaglie nella regione, gli approvvigionamenti via Pakistan (l’80 %) sono sempre più difficili e neanche il raddoppio dei militari voluto da Obama riuscirà a sconfiggere la resistenza nazionale afgana.
Per quell’area politica internazionale, che va dall’americana The Nation, all’italiano il Manifesto - che non si sono mai liberati dal cancro del VII congresso dell’internazionale stalinizzata e dalla tattica dei fronti popolari, e per questa ragione sono sempre sostenitori di qualche borghese a cui affibbiano l’etichetta di ‘illuminato’ - la comparsa di Obama è stata provvidenziale, perché costituisce un nuovo argomento contro i marxisti che si battono per l’indipendenza politica delle masse dai padroni di ogni tipo e colore. Gli obamisti di “sinistra”contribuiscono a indebolire le masse, perché le spingono a mettersi nelle mani dell’ “illuminato” di turno.
Obama ha così poco a cuore quelle “folle” che vuole portare nello “studio ovale” da non pronunciare mezza sillaba, quando per ottenere il voto dei due senatori repubblicani sono stati tagliati dal suo Stimulus bill 17 miliardi stanziati per la costruzione di nuove scuole e per le riduzioni fiscali alle famiglie dei salariati. Ma questo gli obamisti di “sinistra” non lo dicono. Il settimanale on line ‘manifestosardo’ ha visto nella “solidarietà” demagogica di Obama verso la lotta dei 240 lavoratori della Repubblic Windows & Doors il segno di “un’aria nuova”. Invece non dice nulla sull’assenso di Obama all’ultimo attacco del governo Bush alla classe operaia della General Motors: subordinare i dollari ai padroni di GM alla condizione che i lavoratori non debbano più scioperare e mobilitarsi. Il primo passo verso la liquidazione dei diritti sindacali. Il caso General Motor è utilizzato dall’oligarchia finanziaria americana per assestare alla classe salariata un colpo tale da riportarla alle condizioni degli anni trenta e abolendo tutte le conquiste che in quegli anni furono strappate a Roosevelt con scontri feroci con la guardia nazionale e gli sbirri privati. Per quanto riguarda le famiglie intrappolate nel debito dei subprime gli aiuti di circa 75 miliardi saranno destinati a coloro la cui rata non superava il 31% del reddito lordo del proprietario ma negli ultimi mesi era arrivata fino al 40/50 del reddito. I 75 miliardi riguardano nove milioni di persone. Ma gli aiuti non risolveranno nulla perché sono relativi ad una condizione di bassi salari e di disoccupazione crescente. Inoltre c’è da aggiungere la seguente considerazione: nel febbraio del 2008 ci fu lo Stimulus act del governo Bush ( anche questo un “piano di aiuti” per gli intrappolati nei subprime) che non risolse assolutamente nulla. Se Obama avesse avuto a cuore le “folle”, per decreto avrebbe potuto abolire i debiti contratti dalle famiglie per acquistare la casa e confiscare i beni di amministratori delegati e membri dei consigli di amministrazione. Per gettare fumo negli occhi ha proposto un tetto di 500 mila dollari allo stipendio di quelli. Ma 500mila dollari sono pari a 12 volte il salario annuale di un lavoratore medio americano. Gli Obamisti che invece di ragionare sui fatti ragionano sul simbolico, che invece di ragionare sui ministri e consiglieri di Obama, si fanno abbagliare dai concerti rock, da subito avrebbero dovuto prendere in considerazione la chiamata di Paul Volcker a capo dei suoi consiglieri economici. Presidente della Federal Riserve dal 1979 al 1987, nominato per la prima volta dal presidente democratico Carter e poi riconfermato nel 1983 da Reagan, “ Volcker è la minaccia più pesante per la classe operaia. Nessun altro individuo nella storia moderna degli USA ha avuto, come lui, la responsabilità di aver creato intenzionalmente una massiccia disoccupazione per abbassare i salari e spezzare la resistenza della classe operaia. Lui dette il via alle politiche che distrussero settori interi dell’industria e la crescita smisurata della finanziarizzazione dell’economia americana”( Patrick Martin, World socialist web site 29 novembre).
The Nation, oracolo Usa degli stucchevoli obamisti di “sinistra”, di fronte alla realtà dei fatti si avviluppa nell’idiozia: “Certo Obama si sta comportando da centrista e da pragmatico, ma viviamo in tempi straordinari e il suo può essere il modo giusto per ottenere risultati in un ottica progressista” ( Corsera 13 gennaio). I trotskisti americani, al contrario dei preti rossi dei due lati dell’Atlantico, chiamano i lavoratori “ a rifiutare il ricatto delle imprese, del governo e della burocrazia sindacale e a preparare la resistenza militante con scioperi di massa e mobilitazioni contro i licenziamenti, la chiusura delle fabbriche, la riduzione dei salari e delle pensioni”.
La legislazione protezionista di Obama, il Buy american, non differisce in nulla dalla politica protezionista iniziata nel giugno 1930 lo Smoot-Hawley Tariff Act, una forma politica della concorrenza interimperialista che portò alla II guerra mondiale imperialista. Il Buy American è la risposta di Obama alle richieste dei grandi gruppi dell’acciaio. Nello scorso dicembre 2008 le tonnellate di acciaio sfornate erano inferiori del 46% a quelle dello stesso mese del 2007. Col Buy American i produttori americani hanno eliminato dagli appalti pubblici i loro concorrenti cinesi, indiani, brasiliani e russi. Adesso i gruppi Usa si preparano a una campagna anti-dumping per eliminare i loro concorrenti da quell’area di mercato (100 miliardi di dollari) non protetto dalla legislazione protezionista di Obama. Nel Senato Usa è passato un emendamento repubblicano che impone rigide limitazioni all’assunzione di stranieri alle banche assistite dallo stato, limitazioni finora riservate alle aziende con oltre il 15% di lavoratori stranieri. Se diventerà legge oltre 300 banche dovranno adottare quelle misure. Originariamente l’emendamento proponeva il divieto totale di assunzione per gli stranieri. E’ stata modificata tenuemente per avere l’approvazione dei due rami del parlamento Usa. Tutti sanno che il prossimo anno ci saranno forti scontri valutari tra gli Usa e la Cina e che Geithner, il segretario al tesoro, ha aperto le danze accusando il governo cinese di “manipolare il cambio”. Chissà se oggi Ida Dominijanni ripeterebbe quanto scriveva qualche mese fa: “ [Obama] incarna nella sua pelle e nella sua biografia il presente e il futuro meticcio, transnazionale e transculturale del mondo globale”. Noi pensiamo che individui come la giornalista del Manifesto, pur di non schierarsi in modo franco nella lotta di classe internazionale e di non rivendicare la parole d’ordine storica, proletari di tutto il mondo unitevi , continueranno nell’opera intrapresa.
Il piano Obama ed il piano Geithner (2000 miliardi di dollari per le banche) sono destinati ad aggravare la crisi perché aumenteranno i già stratosferici debiti pubblici. W. Gale vicepresidente della Broocking Institution ( al servizio di Obama) ha ammesso che “la prossima bolla finanziaria sarà proprio quella del debito pubblico, il debito degli stati. E’ più facile che, tra qualche anno, a dichiarare il default sul suo debito sia la Gran Bretagna piuttosto che società private come McDonalds”(Corsera 11 febbraio). Il Coordinamento internazionale per la rifondazione della IV internazionale tra l’estate e l’autunno del 2008 individuava nella questione del debito pubblico, cioè nella solvibilità degli stati, il salto di qualità della crisi che diventava politica. Ecco perché il governo Obama è un governo sotto la tutela dei vertici militari. Il giornalista borghese Marco Margiocco, commentando la somma dei vari piani dei governi Usa, circa 7500 dollari pari al doppio di quanto fu speso nella II guerra mondiale imperialista dal governo Roosevelt, si è chiesto quale sarà la reazione degli “americani” che “ intanto, tra minusvalenze immobiliari, dei piani pensione, dei risparmi ne hanno già persi 13 mila”(Sole24ore).
Giulio Tremonti ha confessato sul Corriere della sera del 12 febbraio che “ l’ottimismo della volontà” gli deriva “dalla forza simbolica del nuovo presidente che dalla forza del suo piano”. Per Tremonti sino ad oggi ci sono stati “quattro mostri”: la crisi dei subprime, il collasso del mercato, la bancarotta delle maggiori istituzioni bancarie, il collasso delle borse. Ma “nascosti dietro l’angolo, ci sono il quinto mostro (le carte di credito), il sesto (le possibili bancarotte di società prodotte dalle difficoltà di declassamento dei loro corporate bond) e il settimo i derivati, simbolo della finanza. I derivati nel loro crescente importo sono 12,5 volte il Pil del pianeta”. A modo suo Tremonti conferma quanto il Coordinamento internazionale per la rifondazione della IV internazionale sostiene dalla fine del 2007, che questa crisi è inarrestabile.
Gli obamisti di sinistra e, fra questi, Naomi Klein tentano di ridicolizzare il marxismo, attribuendogli una concezione messianica, escatologica della crisi. Recensendo il libro della Klein, “The shock Doctrine: the rise of Disaster capitalism”, il trotskista australiano Nick Beans ha scritto che “l’amalgama di sciocchezze contenute nel libro, non è il prodotto dell’ignoranza. Klein ha scelto accuratamente le parole. Lei vuole che il pubblico, come i promotori dei suoi libri sappiano chiaramente che non è associata ad alcuna forma di programma marxista avente come obiettivo la fine del sistema capitalista”(world socialist web site,5 marzo 2008). Questo vale per tutti gli obamisti di sinistra. Le masse si rivolteranno, ma loro non vorranno essere associati a chi come noi chiarisce alle masse che la questione di fondo è la conquista del potere.
Quanto il trotskista americano James Patrick Cannon - in prima fila nelle lotte dei camionisti di Minneapolis nel 1934 - diceva della coscienza di classe dell’eroica sezione sindacale 574 del sindacato dei camionisti, è ciò che i lavoratori e le lavoratrici del mondo devono conquistarsi oggi:“La sezione 574 non crede alla teoria secondo la quale il capitale e il lavoro sono fratelli, e che il fratello più piccolo, il lavoro, per guadagnare le briciole, deve essere un gentile piccolo garzone e fare appello ai migliori sentimenti del suo fratello maggiore, il capitale. Per noi la questione tra il capitale ed il lavoro è un combattimento permanente tra la classe dei lavoratori sfruttati e la classe dei parassiti sfruttatori. E’ una guerra. E in questa guerra, come nelle altre ciò che decide è il potere. Gli sfruttatori sono organizzati per schiacciarci. Noi dobbiamo organizzare la nostra classe per contrattaccare”.

Gian Franco Camboni 21 febbraio 2009

lunedì 12 gennaio 2009

PROGRAMMA DEL PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI PER LE ELEZIONI REGIONALI DEL 2009

CANDIDATO PRESIDENTE: GIAN FRANCO CAMBONI, INSEGNANTE
Due bande politiche si contendono il governo della regione sarda, entrambe capeggiate da borghesi: quella di Cappellacci e l’altra di R. Soru. La prima si fonda sulla borghesia sarda vera e propria. L’altra, quella di Soru, si fonda su quelle che erano le tradizionali burocrazie del movimento operaio della Sardegna. Entrambe le bande hanno lo stesso fine: proseguire nello smantellamento di tutte le conquiste che i lavoratori e le lavoratrici hanno ottenuto con l’ondata di lotte iniziata con lo sciopero del 5 marzo 1943 e proseguita fino ai primi anni ’70 quando, per la prima volta, nello stato italiano, dopo il biennio rosso e poi, dopo, la lotta armata di popolo contro il nazifascismo, emersero tutte le condizioni oggettive per un rovesciamento socialista del capitalismo.
Le differenze tra queste due bande politiche sono solo sulla tattica per arrivare a quel fine.
Ma oggi il crack generale del capitalismo rende ormai superate quelle tattiche ed entrambe si apprestano a governare solo col bastone.
Il Partito Comunista dei Lavoratori per la IV Internazionale è schierato contro entrambe le bande ed in questa campagna elettorale, come nelle lotte e nelle mobilitazioni, si batte per unire tutta la classe lavoratrice e per conquistare un governo dei lavoratori che faccia pagare la catastrofe del capitalismo a capitalisti e banchieri. Un governo che si fondi sul controllo ferreo dell’economia da parte degli organismi democratici dei lavoratori e delle lavoratrici.
La rivolta popolare greca capeggiata dalla gioventù studentesca e lavoratrice mostra la strada alle masse sarde e di tutta l’Europa. Il voto al Partito Comunista dei Lavoratori per IV Internazionale rafforzerà il vento della rivolta:
“ gherra, gherra a s’egoismu,
gherra, gherra a s’oppressore”.


Siti internet: www.pclsardegna.org www.pclolbia.blogspot.com
Per contatti: info@pclsardegna.org pclolbia@yahoo.it


CRISI: STOP AI LICENZIAMENTI

In Sardegna assistiamo da anni alla chiusura di stabilimenti industriali e di aziende da parte dei padroni a causa di sporchi giochi di ristrutturazioni aziendali o di crisi, col conseguente licenziamento di migliaia di lavoratori: dallo zuccherificio di Villasor fino alla Palmera, passando per la Legler e via discorrendo negli anni precedenti sono migliaia i lavoratori finiti in cassa integrazione. Con la crisi economica internazionale in corso, che si prefigura sempre più come una catastrofe per le condizioni di vita di vaste masse popolari, la situazione peggiora sempre di più: secondo un rapporto della Cgil nel 2008 le ore di cassintegrazione rispetto al 2007 in Sardegna sono aumentate del 36%; nel 2009 migliaia di lavoratori rischiano di perdere il posto di lavoro, a partire dal Petrolchimico di Porto Torres, in cui le intenzioni dell’Eni sono quelle della chiusura, e dalla Meridiana, in cui come per Alitalia si paventa il rischio di licenziamenti o la truffa del “contratto solidale”, cioè dell’abbattimento salariale per tutti i lavoratori.

Ancora una volta a pagare la crisi dei padroni sono i lavoratori: è ora di dire basta! Entrambi gli schieramenti, quello del multimilionario Soru e quello del delfino di Berlusconi, Cappellacci, balbettano sulla questione dei licenziamenti mentre appoggiano in toto la politica dei padroni licenziatori e gli regalano milioni di euro. Le ridicole proposte della ricerca di un nuovo padrone o del finanziamento pubblico ai padroni delle aziende in crisi hanno dimostrato sempre la loro inutilità: il Partito Comunista dei Lavoratori lancia una campagna per la nazionalizzazione senza indennizzo ai capitalisti e sotto controllo dei lavoratori di tutte le aziende in crisi e che licenziano, l’unica alternativa alla cassa integrazione e alla perdita del posto di lavoro. Non si capisce infatti perché debbano essere i padroni a licenziare chi lavora, e non i lavoratori a licenziare chi si arricchisce sulle loro spalle senza muovere un dito. Neanche un centesimo di indennizzo deve andare ai pescecani: i debiti li paghino loro!

Rivendichiamo anche un salario minimo garantito da parte della regione ai disoccupati in cerca di lavoro e un servizio di collocamento pubblico e sotto controllo dei lavoratori ai fini di evitare il clientelismo di stampo mafioso.

BANCHE E MUTUI USURAI

Quante famiglie sono costrette a subire il cappio al collo dei mutui usurai con le banche e, di fronte alla crisi che abbatte sempre di più il salario, vivono il ricatto dell’infame pignoramento della casa? Quanti piccoli pastori e piccoli agricoltori sono ridotti alla fame per i debiti con le banche?
Di fronte a questa vergogna il Partito Comunista dei Lavoratori rivendica l’esproprio senza indennizzo e la nazionalizzazione sotto controllo popolare del Banco di Sardegna e delle banche usuraie, l’annullamento dei debiti contratti da lavoratori, pensionati, giovani, piccoli pastori e piccoli contadini impoveriti.
La nazionalizzazione delle banche consentirebbe, inoltre, di disporre di un ingente quantità di risorse da destinare a scuola, sanità, trasporti e alla creazione di nuovi posti di lavoro, soldi altrimenti destinati alla speculazione di un manipolo di banchieri pescecani.





SERVIZI SOCIALI, TRASPORTI, SCUOLA

Il Partito Comunista dei Lavoratori rivendica:
- L’ingente aumento dei fondi pubblici destinati ai servizi sociali e ai trasporti pubblici, possibile a partire dall’abolizione dei finanziamenti pubblici ai privati.
- La gratuità dei trasporti per i lavoratori e i giovani
- Il potenziamento del sistema ferroviario sardo
- La regionalizzazione senza indennizzo e sotto controllo dei lavoratori delle compagnie di navigazione, ora in mano ai privati che per il proprio profitto personale fanno pagare un costo eccessivo per il trasporto marittimo, oltretutto per un servizio scadente.

Punto fondamentale per il PCL, inoltre, è la lotta alla privatizzazione dell’acqua e del sistema idrico. Rivendichiamo la ripubblicizzazione del servizio idrico tramite l’esproprio e la regionalizzazione di Abbanona, ma non sotto la gestione incompetente e mafiosa dei manager e dei servi dei politici locali: vogliamo che il sistema idrico pubblico sia posto sotto controllo popolare, per una gestione trasparente e di qualità, per soddisfare appieno i bisogni della popolazione.

Inoltre il sistema delle condotte idriche in Sardegna è vecchio e mal funzionante, cosa che produce un enorme spreco di acqua corrente. La manutenzione delle condotte idriche porterebbe alla creazione di nuovi posti di lavoro per tantissimi disoccupati in una regione dove la disoccupazione raggiunge l’11% della popolazione.

Per la scuola rivendichiamo il potenziamento dei sistema scolastico sardo a partire dall’assunzione a tempo indeterminato e l’immissione in ruolo di tutti gli insegnanti precari, il controllo edilizio degli edifici scolastici ad opera di commissioni di studenti, insegnanti e personale non docente, la gratuità dei libri di testo e la costruzione di nuove scuole. Tutto ciò richiede uno stanziamento di fondi da parte della Regione, possibile a partire dall’abolizione dei fondi pubblici alle scuole private e la loro destinazione alla scuola pubblica.

Onde evitare la dispersione giovanile avanziamo la proposta della creazione di Centri Polivalenti di aggregazione giovanile, comprendenti laboratori artistici, sale di proiezione, biblioteche e sale di registrazione gratuite, gestiti direttamente dai giovani.

SANITA’

Per la Sanità, esigenza primaria dei cittadini, avanziamo una serie di punti che costituiscono un programma di svolta per l’istituzione di un sistema sanitario pubblico, di qualità e gratuito:

1) Via i manager dalla sanità con i loro ingiustificati mega-stipendi e la loro sostituzione con dei dirigenti pagati alla pari degli altri lavoratori dipendenti eletti direttamente dai lavoratori; il controllo della qualità dell’operato dei dirigenti sanitari e possibilità di revoca immediata di questi da parte dei lavoratori stessi, nel caso di abusi e illeciti amministrativi.
4) Abolizione immediata delle agenzie interinali, strumento di oppressione dei lavoratori e di furto di soldi pubblici. Assunzione di personale amministrativo e sanitario direttamente da parte dell’ente pubblico, sotto controllo delle rappresentanze dei lavoratori RSU.
5) Stabilizzazione a tempo indeterminato di tutti i lavoratori precari della sanità.
6) Obbligo di scelta, da parte dei medici, di lavorare o nel settore pubblico o in quello privato, per evitare che un medico che lavori in entrambi i settori riduca la qualità di quello pubblico per avere un tornaconto nell’ambulatorio privato. Abolizione di ogni finanziamento pubblico alla sanità privata, che mira a far profitti sulla pelle della gente.
7) Esproprio senza indennizzo delle cliniche private con accertati casi di malasanità.
8) Riduzione dell’orario di lavoro a 30 ore per il personale turnistico e a 32 ore per quello non turnistico, e consistenti aumenti salariali del personale sanitario. Incrementare subito gli ambulatori pubblici territoriali e interni alle strutture ospedaliere, così da togliere più cittadini possibile, in particolare quelli meno abbienti, dalle grinfie del privato. Incrementare l’assistenza domiciliare integrata (ADI), in particolare per le persone anziane: oltre a favorire l’ammalato, l’assistenza domiciliare rappresenta un effettivo risparmio per lo Stato.
9) Apertura di reparti di odontoiatria pubblici, uno per ogni struttura ospedaliera, aperti 24 ore su 24. Oggi solo l’8% dei dentisti lavora nel settore pubblico. Controlli e cure odontoiatriche gratuite per tutti, dall’infanzia fino alla vecchiaia.
10) Incremento massiccio degli uffici di CUP (Centri unificati di prenotazione), con lo scopo di eliminare le liste di attesa create ad hoc per avvantaggiare le strutture private. Istituzione di commissioni popolari per tenere sotto controllo le liste d’attesa.
11) Istituzione di commissioni dei lavoratori per il controllo della qualità e della sicurezza nella sanità e per vigilare sugli sprechi di farmaci e presidi.
12) Istituzione di farmacie comunali che garantiscano la gratuità dei farmaci necessari alla cura delle malattie più diffuse, in particolare che vadano incontro alle esigenze degli anziani.
13) Abolizione dei D.R.G. (Raggruppamenti Omogenei di Diagnosi), cioè di finanziamenti erogati alle strutture ospedaliere in base alla quantità di interventi eseguiti e non in base alla qualità di questi e alla loro effettiva utilità. Questo sistema ha generato un furto di soldi pubblici e ha portato a vergognosi scandali (vedi S. Rita in Lombardia).
14) Finanziamento della ricerca scientifica per la cura delle malattie e la completa libertà di ricerca al di fuori delle multinazionali farmaceutiche e dei privati: la ricerca scientifica deve diventare un mezzo per il benessere sociale, e non un profitto di pochi.



AGRICOLTURA E PASTORIZIA

Tantissimi piccoli pastori e piccoli contadini si sono impoveriti in questi ultimi anni schiacciati sia dai debiti con le banche, sia dall’imposizione dei prezzi del latte e dei prodotti agricoli da parte dei grandi industriali e dai grandi rivenditori: chiediamo per la pastorizia la nazionalizzazione senza indennizzo e sotto controllo operaio delle industrie di lavorazione del latte e dei grandi caseifici, che mandano in rovina i piccoli pastori imponendo un prezzo del latte bassissimo; il controllo operaio sull’industria e la pianificazione economica garantirebbero condizioni di vendita accordate più giuste e favorevoli anche per i pastori. Lo stesso discorso vale per l’agricoltura e per i piccoli contadini rovinati dai grandi magnati industriali.
Per tutti i piccoli pastori e contadini indebitati rivendichiamo l’annullamento dei debiti contratti con le banche, possibile solo con la loro nazionalizzazione sotto controllo popolare.

Rivendichiamo una pianificazione straordinaria della produzione agricola con l’impiego di mezzi moderni, sotto il controllo dei braccianti agricoli e di cooperative di piccoli contadini, che svilupperebbe le potenzialità dell’agricoltura in Sardegna e creerebbe nuovi posti di lavoro.




CASA

Il problema della casa interessa migliaia di lavoratori, giovani e senzatetto: tante sono le persone che non se ne possono permettere una o che lo possono fare soltanto col cappio al collo dei mutui. Tante sono invece le grandi proprietà immobiliari, soprattutto vicino alle zone costiere, in mano ai grandi speculatori immobiliaristi, molte delle quali occupate soltanto un mese all’anno o, peggio, lasciate sfitte per far lievitare i prezzi sul mercato (tra l’altro, come sembra evidenziare l’inchiesta giudiziaria Dirty Money in Gallura, molte delle quali costruite, probabilmente, col denaro sporco della ‘Ndrangheta). Il Partito Comunista dei Lavoratori rivendica l’esproprio senza indennizzo delle grandi proprietà immobiliari, a partire da quelle in mano alla ‘Ndrangheta, delle case sfitte e delle mega-ville per le vacanze dei vari Briatore e Berlusconi e il loro affidamento a chi non possiede una casa.

Rivendichiamo inoltre un piano straordinario di investimenti pubblici per l’edilizia popolare, per sottrarre chi non possiede ancora una casa dal dover ricorrere ai mutui usurai delle banche.

FUORI IL G8 E LE BASI MILITARI DALLA SARDEGNA

Entrambi gli schieramenti borghesi, sia quello di centrodestra che quello di centrosinistra (con Soru in prima fila), non hanno risparmiato le loro lodi per la decisione del governo Prodi di tenere il G8, il summit dei capi di stato dei più potenti paesi imperialisti della Terra, in Sardegna, raccontando che sarebbe stata un’occasione di “sviluppo” per la regione e che avrebbe offerto più possibilità di lavoro ai sardi. La verità è un’altra: come dimostra l’inchiesta apparsa su L’Espresso, il G8 a La Maddalena si è dimostrato una grande occasione di sperpero di denaro pubblico, di speculazione e di sfruttamento dei lavoratori sardi e non; dall’inchiesta è emersa la grande truffa degli oltre 3800 euro per metro quadro per costruire l’albergo che ospiterà i “grandi della Terra” (a fronte dei “normali” 1200 euro per le ordinarie proprietà di lusso a La Maddalena), ovviamente finanziate col denaro pubblico: si calcola che i fondi pubblici destinati soltanto all’impresa che realizzerà i lavori per l’albergo si ammontano dai 59 ai 73 milioni di euro, soldi che potevano essere spesi per i servizi pubblici e per creare nuovi posti di lavoro.
Dall’inchiesta, inoltre, sono emersi i legami tra i responsabili dei lavori del G8 e le imprese a cui sono stati affidati gli appalti, di cui tra l’altro una di proprietà di un imprenditore fiorentino coinvolto nell’inchiesta del magistrato De Magistris sui legami tra politica e imprenditoria.
Sono emerse inoltre le vergognose condizioni di lavoro degli gli operai assunti per i lavori fatte di turni massacranti, minacce del caporalato e le tante irregolarità dei padroni. Un sindacalista della Fillea-Cgil, a cui va tutta la nostra solidarietà, è stato persino denunciato dalle forze dell’ordine con l’accusa di “violazione del segreto di Stato” soltanto per aver scattato delle foto nei cantieri per denunciare le irregolarità e l’insicurezza in cui vengono assunti gli operai. Si tratta di una vera e propria rappresaglia anti-sindacale.
Si calcola che il totale dei soldi pubblici (pagati con le tasse dei lavoratori) destinati alle imprese che effettueranno i lavori per il G8 ammontino alla cifra esorbitante di 300 milioni di euro! Quante case, scuole, ospedali potevano essere costruiti con questi fondi, e quanti nuovi posti di lavoro potevano essere creati?
Anche per tutti questi motivi il Partito Comunista dei Lavoratori è in prima fila nel contrastare l’avvento del G8 il Sardegna, il summit dei briganti imperialisti che decidono le sorti dei paesi poveri del mondo; il PCL si impegnerà a costruire il fronte di opposizione al G8 chiamando alla lotta i lavoratori e la gioventù della Sardegna.

Altra questione importante è la presenza delle basi militari americane e non in Sardegna: oltre a costituire un evidente pericolo per la salute delle popolazioni sarde, esse occupano terreni che potrebbero essere utilizzati per la produzione agricola e impediscono ai pescatori di lavorare nei mari vicini. Il Partito Comunista dei Lavoratori rivendica la cacciata delle basi militari americane o italiane dalla Sardegna e la bonifica dei terreni e dei mari in cui sono situate; ciò offrirebbe nuovi posti di lavoro e nuovi terreni per avviare una pianificazione agricola dalle enormi potenzialità.

DOVE PRENDERE I SOLDI?

Ci si potrebbe obiettare: “è un bel programma, ma non ci sono soldi per realizzarlo”. I soldi ci sono, basta prenderli dove stanno: nei profitti dei padroni, nei mega stipendi dei manager delle aziende pubbliche semi-privatizzate, nei fondi pubblici dati all’istruzione e alla sanità private, nei portafogli dei banchieri, nei soldi pubblici dati al G8 e alle imprese (che nonostante ciò licenziano i lavoratori) etc.

UN PROGRAMMA SOCIALISTA PER UN GOVERNO DEI LAVORATORI

E’ chiaro che questo programma, che prevede l’esproprio dei mezzi di produzione in mano ai padroni e agli speculatori, non potrà essere mai attuato nel quadro dell’attuale sistema capitalistico, tanto più nella fase di una sua crisi catastrofica: occorre un ribaltamento radicale dei rapporti di produzione e occorre che tutto il potere politico ed economico passi nelle mani dei lavoratori, non più di un manipolo di sfruttatori e dei loro lacchè. Il governo dei lavoratori, a maggior ragione sotto la crisi del capitalismo i cui costi verranno scaricati sui lavoratori e sulle masse popolari, ripropone nell’immediato la sua esigenza, prima che la società sprofondi nella barbarie.

Né Soru, né Cappellacci, per un Governo dei lavoratori!

venerdì 9 gennaio 2009

10 gennaio a Cagliari. Tutti in piazza per la Palestina! Stop al massacro israeliano!

L’associazione Amicizia Sardegna Palestina e la Comunità Palestinese in Sardegna lanciano per Sabato 10 Gennaio a Cagliari, con concentramento in piazza Costituzione alle ore 16, un corteo contro la pulizia etnica in Palestina, per la fine dei bombardamenti israeliani a Gaza. per info: www.sardegnapalestina.org

Il Partito Comunista dei Lavoratori, compresi i militanti della Sezione di Olbia parteciperà all'iniziativa e invita tutti a partecipare.

mercoledì 7 gennaio 2009

La rivolta greca continua nel 2009 dal nostro diario di lotta

(7 gennaio 2009)

Capodanno
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Forse non siamo riusciti a bruciare di nuovo l'odiato albero di Natale del sindaco destrorso di Atene come si fece prima di Natale, ma abbiamo organizzato con successo una notevole azione in piazza della Costituzione ad Atene, di fronte al Parlamento greco, dove migliaia di persone, in maggioranza poverissimi lavoratori immigrati, si sono ritrovate non avendo altre possibilità di festeggiare una notte di Capodanno: un nutrito gruppo di compagni dell'EEK (Ergatikó Epanastatikó Kómma, Partito rivoluzionario dei lavoratori), assistiti da compagni del NAR (Neo Aristeró Révma, Nuova corrente di sinistra) nel Movimento internazionalista contro la guerra, hanno alzato striscioni in arabo e greco a difesa dell'eroico popolo palestinese di Gaza, per l'arresto immediato del massacro, per la libertà della Palestina e per il diritto al ritorno in patria di tutti i profughi palestinesi. I nostri slogan hanno attirato molti lavoratori immigrati arabi, cosicché la manifestazione di solidarietà aveva un nucleo di 300-400 persone, mentre ai nostri slogan facevano eco migliaia di persone in piazza. Il discorso del sindaco per il Capodanno 2009 è stato molto disturbato e lui era ovviamente irritato, cosí ha dovuto dichiarare il suo ipocrita "appoggio" al popolo di Gaza. La polizia ha cercato inutilmente di intimorirci, ma non ci sono stati scontri.

Allo stesso tempo, circa mille anarchici hanno fatto la loro riuscita notte di Capodanno davanti alle Prigioni Centrali di Korydallos. I carcerati, che in novembre hanno fatto la loro rivolta chiedendo condizioni umane, erano riuniti dietro alle sbarre delle finestre, acclamavano i loro sostenitori fuori dalla prigione e ripetevano gli slogan contro la repressione poliziesca.


2 gennaio 2009
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Due medici dell'EEK, la compagna Katerina Matsa ed io, hanno visitato, nell'unità di terapia intensiva dell'ospedale di Evangelismós ad Atene, Konstantina (Kostandina in greco) Koúneva, l'eroica lavoratrice immigrata bulgara e sindacalista militante che il 23 dicembre 2008 è stata selvaggiamente aggredita con l'acido solforico. Non è stato solo un dovuto gesto di solidarietà, ma volevamo avere un quadro medico completo delle sue condizioni. Rispettiamo pienamente il dovere medico del segreto professionale nei riguardi della paziente, ma questa volta il silenzio su ciò che è REALMENTE successo e sulle sue orribili conseguenze è complicità con i criminali. Abbiamo già molte prove che lo Stato, i boss, i mafiosi, i gangster che controllano l'importazione di manodopera immigrata e la sottopongono ad una vera schiavitú, molte altre forze reazionarie, incusa la burocrazia sindacale, vogliono nascondere la verità e metter fine al crescente movimento di solidarietà che unisce l'indignazione per la barbara aggressione a Konstantina con quella per l'uccisione del giovane Alexis da parte della polizia il 6 dicembre.

La verità è questa: Konstantina non solo ha perso un occhio, ha l'altro occhio gravemente leso ed il volto bruciato; e piú importante è che tutto l'apparato digerente superiore - bocca, faringe, esofago, stomaco, perfino il duodeno - è stato bruciato dall'acido. Anche l'albero tracheale è stato leso gravemente, cosí come la laringe.

Bisogna trarre due conclusioni di rilevanza umana e politica.

Primo, gli assassini non le hanno solo gettato in faccia l'acido solforico l'hanno costretta con la forza ad inghiottirlo; le ustioni alla faccia e agli occhi sono state un "danno collaterale" mentre, probabilmente, lottava con i suoi aggressori (che devono essere stati in piú d'uno per fare una cosa tanto orribile). Gli assassini hanno agito per ucciderla, non solo intimorirla. Per uccidere lei e terrorizzare il suo sindacato e tutto il movimento sindacale di classe. Il metodo, molto inconsueto in Grecia, ha tutte le caratteristiche dei sicari mafiosi. Ma solo adesso la polizia, dieci giorni dopo il crimine, ha iniziato qualche interrogatorio sull'ipotesi principale che sia stata aggredita da... un amante! Vi ricordiamo che Konstantina è da molto tempo una sindacalista per la lotta di classe, segretaria del PECOP, l'Unione pan-attica del personale di pulizia e domestico, alla guida della battaglia per i diritti degli addetti alle pulizie terribilmente sovrasfruttati (per lo piú lavoratori immigrati assunti da ditte private ed affittati a servizi pubblici, pagati con spiccioli per orari di sette ore di cui solo cinque registrate nero su bianco).

La seconda conclusione è che con lesioni cosí estese, specialmente nel tubo digerente, la sua vita sarà, se non in pericolo immediato, una vera tortura per tutto il tempo che le rimane. È il movimento operaio come tale, in Grecia ed a livello internazionale, che deve prendere le difese di Konstantina e di tutti i lavoratori, immigrati o no.


3 gennaio 2009
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A mezzogiorno c'è stata una dimostrazione di duemila persone a Petralona, il quartiere di Atene dove vive Konstantina Koúneva, organizzata da un'iniziativa della popolazione locale.

Alle 15, una dimostrazione di quattromila persone a difesa dei palestinesi di Gaza, convocata da sindacati ed organizzazioni di sinistra, ha sfilato dall'Università di Atene nel centro della capitale fino alle ambasciate statunitensi ed israeliane. Sono state lanciate pietre e qualche bottiglia Molotov e la polizia antisommossa ha attaccato tutto il corteo con uso massiccio di lacrimogeni, impedendo al grosso di avvicinarsi all'ambasciata israeliana.

Al ritorno dalla manifestazione, alle 19:30 (ora locale) abbiamo saputo che era cominciata l'invasione di Gaza da terra da parte della fanteria e dei carri armati sionisti, da lungo attesa. Abbiamo già discusso e deciso nuove azioni di solidarietà. La prima è una dimostrazione domani pomeriggio.

GIÚ LE MANI DA GAZA! Le truppe sioniste fuori da Gaza, ORA! Libertà per la Palestina!


Savas Michael, 3 gennaio 2009

info@pclavoratori.it

lunedì 5 gennaio 2009

Marco Ferrando : con i palestinesi contro l' oppressore israeliano

fonte ANSA

(29 dicembre 2008)

FERRANDO,CON I PALESTINESI CONTRO OPPRESSIONE ISRAELE
ROMA - "I bombardamenti di Israele sul popolo affamato di Gaza sono un crimine odioso. Tutti gli appelli ipocriti ed equidistanti per la pace in Palestina, coprono questo crimine e nascondono la verità più semplice: il sionismo è disposto a tutto pur di piegare la resistenza araba alla propria dominazione; i palestinesi non accetteranno mai l'occupazione sionista della propria terra". Lo afferma Marco ferrando, del Partito comunista dei lavoratori. "L'unica possibile pace tra arabi ed ebrei passa per l'eliminazione della vera causa storica della guerra: l'oppressione del popolo palestinese, la negazione del suo diritto al ritorno nella propria terra. Ciò che richiede la messa in discussione delle stesse fondamenta dello stato sionista di Israele". "A sua volta la sconfitta dello Stato di Israele non passa né per il fondamentalismo reazionario di Hamas, né per la via fallimentare del compromesso con il sionismo. Passa per il rilancio dell'Intifada popolare palestinese e per la sua estensione rivoluzionaria in tutta la nazione araba: nella prospettiva di una Palestina unica, laica, socialista, rispettosa del diritto di autodeterminazione della minoranza ebraica", conclude Ferrando. Ogni ritardo di questa prospettiva, segnerà la continuità della guerra e dei crimini sionisti.

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