lunedì 28 luglio 2008

Nota sull’ultimo numero di Micromega

(28 luglio 2008)

Nota sull’ultimo numero di Micromega

La manifestazione dell’8 luglio è stata un successo. Ma la redazione di Micromega si attesta sempre sull’antiberlusconismo liberale. In questa nota prendiamo in considerazione i principali punti negativi presenti sull’ultimo numero della rivista.

1) Il primo è che dopo il successo della manifestazione e i consensi ricevuti, (secondo il sondaggio di Mannheimer, riportato in uno degli art. di Flores d’Arcais), “Pancho” Pardi non prende in considerazione la lotta per far cadere Berlusconi:

Ci aspetta una battaglia dura, che durerà cinque anni, ma bisogna prenderla sul serio, cari cittadini, bisogna lavorare, parlare, discutere, portare avanti la nostra campagna, bisogna impedire una vergogna nazionale incancellabile”.

Bisogna spiegare al prof. Pardi che i lavoratori e le lavoratrici “prendono sul serio” l’idea di sbattere giù Berlusconi il prima possibile ma non quella che ci dobbiamo attrezzare ad una “battaglia dura, che durerà cinque anni”. Bisogna spiegare al prof. Pardi che i danneggiati, da questo governo e dalla crisi in corso (e sono la maggioranza), fanno e faranno la lotta contro il governo padronale reazionario di Berlusconi per mettere fine alla sua politica da brigante capitalista. Inoltre, se Berlusconi concluderà i cinque anni di legislatura, saremo fatti a pezzi.

2) Pardi riprende con enfasi la retorica liberale antiberlusconiana, tirando in ballo i “paesi democratici”. Il segretario del tesoro del governo Bush, H. Paulson, ha lavorato per trentadue anni alla Goldman Sachs. Adesso che non è più un “dipendente” della banca non fa più gli interessi della Goldman Sachs, degli altri pescicani e quelli suoi propri? L’antiberlusconismo liberal ultramoderato di Pardi è una vera e propria apologia del sistema liberale. I paesi democratici esistono solo nella testa di Pardi. C’è democrazia dove il sistema elettorale assicura ai soli partiti della borghesia la presenza nel parlamento e nel governo? E’ un esempio di democrazia un paese dove nel caso del salvataggio della Bear Stearns “i contribuenti ancora non sanno con precisione le dimensioni del rischio che si sono accollati….Ma a confronto dell’intervento proposto per salvare Fannie Mae e Freddie Mac, il salvataggio della Bear Stearns sembra un modello di corretta amministrazione”? Il testo citato è di J. Stiglitz, economista borghese ( Sole24ore 27 luglio).

Se Pardi vuole fare, sul serio, la lotta a questo governo, deve abbandonare la retorica sui paesi democratici e concentrare maggiormente la sua attenzione sulla realtà effettuale. Se Pardi, come tutti gli altri di Micromega, continua a non riconoscere la realtà della lotta di classe finirà con l’essere utilizzato da Berlusconi e da i suoi per dimostrare che il suo governo è liberale dal momento che pure Pardi e Micromega fanno l’opposizione. Ma si può, ancora, nello stato italiano, dopo le critiche di Giuseppe Ferrari a Mazzini - 157 anni fa -, si può chiamare alla lotta per la difesa della democrazia politica senza combinarla con la lotta per rivendicazioni economiche anticapitaliste? “La libertà, la sovranità, l’indipendenza”, scriveva Giuseppe Ferrari, “non sono che menzogne là dove il ricco schiaccia il povero, là dove il povero non può nulla se non si affanna a procacciar delizie ai ricchi; là dove il povero non può sfamare la famiglia se non con l’esaurire le sue forze nell’innalzar palazzi, nel lavorare ad un lusso al quale non può mai metter mano”. Mazzini non era un giacobino, non fu capace di costruire un’avanguardia rivoluzionaria borghese che si mettesse alla testa delle masse contadine e che scatenasse la guerra contro i proprietari aristocratici, i latifondisti borghesi, lo stato Vaticano e la chiesa cattolica. Se un individuo come Benedetto XVI pretende di dettare legge lo dobbiamo anche a Mazzini e ai suoi simili.

3) Flores d’Arcais, fa l’elogio della retata dei pesci piccoli a Wall Street di alcune settimane fa. Ma non dice che i veri responsabili della crisi sono i governatori delle banche centrali delle potenze imperialiste. Draghi nelle sue considerazioni finali, ha elogiato “la straordinaria espansione del credito, che per molti anni aveva contribuito alla robusta crescita dell’economia mondiale”. E’ certo che, in questi anni di “straordinaria espansione”, la minoranza borghese si è abbuffata e ha proseguito nelle guerre criminali.

Il direttore di Micromega ritiene, come Gobetti, che esista una borghesia illuminata. L’antifascista piemontese si illudeva sulla capacità del capitalismo di sviluppare le forze produttive. Questi sono gli abbagli che si prendono quando si rifiuta l’analisi di Lenin sull’imperialismo quale fase finale del capitalismo. Per Gobetti il fascismo era espressione politica della parte protezionista e parassitaria del capitalismo italiano. Il fascismo fu, al contrario, la scelta unitaria di tutte le principali frazioni della borghesia per eliminare definitivamente ogni organizzazione indipendente del proletariato, e per questo fine era obbligata la soppressione della democrazia politica borghese. La borghesia illuminata, produttiva, concorrenziale, secondo Gobetti, avrebbe dovuto allearsi alla classe operaia dei consigli di fabbrica per dar vita alla Riforma morale ed intellettuale dello stato borghese italiano. L’idea dell’alleanza fra borghesia produttiva e proletariato è antica, fu proposta, infatti, dal grande socialista utopista Saint Simon criticato, prima, dal socialismo rivoluzionario di Blanqui, e poi dai più giovani Marx ed Engels. I marxisti le idee non le considerano astrattamente, ma in relazione ai gruppi sociali che le sostengono e per le quali, in determinate situazioni, questi gruppi sociali possono combattere ed avere disprezzo della morte. Pietro Gobetti entra nello studio che fa Gramsci sulle forze della rivoluzione nello stato italiano: è l’espressione dei settori antifascisti della piccola borghesia integrata nel tessuto industriale capitalistico. Per la presa del potere era necessario che la classe operaia dei consigli di fabbrica conquistasse questi settori della piccola borghesia alla lotta per la dittatura del proletariato rivoluzionario. La gobettiana intransigenza, di cui parla Flores d’Arcais , era quella di un intellettuale piccolo borghese che aveva individuato, seppur confusamente, i limiti formalistici e controrivoluzionari di un antifascismo liberale che escludeva e contrastava il ruolo egemone della classe operaia.

La redazione di Micromega, se vuole dare, sul serio, un contributo alla lotta contro il governo padronale reazionario, deve fare due scelte:

1) impegnarsi a costruire un movimento politico delle masse che, il prima possibile, cacci via Berlusconi e non fra cinque anni, a fine legislatura (cretinismo parlamentare);

2) impegnarsi in un’analisi del capitalismo così com’è e non come dovrebbe essere, nella valutazione dei circoli dirigenti nazionali ed internazionali del capitalismo, della loro crisi inarrestabile, al fine di impedire che nella loro catastrofe ci trascinino tutta l’umanità.

Gian Franco Camboni sez. prov. Pcl di Sassari

Ozieri 28 luglio 2008

domenica 27 luglio 2008

Per una assemblea nazionale unitaria dei delegati che lanci una lotta ad oltranza contro l’offensiva reazionaria di governo e padronato

Volantino distribuito dai militanti del PCL all'assemblea della sinistra Cgil del 23 Luglio

La riunione odierna, con il suo carattere unitario, rappresenta sicuramente un avvenimento positivo, che deve trovare una sua continuità.

Certamente però non può rappresentare in sé una risposta all’offensiva che si sviluppa in questi giorni in termini drammatici per i/le lavoratori/trici da parte del governo e del padronato.

Come ben sapete le misure oggi votate con il maxiemendamento al DPEF, l’attacco frontale al pubblico impiego, la modifica del ruolo del contratto nazionale proposta nella trattativa a perdere con Confindustria, configurano la prospettiva di un ulteriore pesante arretramento per la classe lavoratrice.

Bisogna quindi certo chiedere la rottura immediata della trattativa e la sua chiusura da parte della CGIL, rompendo finalmente con i sindacati padronali CISL e UIL.

Ma anche se questo avvenisse (ciò che è purtroppo impossibile per l’attuale gruppo dirigente della CGIL) oppure nel caso (improbabile) che la nostra confederazione non firmi un accordo il problema rimane quello della mobilitazione per respingere le misure governative e quanto previsto nell’accordo.

Il sindacalismo di base ha convocato uno “sciopero generale” per il prossimo 17 ottobre. In mancanza d’altro si potrebbe dire meglio di niente , ma appunto non di più. Come militanti del PCL vi aderiremo tutt*, ovunque collocati sindacalmente, e quindi anche come iscritti CGIL. Ma nel contempo non possiamo che dire che convocando ora uno sciopero di un giorno per l’autunno, senza porsi il problema di tentare di costruire nella più ampia unità possibile, una mobilitazione reale e di massa, i gruppi dirigenti dei sindacati di base continuano a privilegiare in maniera autocentrata momenti propagandistici alla difficile lotta per una radicale risposta di classe.

La sola iniziativa che può tentare di rompere il ciclo delle sconfitte, prodotto della politica di subordinazione al padronato e ai suoi governi, in particolare di centrosinistra, delle grandi organizzazioni sindacali e in primo luogo della CGIL (e della politica di collaborazione di classe della sinistra governista) è la convocazione unitaria da parte di tutte le forze della sinistra sindacale, ovunque collocate, di una assemblea nazionale di delegat* che lanci una lotta ad oltranza nelle forme e su una piattaforma democraticamente determinati.

Una piattaforma che implichi ovviamente l’annullamento delle ultime misure del governo Berlusconi, l’abrogazione delle leggi di precarizzazione (legge 30 ma anche pacchetto Treu), un forte recupero salariale, e , crediamo, anche un salario minimo garantito intercategoriale, una dignitosa indennità di disoccupazione, il ritorno alla chiamata numerica e alle norme pensionistiche precedenti alla controriforma Dini.

Noi crediamo che sia su questo terreno che debbano impegnarsi le forze qui presenti. Se ci limiteremo invece a un dissenso tutto interno alla CGIL non riusciremo certo a tentare, almeno, di impedire una nuova sconfitta dei lavoratori.

Partito Comunista dei Lavoratori

domenica 20 luglio 2008

Successo del meeting nazionale del Pcl

Successo del meeting nazionale del Pcl

(18 luglio 2008)

Nonostante il periodo estivo e le difficoltà finanziarie dovute ad una campagna elettorale che ha visto un impegno importante di tutti i militanti, centinaia di compagne e compagni del Partito Comunista dei Lavoratori, la sezione italiana del Coordinamento per la rifondazione della IV Internazionale, provenienti da tutta Italia si sono riuniti sabato 12 luglio a Roma per il meeting nazionale del Partito dal titolo: "Via il governo Berlusconi. Per un parlamento dei lavoratori e delle sinistre. Costruiamo il Partito Comunista dei Lavoratori, la sinistra che non tradisce".

In un'atmosfera di grande entusiasmo i partecipanti hanno ascoltato l'introduzione di Franco Grisolia, dell'esecutivo nazionale del PCL, che ha anche ricordato il 70° anniversario della fondazione della IV Internazionale, le conclusioni di Marco Ferrando, portavoce nazionale del partito e vari interventi. Questi hanno incluso quelli di due delegati sindacali, membri della direzione nazionale del PCL, Daniele Debetto della Pirelli di Torino e Luigi Sorge della Fiat di Cassino, di due altri componenti della DN del PCL, Tiziana Mantovani e Pino Siclari e del più giovane dirigente nazionale del PCL, lo studente Ottaviano Lalli. Particolarmente significativi gli interventi dei compagni Michele Conti e Bianca del Vecchio, rappresentanti di due sezioni di Prc e Pdci che hanno in questi mesi abbandonato questi partiti per raggiungere il PCL, espressioni di un processo di crescita del PCL che sta continuando dopo le elezioni politiche di aprile scorso.

La voce delle altre sezioni del CRQI è stato espressa dal compagno Peter Johnson di Refoundation and Revolution degli Stati Uniti e dall'ampio messaggio del compagno Savas Matsas, segretario dell'EEK, letto dalla presidenza.

L'asse del meeting è stato la sottolineatura del modesto ma reale successo politico del PCL, del disastro annunciato dei riformisti (che hanno perso oltre il 70% dei loro voti alle elezioni) a causa della politica di collaborazione di classe nella partecipazione al governo di centro sinistra di Prodi, dell'opportunismo centrista di "Sinistra Critica" che a tale governo ha dato un "sostegno critico".

Per questo l'unica prospettiva per la classe operaia italiana e la sua avanguardia è quello di raggrupparsi nel PCL, la sinistra che non ha mai tradito e mai tradirà.

Nel contempo il PCL propone all'insieme della sinistra politica e sociale di unirsi in fronte unico a partire dalle fabbriche e quartieri, con delegati eletti e revocabili (parlamento dei lavoratori e delle sinistre), per organizzare la lotta al governo Berlusconi e alle sue misure politiche e sociali, ma sulla base ineliminabile di una completa rottura con il centrosinistra e il Partito Democratico di Veltroni.

Il meeting si è chiuso al canto dell'Internazionale e con lo slogan classico del PCL "Il proletariato non ha nazione, internazionalismo, rivoluzione. La rivoluzione sarà mondiale, viva la IV Internazionale".



lunedì 7 luglio 2008

Appello ai lavoratori ed alle lavoratrici della provincia di Nuoro. Basta con gli incontri dei sindacati con Soru & C., occupare le fabbriche in crisi

I segretari di CGIL, CISL e UIl della provincia di Nuoro, di fronte al riconoscimento che ci sono 1.500 nella provincia di Nuoro, non trovano di meglio che chiedere un incontro con il presidente del consiglio regionale G: Spissu. Poichè si tratta dell’ennesima iniziativa per consumare il tradimento nei confronti dei lavoratori e delle lavoratrici, i segretari nuoresi di CGIL, CISL e UIL non potevano trovare di meglio: G. Spissu ha un passato ai vertici della CGIL di Sassari, dove si è distinto per il suo craxismo.



I lavoratori e le lavoratrici devono riprendere la strada della lotta, rompere con i capi provinciali di CGIL, CISL, UIL e UGL e occupare le fabbriche in crisi. Solo con l’occupazione delle fabbriche si può piegare la volontà padronale e raccogliere il sostegno attivo degli altri lavoratori, delle lavoratrici e del popolo dei nostri paesi.

Tutte le strutture e i mezzi del sindacato devono essere utilizzati per organizzare l’occupazione.L’esasperazione per l’oppressione economica creerà intorno alle fabbriche occupate un vasto fronte di solidarietà e di lotta. Bisogna, perciò, dar vita nei nostri paesi una mobilitazione contro i tagli alla spesa ai comuni (9,2 miliardi di euro), alla scuola ( licenziamenti per centomila insegnanti di ruolo, supplenti e personale amministrativo ausiliario)e lauti finanziamenti alla scuola privata), alla sanità.

La crisi capitalista, iniziata negli USA nel giugno del 2007, è inarrestabile. Gli arresti di questi giorni a Wall Street per i crolli finanziari riguardano solo le pedine. Un giornalista del giornale di Confindustria si domanda : “ Ma non erano stati forse i vertici delle banche ad autorizzare certe spericolate triangolazioni finanziarie per aggirare la normativa vigente, e mettere le mani su strumenti finanziari per poi rivendergli agli ignari risparmiatori?”. Fra quei vertici c’è l’attuale governatore della Banca d’Italia, che prima di approdarvi era un dirigente della Goldman Sachs, una delle più potenti banche d’investimento del pianeta, che ha registrato un calo dei profitti per 2,09 miliardi di dollari.

Nè gli industriali, nè i banchieri né i loro lacchè di centrodestra e di centro sinistra, né la burocrazia sindacale sono in grado di uscire da questa crisi capitalista inarrestabile.

Ai lavoratori, alle lavoratrici, alle masse popolari non resta altra strada che la lotta organizzata di massa.

La prima risposta dev’essere l’occupazione delle fabbriche, senza questa formidabile strumento di lotta le mobilitazioni, gli scioperi, i presidi e le altre forme di lotta sono inutili.

Occupare le fabbriche in crisi per nazionalizzarle senza indennizzo e porre la produzione , la distribuzione e il rapporto con le banche sotto il controllo dei lavoratori e delle lavoratrici.