giovedì 25 dicembre 2008

Solidarietà al compagno della CGIL vittima dell’autoritarismo delle forze dell’ordine e dello Stato

Il coordinamento regionale sardo del Partito Comunista dei Lavoratori esprime la più completa solidarietà al compagno della Fillea-CGIL della Gallura ingiustamente e autoritariamente accusato dalle forze dell’ordine di “violazione del segreto di Stato”, con l’accusa di aver scattato delle foto nei pressi dei cantieri del G8 a La Maddalena , dove il sindacalista si occupa della difesa dei diritti e delle condizioni di lavoro degli operai edili contro i soprusi e le irregolarità dei padroni.

Questo gravissimo atto poliziesco, che ha costretto il compagno della CGIL a subire una perquisizione da parte delle forze dell’ordine e una mattinata di interrogatorio, si inserisce nel quadro dell’attacco del governo Berlusconi e della borghesia ai diritti e alle libertà sindacali e democratiche di chi si batte in difesa dei diritti dei lavoratori. Gli attacchi al diritto di sciopero, alle organizzazioni sindacali ai compagni, e ai diritti democratici in generale devono allarmare seriamente tutti i sindacati, i partiti della sinistra e i sinceri democratici.

Invitiamo la Cgil a mobilitarsi in difesa del compagno oggetto della repressione dello Stato, e delle libertà sindacali, anche con presidi e manifestazioni nel territorio gallurese. Come Partito Comunista dei Lavoratori saremo sempre disponibili a qualsiasi lotta in difesa del compagno (e di tutti i compagni) oggetto del grave attacco antisindacale.

Inviamo al compagno la nostra più sentita solidarietà e la nostra vicinanza.



Partito Comunista dei Lavoratori - Coordinamento regionale Sardegna

venerdì 10 ottobre 2008

Crisi capitalistica: paghi chi non ha mai pagato!

(7 ottobre 2008)

COMUNICATO STAMPA
Dichiarazione di Marco Ferrando

Tutte le ricette anticrisi sono fallite. Ora bisogna respingere al mittente
ogni richiesta di nuovi sacrifici: paghi chi non ha mai pagato, non il mondo
del lavoro.
La crisi capitalistica si aggrava.
Tutte le illusioni liberali o keynesiane, tutte le ricette dei sacerdoti del
capitale, sono di fronte al proprio fallimento. Il dispendioso soccorso dei
banchieri a spese dei contribuenti non inverte la china della crisi, né in
America né in Europa. Una più larga ondata recessiva minaccia una volta di
più la condizione di vita di centinaia di milioni di lavoratori, già gravati
da decenni di sacrifici. La verità è che solo una prospettiva
anticapitalistica può indicare una via d'uscita reale dalla crisi economica
e sociale. Il resto è chiacchiere. E' l'ora che il movimento operaio e le
sinistre si battano finalmente per questa prospettiva rompendo con le
illusioni del passato.
Da subito va respinta al mittente ogni richiesta di nuovi sacrifici: paghi
chi non ha mai pagato, non il mondo del lavoro.
I miliardi destinati all'aiuto dei banchieri vadano alla protezione dei
salari, delle pensioni, dei servizi sociali. Si restituisca ai lavoratori e
alla previdenza pubblica l'importo dei fondi pensione, oggi a rischio o in
picchiata. Si nazionalizzino le banche, sotto il controllo dei lavoratori,
senza indennizzo per i grandi azionisti, a tutela degli stessi piccoli
risparmiatori: consentendo l'abbattimento dei mutui da usura sempre più
insostenibili per milioni di famiglie. Si destinino alla scuola, alla
sanità, all'edilizia popolare le risorse oggi riservate alle grandi imprese,
alle spese militari, alle gerarchie ecclesiastiche.
Il PCL porterà in piazza l'11 ottobre la proposta di un governo dei
lavoratori quale unica vera alternativa, a sostegno di un programma di
svolta.

Milano, 7 ottobre 2008

MARCO FERRANDO
portavoce del Partito Comunista
dei Lavoratori

domenica 5 ottobre 2008

La paura della borghesia

Dirigenti politici, economisti, tecnocrati ed intellettuali della grande borghesia esternano quotidianamente le loro paure di fronte alla catastrofe economica, sociale e politica in corso. Sentono di essere screditati di fronte alla maggioranza della popolazione. Mario Monti se la prende con l’oligarchia al potere negli Usa: “Ma gli Usa hanno fallito in quella ‘specialità’ che per molti decenni hanno insegnato con successo all’Europa e ai Paesi emergenti: la governance dell’economia di mercato. Con la crisi finanziaria in corso che si è generata al proprio interno, hanno dato un vulnus severo e durevole all’immagine e all’accettabilità, nel mondo, dell’economia di mercato”( Sole24ore, 22 agosto). Ernesto Galli della Loggia va più a fondo di Monti: “Sembra cioè farsi sempre più strada, in vasti settori della popolazione, la convinzione che prima che le loro azioni siano le stesse idee delle élites sociali finora in auge, il loro modo di sentire e di essere, la loro cultura nell’accezione complessiva del termine, ad aver fatto il proprio tempo e a essere sempre più estranee alle opinioni delle maggioranze”. Da questa constatazione trae delle conclusioni politiche chiare: “Di fronte a tutto ciò parlare di una ‘ribellione delle masse’ all’ordine del giorno sarebbe francamente esagerato. Ma tenere gli occhi ben aperti di certo non lo è”( Corriere della Sera, 4 ottobre).
Con parole sue Galli della Loggia esprime quello che Gramsci chiamava crisi dell’egemonia della classe dominante: quando la crisi, la catastrofe economica, si esprime al suo massimo livello, quello della crisi del consenso alla classe dominante. Quando le cose stanno così, si entra in una crisi rivoluzionaria. Allora quale è il dovere delle forze della sinistra proletaria? “Si tratta qui del dovere più incontestabile e più essenziale di tutti i socialisti: il dovere di rivelare alle masse l’esistenza di una situazione rivoluzionaria, di spiegarne l’ampiezza e la profondità, di svegliare la coscienza e l’energia rivoluzionaria del proletariato, di aiutarlo a passare all’azione rivoluzionaria e a creare delle organizzazioni conformi alla situazione rivoluzionaria per lavorare in questo senso”( Lenin, Il fallimento della II Internazionale). Questo fa il Coordinamento internazionale per la rifondazione della IV Internazionale e la sua sezione nello stato italiano, il Partito Comunista dei Lavoratori, che propone come organizzazione della lotta un’assemblea intercategoriale dei delegati, promossa unitariamente, che vari una piattaforma di svolta per una vertenza generale di tutto il mondo del lavoro. In questa assemblea ci batteremo perché siano presenti gli obiettivi sintetizzati nelle nostre parole d’ordine per la manifestazione dell’11 ottobre: nazionalizzare le banche, non i loro debiti;abbattere i mutui non i salari; governino i lavoratori non i banchieri.
A chi ci obietta che il governo dei lavoratori è un’utopia perché l’economia è troppo complessa, rispondiamo che chi non lo considera realistico è subalterno all’ economia dell’accademia, ai suoi modelli econometrici ed alle sue formule, ormai, screditate fra gli stessi borghesi. A riguardo, è significativo quanto ha scritto Mario Margiocco: “L’intero investment banking è stato colpito dal morbo di Black-Scholes: il virus nascosto nella formula matematica che porta quel nome e che ha fatto vincere all’Accademia americana tre premi nobel. La formula, che si pensava capace di eliminare il rischio dalle transazioni finanziarie, è invece la madre di tutti i guai, con la pretesa di saper individuare il giusto prezzo futuro. Di prevedere il futuro, insomma”( Sole24ore 21 sett.). Una tale prerogativa è propria, secondo il fondatore della scienza moderna, Galileo, di un’intelligenza extensive, cioè un’intelligenza in grado di possedere contemporaneamente la visione del presente, del passato e del futuro. Ma, ironicamente, Galileo faceva notare che un’intelligenza del genere la possiede solo dio. Pretese del genere sono proprie del delirio idealista, alimentato sicuramente dalla polvere di cocaina che aleggia nelle Borse e negli ambienti prossimi.
Di fonte alla paura che manifestano le élites borghesi, Rossana Rossanda non trova di meglio che porsi i seguenti interrogativi: “ Che faremmo se fossimo al governo? Che chiederemmo di fare a Prodi se non fosse stato rovesciato?”( Manifesto 4 ottobre). Rossanda ripone ancora le sue speranze in un individuo la cui azione di governo ha portato per ben due volte un tipo come Berlusconi e la destra al governo, e la maggioranza del movimento operaio alla devastazione, innanzitutto, politico-culturale. Rossana Rossanda ha la responsabilità di continuare a diffondere, nella sinistra, la tesi che per il movimento operaio, di fronte alla catastrofe ed alla destra trionfante, non c’è altra strada che quella dell’alleanza con quella parte della borghesia, secondo lei e quelli come lei, illuminata. Questa tesi costituisce il nucleo di fondo del togliattismo di Rossanda che continua a legarla alla tradizione stalinista dei “fronti popolari”. Rossana Rossanda, dopo la vaporizzazione del mito maoista, è entrata in quella schiera, purtroppo numerosa, di intellettuali di sinistra che ”hanno dedicato i loro anni migliori al compito di escludere dall’orizzonte storico la possibilità di un crollo capitalista e di tacciare di catastrofismo chi diceva il contrario”( Jorge Altamira, Crisi mondiale: una sinistra accademica e paurosa, Prensa Obrera n° 1057). La fondatrice del Manifesto si ostina a dimenticare che Prodi ha trafficato nella Goldman Sachs in buona compagnia con Mario Draghi, ex vicegovernatore della stessa, con Mario Monti, con Gianni Letta membro dell'Advisory Board di G.S., con R.Rubin, da dirigente Goldman Sachs a segretario al Tesoro presidenza Clinton, con H. Paulson, da vice Presidente di Goldman Sachs a Segretario al Tesoro sotto presidenza G.W. Bush. Una compagnia di pescicani, affamatori di popoli, affetti da delirio di onnipotenza. Rossanda continua ad accreditare, fra i lettori del Manifesto, uno come Prodi che ha dedicato tutta la sua vita a servire i capitalisti e quel centro della reazione mondiale che è il Vaticano?
La paura che la borghesia ha della catastrofe in corso, si trasmette alla sinistra piccoloborghese. Rossanda concorda con Parlato che, qualche giorno prima sul Manifesto ( 30 settembre), ammoniva che “ non c’è affatto di essere contenti perchè la meccanica stessa del capitalismo e anche del mercato scaricherà il massimo dei danni sui lavoratori e sui ceti meno abbienti”. Ma si è mai visto che il passaggio da un modo di produzione ad un altro avvenga senza catastrofi? Il fine del socialismo scientifico, a differenza del riformismo disarmante, è quello di armare le avanguardie della classe salariata a questa evenienza. Prepararle in modo tale da essere capaci di raccogliere sotto le bandiere della rivoluzione sociale, anche, i settori della piccola borghesia rovinati dalla catastrofe e dallo scempio che capitalisti, banchieri e pescecani della finanza fanno dei loro risparmi. Non è vero che la piccola borghesia nelle catastrofi si sposta meccanicamente a destra. Questo succede quando le direzioni della sinistra e del movimento operaio cercano la protezione di quella parte della borghesia da loro ritenuta, erroneamente, illuminata. La piccola borghesia odia chi è responsabile del saccheggio dei suoi risparmi, perciò la strada obbligata è quella della “nazionalizzazione delle banche, senza indennizzo e sotto il controllo dei lavoratori, quale misura indispensabile di svolta sociale e di igiene morale, persino a tutela dei piccoli risparmiatori”(Marco Ferrando).
La catastrofe in corso rovina settori consistenti degli strati bassi dei ceti medi e questo si ripete dalla prima crisi generale del capitalismo che fu la causa oggettiva delle rivoluzioni del 1848. La piccola borghesia francese - dopo essere stata influenzata dai “democratici puri” – marciò, nel giugno del 1848, contro le barricate proletarie, convinta di ottenere una ricompensa, ma rimase tristemente sorpresa dopo il massacro proletario:
“E quando le barricate furono abbattute e gli operai schiacciati e i guardiani delle botteghe, ubriachi di vittoria, si rovesciarono di ritorno nelle loro botteghe, ne trovarono sbarrato l’ingresso da un salvatore della proprietà, da un agente ufficiale del credito, che agitava loro in faccia le sue lettere di protesta: cambiale scaduta! Fitto scaduto! Tratta scaduta! Bottega fallita! Bottegaio fallito” ( Karl Marx, Le lotte di classe in Francia).
Dopo centosessanta anni la questione non è cambiata: o ci si schiera col programma del proletariato rivoluzionario e si combatte sotto le sue bandiere oppure si va incontro a catastrofiche sconfitte.

Gian Franco Camboni direzione Pcl 5 ottobre 2008

sabato 4 ottobre 2008

DICHIARAZIONE SULLA CRISI CAPITALISTICA

(4 ottobre 2008)

La crisi di Wall Street e i suoi primi effetti in Europa non sono semplici turbolenze, per quanto gravi, del capitalismo: sono la cartina di tornasole della sua vera natura e, insieme, della sua crisi strutturale. Esse smentiscono una volta di più, se ve n’era bisogno, tutti gli annunci apologetici dell’89 sulla nascita di un nuovo “ordine mondiale” economicamente prospero. Così come sconfessano tutte le fantasie neoriformiste o “centriste” su un “nuovo mondo possibile” in ambito capitalistico. Al contrario: l’attuale crisi capitalistica conferma una volta di più l’attualità della rivoluzione socialista internazionale quale unica via d’uscita storicamente progressiva dalla crisi dell’umanità.



Naturalmente sarà necessario verificare attentamente il corso della crisi finanziaria, i ritmi della sua propagazione internazionale, le sue ricadute sulla produzione mondiale, i suoi effetti sul declino americano negli equilibri globali. Ma in ogni caso al di là delle sue variabili imprevedibili, la grande crisi di Wall Street rivela nella forma più clamorosa tutta l’irrazionalità del capitalismo, l’anarchia insuperabile del suo modo di produzione, la barbarie morale delle sue classi dirigenti, dei suoi partiti, dei suoi governi di diverso colore.



Per vent’anni la borghesia mondiale, americana ed europea, ha costruito il grande castello delle proprie fortune finanziarie sul massacro sociale dei salari e del lavoro; sulla privatizzazione delle prestazioni sociali (fondi pensione); sull’indebitamento crescente e indotto di milioni di famiglie in cerca di casa o di cure sanitarie; sulla cinica cartolarizzazione dei debiti e dei rischi d’insolvenza: in una gigantesca giostra di capitali fittizi, spinta dalla ricerca di un profitto più elevato e più rapido di quello garantito dall’economia “reale”. La miseria sociale e la speculazione sulla miseria sono state la base dell’enorme ricchezza finanziaria accumulata dalle grandi banche, assicurazioni, imprese. Oggi quelle stesse classi dirigenti cercano di scaricare gli effetti del crollo del loro castello finanziario sulle medesime vittime sociali delle proprie speculazioni. Questa è la sostanza del piano Paulson negli USA col sostegno congiunto di Bush, Obama e McCain. Questo è il segno dei salvataggi finanziari operati in Europa, in Gran Bretagna, in Francia, in Germania, in Belgio, in Olanda.



Ovunque la crisi sconfessa clamorosamente le ipocrisie ideologiche degli ultimi 20 anni.

I governi più “liberisti”, nel colpire i lavoratori, diventano i più “statalisti” quando si tratta di salvare i banchieri, naturalmente a spese dei contribuenti. I più solenni avversari del più piccolo “aiuto statale” per il salvataggio di posti di lavoro nei servizi pubblici, promuovono giganteschi aiuti dello stato per il salvataggio degli speculatori privati destinando centinaia di miliardi pubblici all’acquisto di titoli “tossici” o di azioni in declino. I nemici ideologici di ogni nazionalizzazione non esitano a comprare in tutto o in parte banche e assicurazioni in difficoltà: pagando indennizzi miliardari (e un futuro dorato) a sfruttatori cinici, con i soldi prelevati dal portafoglio degli sfruttati e da nuovi tagli sociali. I lavoratori colpiti nella previdenza pubblica a vantaggio di fondi pensione truffaldini (spesso oggi in picchiata) sono chiamati a pagare il conto lasciato dalle banche truffatrici: dunque sono truffati due volte. Famiglie spremute per anni da mutui bancari usurai sono chiamate a pagare il disastro dei loro strozzini: magari dopo aver subito il pignoramento della casa. Ovunque gli effetti della crisi e delle terapie borghesi si scaricheranno sulle condizioni sociali di grandi masse, già provate da decenni di “sacrifici”.



Di fronte a questo scenario generale, si conferma, una volta di più, la totale inconsistenza di ogni ingenuità riformista. I teorici del capitalismo democratico e sociale, di un “keynesismo progressista”, di un compromesso riformatore con la borghesia, sono davanti al fallimento di tutte le loro fantasie. Il nuovo statalismo della borghesia è a sostegno delle banche (e del militarismo) contro i lavoratori. Né più né meno che il vecchio liberismo. E’ la riprova che la borghesia usa i più diversi specchi ideologici a difesa dei propri immutati interessi di dominio.

Ogni riduzione dell’anticapitalismo all’antiliberismo ha rappresentato e rappresenta un inganno per i lavoratori e i movimenti sociali: spesso allo scopo di non pregiudicare compromessi di governo con le classi dominanti e i loro “partiti democratici” contro i lavoratori e i movimenti.

Parallelamente l’enormità della crisi in corso polverizza tutte le impostazioni iperminimaliste sostenute nei movimenti dalle organizzazioni centriste (Tobin tax, democrazia partecipativa…): miti ideologici illusori ormai defunti, subalterni all’idea di un capitalismo “sociale”, che rivelano, tanto più oggi, tutta la propria impotenza.



La verità nuda e cruda che la grande crisi internazionale ci consegna è la conferma del marxismo: il capitalismo non è socialmente riformabile. Né per via ministeriale, né per opera della “pressione” dei movimenti. Nessun nuovo futuro per l’umanità è compatibile con il potere delle banche, delle assicurazioni, delle grandi imprese, dei loro partiti, dei loro governi, dei loro Stati. Il rovesciamento rivoluzionario di questo potere è condizione storica decisiva per il progresso della società umana. Solo un governo operaio può nazionalizzare le banche non i loro debiti. Solo il potere dei lavoratori e delle lavoratrici può rendere possibile un mondo nuovo, liberato dalla dittatura del capitale finanziario.



Il PCL è orgoglioso di rappresentare l’unico partito della sinistra italiana che si batte per questa prospettiva storica, e che cerca di ricondurre ad essa le rivendicazioni immediate di lotta, e tutto il proprio intervento quotidiano nella classe operaia e in ogni movimento.

Come è orgoglioso di appartenere a una corrente rivoluzionaria internazionale che persegue lo stesso programma in tutto il mondo: perché la crisi mondiale del capitalismo conferma ancora una volta che l’alternativa socialista o è internazionale o non è.

ESECUTIVO NAZIONALE PCL

venerdì 3 ottobre 2008

sulla crisi finanziaria, lavoro e la manifestazione dell' 11 Ottobre

(2 ottobre 2008)

(ANSA) - ROMA, 1 OTT - Il Partito comunista dei lavoratori
«rivendica la nazionalizzazione delle banche, senza indennizzo
e sotto il controllo dei lavoratori, quale misura indispensabile
di svolta sociale e di igiene morale, persino a tutela dei
piccoli risparmiatori»: così Marco Ferrando del Pcl secondo
cui occorre «nazionalizzare le banche, non i loro debiti;
abbattere i mutui, non i salari; governino i lavoratori, non i
banchierì». Queste - fa sapere Ferrando - «saranno tra le
parole d’ordine che porteremo l’11 ottobre alla manifestazione
nazionale delle sinistre».
«L’attuale crisi finanziaria - prosegue - smaschera le
ipocrisie di 20 anni. I governi più liberisti nel colpire i
lavoratori diventano i più statalisti quando si tratta di
salvare i banchieri a spese dei contribuenti. È a questo che si
prepara Berlusconi, mentre si affretta a rassicurare i
risparmiatori? La verità è che le banche italiane, impegnate
ad accrescere il proprio bottino nel trasporto aereo e
ferroviario, nascondono i propri bilanci proprio ai
risparmiatori: mentre continuano a crescere i mutui usurari,
cadono i fondi pensione, rischiano la bancarotta centinaia di
enti locali. Le sinistre non hanno nulla da proporre all’altezza
della gravità della crisi?».(ANSA).
=


Roma, 1 ott. (Adnkronos) - «Se la Cgil rompe finalmente con
Confindustria, è un bene per il mondo del lavoro. Ma non può ora
fermarsi a metà strada. Deve intraprendere la via di un vero sciopero
generale, su una piattaforma di svolta, che ingaggi un’autentica prova
di forza col padronato e col governo: a partire dalla rivendicazione
di un aumento generale dei salari di almeno 300 euro, e della
cancellazione di tutte le leggi di precarizzazione del lavoro». Lo
afferma Marco Ferrando del Partito dei comunisti lavoratori.
«È necessaria l’unità di lotta di tutte le organizzazioni
sindacali non concertative e di tutte le sinistre a sostegno di questa
prospettiva -esorta- Centrale è la promozione unitaria di
un’assemblea nazionale intercategoriale dei delegati che vari una
piattaforma di svolta per una vertenza generale di tutto il mondo del
lavoro».
E assicura: «Il Partito comunista dei lavoratori si batterà
tanto più oggi in ogni sindacato e luogo di lavoro per questa
prospettiva».

mercoledì 1 ottobre 2008

Dichiarazione di Marco Ferrando sulla crisi finanziaria mondiale

(30 settembre 2008)

Roma, 30 set. - (Adnkronos) - «La crisi finanziaria che esplode a Wall Street e sbarca in Europa, ha messo a nudo tutta l’anarchia del capitalismo mondiale. Altro che il ’nuovo ordinè annunciato nell’89!
Vent’anni di false ideologie sono travolti dalla crisi. I governi più ’liberistì nel colpire i lavoratori diventano i più ’statalistì quando si tratta di salvare i banchieri, naturalmente a spese dei contribuenti. I lavoratori che hanno subito il taglio della previdenza pubblica a vantaggio della truffa dei fondi pensione (oggi in picchiata), sono chiamati a pagare il conto delle banche truffatrici.
Famiglie immiserite per anni dai mutui usurai pagano il conto lasciato dai loro strozzini: magari dopo aver perso la casa». Lo afferma Marco
Ferrando del Partito comunista dei lavoratori (Pcl).
«Tanto più oggi, tutte le illusioni su una possibile riforma sociale del capitalismo, sono prive di ogni credibilità -aggiunge-
L’unica via d’uscita dalla crisi che sia positiva per il mondo del lavoro passa per la prospettiva del rovesciamento dell’ordine capitalistico.
Per la costruzione, su scala internazionale, di una
società socialista, liberata dalla dittatura del profitto e restituita al primato dei bisogni sociali. Il Pcl è orgoglioso di rappresentare in Italia l’unico partito impegnato a ricondurre ogni lotta alla prospettiva della rivoluzione sociale e del governo dei
lavoratori. Sfidiamo su questo al confronto tutte le sinistre italiane».

sabato 27 settembre 2008

testo volantino per le mobiltazioni CGIL del 27 settembre

(25 settembre 2008)

VIA BERLUSCONI
NO AL CENTROSINISTRA
GOVERNINO I LAVORATORI

Il governo Berlusconi sta procedendo ad un attacco durissimo contro il mondo del lavoro, senza incontrare una reale opposizione.
Si colpiscono i salari. Si estende la precarizzazione del lavoro. Si punta alla distruzione del contratto nazionale. Si porta a sanità e scuola pubblica un attacco mai conosciuto in precedenza. Si vorrebbe regalare il trasporto pubblico alle cordate dei capitalisti mettendo su una strada decine di migliaia di lavoratori. E intanto si cerca di alimentare la guerra tra i poveri con odiose politiche xenofobe.
Eppure manca l’opposizione.
Il PD di Veltroni, Calearo, Colaninno non vuole e non può opporsi a un governo Berlusconi che è oggi sostenuto da quella grande borghesia “amica” (Colaninno, Banca Intesa..) che il PD si candida a rappresentare.
Le sinistre Arcobaleno che in cambio di ministri avevano votato le finanziarie di Prodi e Confindustria, ora giustamente denunciano un governo che riprende e aggrava quelle politiche: ma non avanzano alcuna reale proposta generale di azione.
Così non si può andare avanti.
Grandi sono le responsabilità della CGIL. I suoi vertici dirigenti non solo non hanno promosso in questi mesi alcuna mobilitazione ma hanno continuato a negoziare con Berlusconi e Confindustria sulla manomissione del contratto nazionale. Subendo, ciò nonostante, una campagna di criminalizzazione della CGIL che mira alla sua resa incondizionata.
E’ necessaria una svolta. La CGIL rompa una volta per tutte con Confindustria e Governo e si ponga sul terreno di una reale mobilitazione di massa. E’ l’unica via per costruire un argine all’offensiva reazionaria e strappare risultati.
Il PCL - unico partito della sinistra a opporsi coerentemente al governo Prodi - rivendica una lotta radicale contro il governo Berlusconi per la sua cacciata. E propone un fronte unico d’azione tra tutte le forze politiche e sindacali del movimento operaio che scelgano di stare dalla parte dei lavoratori, su una piattaforma di vertenza generale del mondo del lavoro .Per uno sciopero generale vero, non simbolico, che punti a piegare governo e Confindustria con una lotta prolungata “alla francese”. Chiediamo a tal fine la convocazione di una grande assemblea nazionale intercategoriale dei delegati.

Per un aumento generale dei salari di 300 euro netti
Per la cancellazione di tutte le leggi di precarizzazione del lavoro
Per un salario minimo di 1300 euro e un salario di 1000 euro per i disoccupati
Per la parità di diritti di lavoratori italiani e migranti
Per un grande investimento in scuola, sanità, trasporti, sotto controllo popolare
Per la nazionalizzazione, sotto controllo operaio, delle aziende che licenziano, inquinano, causano omicidi bianchi
Paghi chi non ha mai pagato: grandi profitti, spese militari, privilegi clericali

A 40 anni dall’autunno caldo, occorre ripartire da una piattaforma di svolta: in piena autonomia dal centrosinistra, per aprire la prospettiva di un governo dei lavoratori che cacci le vecchie classi dirigenti.
Il PCL - la sinistra che non tradisce - è nato per battersi per questo programma, senza altro interesse che la sua realizzazione.

PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

martedì 23 settembre 2008

CUB Alitalia e nazionalizzazione

si fa strada la proposta del PCL

(23 settembre 2008)

Roma, 22 set. - (Adnkronos) - «Il fatto che il sindacato Cub di Alitalia abbia avanzato la richiesta di nazionalizzazione della compagnia, è una novità positiva e importante. La richiesta di nazionalizzazione -sinora sostenuta sul piano politico dal solo Pcl- inizia a farsi largo tra i lavoratori. Chiediamo ai partiti della sinistra di appoggiare la richiesta avanzata dalla Cub». Lo afferma Marco Ferrando, del Partito comunista dei lavoratori Pcl.
«La nazionalizzazione di Alitalia, senza indennizzo per i grandi azionisti, è infatti l’unica vera alternativa alla nazionalizzazione dei suoi debiti, pretesa dalla Cai -prosegue- E l’unica soluzione che può tutelare i posti di lavoro e i diritti contrattuali per i lavoratori. L’affidamento al mercato e a nuovi eventuali compratori -come chiede Epifani e una parte del Pd-
esporrebbe i lavoratori a nuovi inaccettabili ricatti e sacrifici».

mercoledì 17 settembre 2008

Siamo al fianco dei lavoratori Alitalia, senza riserve.

NO ALLA SVENDITA

LA VOSTRA DIGNITA' VALE PIU' DEI LORO PROFITTI

OCCORRE UN COMITATO DI SCIOPERO


Se passa il piano CAI-BERLUSCONI si crea un precedente devastante per tutto il mondo del lavoro:

decurtazione dei salari, cancellazione di anzianità e professionalità, umiliazione dei diritti
contrattuali più elementari.


E' inaccettabile. E tanto più inaccettabile la firma sindacale di questa svendita.


Come lavoratori del trasporto aereo avete dimostrato in questi giorni molta combattività e determinazione.

Ora siete chiamati a usare la vostra forza con la stessa radicalità che la CAI e BERLUSCONI hanno usato contro di voi.


Vincere si può.

Si può bloccare l'intero trasporto aereo nazionale.

Si possono eleggere dal basso in ogni struttura Alitalia comitati unitari di sciopero, sino a un comitato

di sciopero nazionale capace di dirigere e unificare la lotta.


In Francia forme simili di organizzazione della lotta hanno strappato risultati proprio nel settore dei trasporti.

Perchè non riprendere quell' esempio?


Solo la forza dei lavoratori può far saltare il piano CAI-BERLUSCONI e aprire il varco

, dal basso, per l'unica vera soluzione alternativa che sia positiva per i lavoratori: la nazionalizzazione dell'intero trasporto aereo nazionale, sotto il controllo dei lavoratori, senza indennizzo per i grandi azionisti, con l'annullamento dei debiti bancari e l'abbattimento degli stipendi milionari dei dirigenti.


E' una soluzione che garantirebbe non solo i posti di lavoro e di diritti contrattuali, ma anche il portafoglio dei contribuenti

E' una soluzione altrettanto radicale di quella pretesa dal governo: la differenza è che guarda ai lavoratori, non ai banchieri.


In ogni caso il Partito Comunista dei Lavoratori si sente mobilitato al vostro fianco, come ha dimostrato in questi giorni la presenza ai vostri presidi del nostro portavoce nazionale

(Marco Ferrando). E sosterrà tutte le azioni di lotta che vorrete intraprendere: perchè la dignità dei lavoratori vale più

dei profitti dei loro padroni.

Partito Comunista dei Lavoratori

sabato 13 settembre 2008

''Il Pcl partecipera' alla manifestazione nazionale della sinistra promossa per l'11 Ottobre

Marco Ferrando :
IL PCL Alla manifestazione dell' 11 Ottobre

(11 settembre 2008)

''Da tempo - spiega - avevamo proposto pubblicamente una manifestazione unitaria da sinistra contro il governo reazionario di Berlusconi, indicando proprio la data dell'11 ottobre .
La manifestazione, finalmente convocata, puo' contribuire a rianimare settori disorientati del popolo della sinistra e a contrastare il disegno della sua assimilazione da parte del Pd e di Di Pietro''.

''Al tempo stesso l'appello di convocazione della manifestazione conferma, come era prevedibile, tutte le ambiguita' dei gruppi dirigenti della Sinistra Arcobaleno attorno al rapporto futuro col Pd e col centrosinistra.

Confermando oltretutto l'analisi del Pcl sul carattere di facciata della ''svolta a sinistra'' del Prc.

''Per questo - prosegue Ferrando - il Pcl non aderisce all'appello e partecipera' alla manifestazione unitaria con una propria proposta distinta: che rivendica l'unita' di classe delle sinistre in alternativa al Pd, oggi e domani; sostiene tutte le lotte e mobilitazioni contro il governo e contro le politiche concertative (inclusa, in particolare, l'azione di sciopero del 17 ottobre); rivendica un Parlamento dei lavoratori e delle sinistre come sede di fronte unico contro Berlusconi; rivendica la cacciata del governo Berlusconi per un governo dei lavoratori, per mezzo di una radicale mobilitazione di massa''.

''Il Pcl fa appello a tutti i militanti critici della sinistra a raggrupparsi l'11 ottobre attorno a questa proposta di indipendenza di classe''.


Roma, 10 settembre

martedì 9 settembre 2008

RISPOSTA A PIERPAOLO LEONARDI

La risposta di Marco Ferrando ( portavoce del PCL) alla lettera di Paolo Leonardi pubblicata ieri sul "Manifesto".

(9 settembre 2008)

Caro Pierpaolo, la risposta alla tua lettera non solo è dovuta, ma è gradita. Perché spero possa aiutare a "diradare la nebbia" sia su elementi di obiettiva confusione, sia su reali divergenze politiche che il tuo testo sottintende o rivela.
Nella sostanza, se ho ben inteso, tu tendi a "contrapporre" in qualche modo l'azione di sciopero e manifestazione previsti per il 17 Ottobre all'eventuale manifestazione da noi proposta per l'11 Ottobre. E lo fai non tanto in ragione di una vicinanza di date (tanto è vero che tu stesso riconosci che "la manifestazione dell'11 non inciderà più di tanto sulla partecipazione dei lavoratori e delle lavoratrici a quella che si terrà il 17"), ma di una valutazione politica: essendo a tuo avviso quella dell'11 una manifestazione di "autoreferenzialità politica tutta negativa" e quella del 17 un'azione reale di conflitto. Infine poni alcune domande sfida sulla scelta di riferimento sindacale o sulla scelta "conflitto o concertazione" (che, per inciso, capisco se rivolte a PRC e PDCI, ma grottesche se rivolte al PCL, visto i tempi e le ragioni della nostra nascita).
Provo a darti una risposta chiarificatrice e magari a porti io, a mia volta, qualche domanda.
1) Come ben sai, il PCL dà pieno e attivo sostegno all'azione di sciopero generale promossa per il 17 Ottobre (avendo oltretutto partecipato con i nostri iscritti membri dei diversi sindacati di base all'assemblea nazionale del 17 Maggio che ha promosso l'iniziativa e avendone salutato pubblicamente la positività). Così come ha dato pieno e attivo sostegno negli anni recenti a tutte le azioni di sciopero generale promosse dal sindacalismo di base contro quelle finanziarie del governo Prodi votate da PRC, PDCI o (nel 2006) da Sinistra Critica, anche con l'adesione pubblica dei nostri compagni iscritti e dirigenti in CGIL, talvolta pagandone il prezzo con vergognosi tentativi di ritorsioni burocratiche dell'apparato CGIL (ti è noto il caso del nostro compagno Debetto a Torino). Al tempo stesso, come in passato e tanto più oggi, riteniamo che l'attacco che viene condotto contro il mondo del lavoro, per la sua gravità, non sia affrontabile esclusivamente con singole iniziative di protesta del sindacalismo di base (per quanto naturalmente positive soprattutto se proclamate da un fronte unitario dello stesso ); ma richieda la preparazione di una vertenza generale del mondo del lavoro, basata su una piattaforma di lotta unificante e di svolta, che miri a sviluppare il movimento reale, a incidere realmente sui rapporti di forza e a strappare risultati. In questo senso abbiamo proposto e riproponiamo la convocazione congiunta di un'assemblea nazionale unitaria intercategoriale di delegati: perché quella assise può consentire di allargare, su base democratica, il fronte promotore di una vertenza generale, aggirando gli steccati divisori oggi esistenti tra diverse espressioni del sindacalismo di classe (sia di base che interno alla CGIL), e favorendo un livello superiore di mobilitazione. Ti chiedo: perché si continua ad opporre un silenzio a questa nostra proposta? Non vorremmo che questo silenzio (un sostanziale rifiuto) fosse determinato dal privilegiamento autoconservativo e d'immagine della propria sigla sindacale a scapito del movimento reale. Ma saremmo felicissimi – nell'interesse generale – se fossimo smentiti da una tua risposta di merito.
2) La contrapposizione tendenziale che tu operi tra lo sciopero del 17 e una manifestazione politica delle sinistre per l'11 è profondamente sbagliata. Per diverse ragioni complementari.
In primo luogo, consentimi una considerazione di carattere generale: il movimento sindacale non esaurisce la vita e le espressioni del movimento operaio (politiche, organizzative, associative, culturali). Noi restiamo degli inguaribili leninisti: contro ogni forma di pansindacalismo (che vede nell'azione sindacale tutta la politica di classe); così come contro ogni pretesa di questa o quell'altra forza della sinistra di esprimere un "proprio sindacato" come propria cinghia di trasmissione (con una riduzione economicista del proprio intervento politico e a scapito del movimento reale). Come PCL, rovesciamo esattamente questa impostazione. Così come siamo per il pieno e libero dispiegamento dell'azione sindacale in funzione dello sviluppo della lotta di classe e contro ogni logica autoconservativa, così cerchiamo di sviluppare in ogni movimento e nell'ambito dell'intera società una battaglia politica più generale: che riconduca ogni rivendicazione parziale (sindacale, sociale, antimperialista, antirazzista, femminista, anticlericale, ambientalista) alla prospettiva del rovesciamento del capitalismo e del potere dei lavoratori. Il PCL considera il proprio partito non come "un fine", ma come lo strumento organizzato di questa battaglia. E questa battaglia, per sua natura, non si svolge solo sul terreno sindacale, ma investe l'intero quadro politico: a partire dall'opposizione alla politica complessiva del governo. E' possibile rimuovere la complessità e l'ampiezza della battaglia politica dei comunisti alla sola dimensione sindacale e, per di più, alla sola azione del sindacalismo di base? E' un'impostazione legittima, s'intende. Semplicemente non solo non è la nostra, ma è un'impostazione che contrastiamo apertamente.
In secondo luogo, il terzo governo Berlusconi, per le sue caratteristiche reazionarie, sottolinea una volta di più l'esigenza di un'opposizione di classe sul piano politico e non solo su quello strettamente sindacale. Appoggiandosi su rapporti di forza ben più favorevoli che in passato, il governo sviluppa un attacco politico frontale non solo ai diritti sociali del mondo del lavoro, ma a spazi e conquiste democratiche più generali, puntando su una riarticolazione dell'apparato dello Stato basata sul rilancio del suo potere di comando: tendenza alla militarizzazione della gestione di alcuni conflitti sul territorio; disegno federalista contro i lavoratori e le masse meridionali; tentativo di cancellazione dei partiti della sinistra persino dal Parlamento Europeo con l'introduzione di sbarramenti elettorali antidemocratici; attacco all'esistenza stessa dei giornali di riferimento della sinistra; negazione del diritto di voto agli immigrati persino sul terreno amministrativo; immunità giudiziaria delle "più alte cariche dello Stato" (Lodo Alfano); matrimonio istituzionale con le gerarchie vaticane; svolta autoritaria contro gli studenti nelle scuole e contro i comportamenti e le libertà giovanili più in generale. Per non parlare, naturalmente, della ben nota campagna xenofoba, dei suoi riflessi sull'involuzione del diritto, della legittimazione strisciante che essa fornisce all'azione fascista o teppista, sul territorio, contro i settori più marginali e indifesi delle masse oppresse. E tutto questo si produce, come ben sai, senza alcuna reale opposizione parlamentare, ed anzi anche grazie alla relazione consociativa del governo con vasti ambienti del PD e col blocco materiale d'interessi bancari e confindustriali su cui il PD s'appoggia.Bene. Pensi che la piattaforma dello sciopero del 17 possa abbracciare il grosso di questi temi? E' evidente che no: perché giustamente è uno sciopero di carattere prevalentemente sindacale. Ritieni che si possa evitare o rinviare una risposta politica di mobilitazione contro questa deriva reazionaria, lasciando campo libero ancora una volta al populismo di Di Pietro o al liberalismo borghese di Veltroni? Penso (e spero) che tu risponda negativamente. Ecco: la proposta che abbiamo lanciato di una manifestazione unitaria delle sinistre contro il governo Berlusconi vuole rispondere a questa esigenza elementare: dar vita a un'opposizione politica del movimento operaio al governo più reazionario che l'Italia abbia conosciuto dai tempi di Tambroni (1960). Dove sta allora, caro Pierpaolo, l'"autoreferenzialità"? In chi prova a rispondere a questa esigenza politica reale o in chi la rimuove per proteggere (dall'attacco di nessuno) il proprio guscio sindacale?
In terzo luogo, l'esigenza di una mobilitazione politica è anche legata all'eccezionalità dello scenario politico-istituzionale. Per la prima volta, nell'intera storia del dopoguerra, il Parlamento è interamente presidiato da partiti organicamente borghesi (reazionari, liberali, populisti). Per la prima volta una parte importante del mondo del lavoro e del popolo delle sinistre si sente privata di una propria specifica rappresentanza. Sappiamo bene la causa politica di questo contesto: da un lato la corresponsabilità suicida delle sinistre al governo della borghesia italiana e alle sue politiche di rapina sociale e di guerra, negli anni passati; e dall'altro la presenza di leggi elettorali reazionarie. Ma resta il fatto che questo contesto è negativo per il movimento operaio. Sia perché, ad oggi, concorre ad accentuare senso di impotenza e smarrimento in settori popolari. Sia soprattutto perché favorisce e rafforza il progetto di "americanizzazione" della politica italiana, cioè il tentativo del liberalismo borghese di incorporare il mondo del lavoro in un gioco bipolare sempre più bipartitico: annullando la sinistra come presenza politica distinta, e rafforzando le tendenze anticomuniste di tipo maccartista. Dubito che un simile scenario sarebbe più favorevole, oltretutto, all'azione sindacale e di lotta del movimento operaio, come l'esperienza USA insegna. Impedire che il popolo della sinistra antiberlusconiano venga totalmente incorporato dalle manifestazioni del PD e di Di Pietro – in assenza di ogni segno visibile di vita di un'opposizione di sinistra indipendente – risponde dunque ad un'esigenza obiettiva. Anche da qui la nostra proposta di manifestazione politica contro il governo rivolta a tutte le sinistre italiane.Va da sé che la nostra proposta unitaria di mobilitazione contro Berlusconi rivolta alle sue principali componenti (non solo PRC e PDCI, ma anche SC e SD) non significa né ignorare, né diplomatizzare il nostro giudizio irreversibile sulla natura dei partiti che hanno partecipato al governo Prodi, dei loro gruppi dirigenti, delle loro responsabilità decisive nel disastro avvenuto. Ed anzi, proprio in ragione di quel bilancio, il PCL lavora tanto più oggi alla propria costruzione indipendente, in alternativa coi partiti e demistificando le loro "svolte a sinistra". Ma questa battaglia di egemonia alternativa non contrasta con la proposta di mobilitazione comune contro il governo, e con un rapporto di dialogo con militanti, iscritti, simpatizzanti di quei partiti, che oggi vivono comprensibilmente un senso diffuso di disorientamento. Una proposta di manifestazione comune è anche una forma di relazione con quel mondo.
3) Ci chiedi perché abbiamo proposto ("guarda caso" tu scrivi) la data dell'11 Ottobre. E' semplice: perché non decidiamo noi il calendario della politica italiana. Quella proposta di data è in relazione a un ragionamento politico elementare. In primo luogo risponde all'esigenza di anticipare la manifestazione del PD del 25 Ottobre: perché è del tutto evidente che in caso contrario si regalerebbe a Veltroni (dopo averlo regalato in Luglio a Di Pietro) uno spazio di capitalizzazione a sinistra molto ampio. In secondo luogo, risponde proprio all'esigenza di evitare una sovrapposizione diretta con l'azione di sciopero del 17 Ottobre. Sottolineo il fatto che, anche rispetto ai tempi di preparazione, la data migliore per la manifestazione delle sinistre sarebbe stata il 18 Ottobre; ma abbiamo scartato quella data proprio per il rispetto dell'autonomia dell'azione sindacale e per minimizzare i rischi di ricadute negative sulla sua riuscita (rischi che oggi infatti tu stesso riconosci sostanzialmente irrilevanti). In terzo luogo risponde all'esigenza di evitare la sovrapposizione con l'altra possibile data utile, per quanto anticipata, che è quella del 4 Ottobre: perché per quella data è prevista da molto tempo una specifica manifestazione nazionale antirazzista, promossa in primo luogo da Socialismo Rivoluzionario e Partito Umanista , alla quale il PCL aderisce (a dimostrazione che noi decidiamo sempre in base alla bontà delle iniziative e non alla nostra valutazione politica delle forze promotrici) e alla quale aderiscono moltissime realtà di movimento oggi impegnate in un settore importantissimo (a proposito: perché voi non aderite?). Come si vede, la proposta della data dell'11 non scaturisce da alcun calcolo perverso, ma solo dalla priorità della battaglia politica nell'interesse generale del movimento operaio. Quanto alla vicinanza di data dell'11 e del 17, non è la prima volta e non sarà l'ultima che mobilitazioni diverse cadono in momenti ravvicinati. E' capitato anche in anni recenti, in occasione della prossimità di manifestazioni sindacali e manifestazioni internazionaliste, senza che accadesse nulla di particolare. Così è oggi. A meno che una parte dei promotori dello sciopero del 17 voglia imbastire una campagna di disturbo contro la riuscita dell'11 Ottobre. Quella sì sarebbe una prova rovinosa di settarismo, che non esiteremmo a contrastare. Ma confidiamo che ciò non avvenga.Infine, a tale proposito ti ricordo che stiamo ancora aspettando la tua risposta alla nostra lettera relativa alla iniziativa del 9 settembre dalla cui convocazione ci avete voluto escludere, senza alcuna motivazione e a prezzo di alcune "forzature" sul recente passato , per cui chi due anni fa era assente e contrapposto alle prime iniziative contro il governo Prodi sembra essere stato presente e noi che le convocammo insieme a voi scompariamo nel nulla .
Caro Pierpaolo, spero con queste righe di aver contribuito alla chiarificazione sui problemi che hai posto (ciò che è anche chiarificazione di divergenze). Mi auguro in ogni caso di poterci ritrovare insieme sia il 17 Ottobre che l'11 Ottobre.

Saluti comunisti


Per l'esecutivo PCL

Marco Ferrando

martedì 12 agosto 2008

Lettera dell'Esecutivo del PCL ai firmatari dell'appello per un'assemblea nazionale il prossimo 9 settembre

In questi giorni è stato pubblicato un appello da parte di una serie di organizzazioni (Sinistra Critica, Confederazione Cobas, Rdb/Cub, Rete dei Comunisti, Giorgio Cremaschi, Marco Bersani di Attack) per un'assemblea nazionale il prossimo 9 settembre della "sinistra politica e sociale" che avrebbe mantenuto "un filo comune di dibattito in questi anni". Nonostante il PCL sia stato sempre in prima fila nel fronte unico di lotta con queste organizzazioni, è stato di fatto estromesso da questo appello proprio da parte di chi ci ha sempre attaccati dandoci dei "settari" e "autoreferenziali". Pubblichiamo la risposta dell'Esecutivo del PCL ai firmatari di questo appello:


Cari compagni/e,

vi chiediamo le ragioni del mancato coinvolgimento del Partito Comunista dei Lavoratori nell’appello che avete promosso per l’assemblea del 9 Settembre. E di cui abbiamo appreso solamente da Il Manifesto.

Vi definite, nel testo stesso dell’appello, "organizzazioni e persone che hanno mantenuto un filo comune di dibattito e di mobilitazione in questi anni". Bene. Sulla base di questo criterio, perchè la nostra esclusione?

Come tutti voi ben sapete, il PCL è stato parte organica e costante del fronte di opposizione al governo Prodi, del suo "dibattito", della sua "mobilitazione". Lo è stato sin dall’inizio, quando quel fronte era un po’ meno partecipato. Lo è stato sin dal Luglio 2006, nelle iniziative davanti al Parlamento, contro il primo rifinanziamento della missione di guerra in Afghanistan, poi sostenuto dal voto di fiducia di tutta la maggioranza parlamentare, senza eccezioni. Lo è stato come forza promotrice, tra le altre, della manifestazione nazionale contro la missione imperialista in Libano (30 Settembre 2006): di fronte non solo ai cantori della "missione umanitaria", ma anche ai suoi sostenitori "critici" e dubbiosi. Lo è stato come una delle forze promotrici della manifestazione antisionista a Roma del Novembre 2006, quando altri preferirono sfilare a Milano con Fassino e col Centrosinistra. Lo è stato insomma quando un soggetto firmatario del vostro appello (Sinistra Critica) non solo non era partecipe di nessuna di quelle mobilitazioni, ma stava nella maggioranza del governo contro cui quelle manifestazioni si rivolgevano (votando ad esempio la finanziaria di 35 miliardi che aumentava le spese militari e di guerra).

Naturalmente l’ ingresso nelle manifestazioni antigovernative (9 Giugno 2007) di quel soggetto e la sua successiva ricollocazione all’opposizione nella fase terminale della legislatura è stato un fatto importante. Ma che oggi, tra "le organizzazioni che hanno mantenuto un filo comune di dibattito e di mobilitazione in questi anni" figuri Sinistra Critica e sia escluso il PCL ci pare, nel suo piccolo, una enormità grottesca. Oltre che un’offesa inaccettabile alla verità e alla storia di questi anni.

Non sappiamo chi ha proposto o praticato la nostra esclusione, chi l’ha subita, chi l’ha avallata, magari con indifferenza (anche se qualche idea l’abbiamo). Ma per quella correttezza elementare che dovrebbe ispirare i rapporti fra noi, e a cui in ogni caso noi ci atteniamo, chiediamo a ciascuno dei soggetti firmatari una spiegazione pubblica a fronte di una pubblica responsabilità: che, ad oggi, appare obiettivamente comune.

Non siamo in presenza di un episodio nuovo o isolato. Un anno fa, nelle stesse identiche forme, fummo esclusi da un analogo appello pubblico alla mobilitazione contro il governo. Chiedemmo spiegazioni, ottenemmo un generale e imbarazzato silenzio. Salvo poi constatare che alcuni responsabili di quella immotivata esclusione andavano a dire in giro in tutta Italia che "il PCL si è tirato fuori in quanto settario e autocentrato". E in tante occasioni locali si sono prodotti, a cascata, atteggiamenti analoghi e ipocrisie molto simili, sempre nel segno del rovesciamento delle responsabilità.

Sia chiaro allora una volta per tutte, e per tutti.

Per noi, autonomia politica del nostro partito e relazioni unitarie nell’azione di opposizione non solo non si contraddicono, ma si tengono insieme.

Siamo gelosi della costruzione autonoma del Partito Comunista dei Lavoratori, sulla base di una coerenza politica e di un progetto strategico che ci distinguono dalle altre forze della sinistra italiana. Portiamo da sempre nella battaglia di massa (e al pubblico confronto) una nostra specifica proposta programmatica e linea di intervento, tesi a ricondurre gli obiettivi immediati di lotta alla prospettiva anticapitalistica, fuori da ogni minimalismo ed economicismo. Rivendichiamo ovunque l’autonomia delle nostre scelte politico-elettorali, nazionali e locali, in alternativa alle forze riformiste e centriste: per esempio respingendo oggi la proposta avanzata da Sinistra Critica di una lista unitaria col PRC abruzzese, ipergovernista e compromesso in una giunta di malaffare travolta dagli scandali.

Ma al tempo stesso abbiamo sempre ricercato e ricercheremo sempre la più ampia unità d’azione nelle lotte e nei movimenti contro i partiti borghesi e i loro governi, nell’interesse generale del movimento operaio e dello sviluppo del movimento di massa. Con questa logica abbiamo lavorato negli anni passati per il più ampio fronte di lotta contro il governo Prodi. Con questa logica abbiamo oggi proposto una grande manifestazione unitaria della sinistra italiana contro il governo Berlusconi e il padronato, con una pubblica indicazione di data ( 11 ottobre ) e la richiesta di un comitato promotore unitario.

La nostra partecipazione all’assemblea del 9 settembre sta perfettamente in questo quadro più generale di iniziativa unitaria e di confronto aperto. Ancora una volta vi chiediamo: perché escludere il PCL dalla promozione dell’assemblea?

A meno che la nostra vera " responsabilità " sia, al fondo, quella di essere ciò che siamo: programmaticamente, politicamente, organizzativamente indipendenti; impegnati nella costruzione di un partito comunista e rivoluzionario; e per questo avversi a pateracchi politici ed elettorali senza principi.

Se questa è la " colpa ", non c’è rimedio. Gradiremmo solo, nel caso, lo diceste con chiarezza , con un’assunzione di responsabilità politica e senza ricorrere a piccole furbizie.

In attesa di una vostra risposta vi inviamo

Fraterni saluti anticapitalisti

L’Esecutivo del Partito Comunista dei Lavoratori

Milano 11/8/08

venerdì 1 agosto 2008

IL NUOVO RIFORMISMO DI PAOLO FERRERO E LA POLITICA DEI RIVOLUZIONARI

Pubblichiamo un testo sul congresso del Prc e la nostra politica verso di esso approvato dal Comitato esecutivo del Pcl


L’esito del settimo congresso nazionale del PRC, con l’avvento della segreteria Ferrero e di una nuova maggioranza politica, non è un semplice episodio congressuale interno del PRC, ma è parte del più ampio processo di ricomposizione degli assetti della sinistra italiana.

Tanto più dunque è importante una prima analisi dell’accaduto, e una prima definizione dell’orientamento, al riguardo, dei marxisti rivoluzionari.

Il tracollo della componente bertinottiana

Il settimo congresso del PRC ha innanzitutto sancito la sconfitta definitiva della componente strettamente bertinottiana del partito: quella componente più organicamente “socialdemocratico-governativa” che aveva lavorato per la liquidazione organizzativa del PRC entro la costituente di una più ampia sinistra socialdemocratica, quale sinistra del centrosinistra.

Questo progetto – inizialmente concordato da Bertinotti coi vertici del PD – è stato prima minato nella sua credibilità dalla traumatica esperienza Prodi e dal suo fallimento; poi è stato dissestato dal nuovo corso veltroniano; poi ancora è stato colpito nel profondo dalla disfatta elettorale dell’Arcobaleno e dall’estromissione dal Parlamento; infine è stato sconfitto impietosamente nel congresso del partito.

La sconfitta congressuale di Bertinotti-Vendola-Giordano va ben al di là dei suoi numeri percentuali: la componente bertinottiana ha perso il controllo di quel partito su cui pensava sino al’ultimo di detenere un diritto divino di comando. La caduta rovinosa di Bertinotti, a seguito del voto del 13-14 Aprile, ha trascinato con sé il grosso di quel gruppo dirigente diffuso che Bertinotti stesso, per dieci anni, aveva selezionato e promosso attorno a sé. Senza l‘autorevolezza di un Bertinotti ormai defilato, e sullo sfondo della disfatta elettorale, quel gruppo dirigente si è rivelato profondamente debole: capace di usare la leva dei propri ruoli istituzionali ai fini del controllo clientelare di settori del PRC e del suo tesseramento (in particolare nel Sud) ma incapace di costruire egemonia politica sul corpo complessivo del partito.

La leva vendoliana dei giovani dirigenti “poeti”, capaci di slanci lirici nella denuncia dei mali del mondo, ma incapaci di un’argomentazione razionale di analisi e di linea, poteva reggere nel momento della “vittoria”, quando si trattava di celebrare “il capo” (Bertinotti); ma ha mostrato tutta la sua inconsistenza e impotenza nel momento della sconfitta, che ha coinciso non a caso col suo tracollo.

La minoranza Vendola-Giordano non rinuncerà al proprio progetto politico di costituente di sinistra, seppur oggi disponendo di una forza molto minore e trovandosi su un terreno ben più accidentato (polverizzazione della “sinistra radicale”; concorrenza di Sinistra Democratica e ambienti PD; incognita della legge elettorale). Ma lo persegue da soggetto prevalentemente esterno al PRC, in veste di sua “frazione pubblica”. Se dunque la scissione ancora non c’è, la dinamica probabile pare quella della scissione. Ciò che da un lato misura la piena consapevolezza da parte della minoranza del carattere irreversibile della sconfitta interna subita, dall’altro la espone a emorragie di ritorno in direzione della nuova maggioranza del partito.

La natura trasformista della nuova maggioranza

La nuova maggioranza dirigente del PRC è il prodotto di una spregiudicata operazione trasformista, promossa e diretta da Paolo Ferrero.

Bisogna dare alle cose il loro nome. L’ex ministro del PRC è stato, in quanto tale, fino a ieri, il più diretto corresponsabile, nel partito, delle politiche di sacrifici sociali e di guerra del governo confindustriale di Prodi. Durante l’intera esperienza di governo, non solo non ha mai posto in discussione, neppure per ipotesi, la permanenza del PRC nell’esecutivo, ma si è segnalato sino al’ultimo come il più convinto sostenitore…del proprio ruolo di ministro. Sino a difendere pubblicamente il proprio voto favorevole nel Consiglio dei Ministri al decreto razzista antirumeni dopo il caso Reggiani. Peraltro fu proprio Paolo Ferrero a mostrare la maggiore durezza nella repressione burocratica delle minoranze di sinistra del PRC: nel primo caso contro Progetto Comunista, in occasione del cosiddetto “caso Ferrando” (2006); in secondo luogo nei confronti di Franco Turigliatto e di Sinistra Critica. Da ogni punto di vista, insomma, il governismo di Ferrero è stato davvero di ferro.

Ma, dopo il tracollo del governo e la disfatta elettorale, e alla vigilia del congresso, Paolo Ferrero ha improvvisamente impugnato la bandiera della “svolta a sinistra” al fine di capitalizzare il malcontento interno e usarlo come leva del suo vero e unico obiettivo strategico: non la rifondazione del comunismo, ma la conquista…. della segreteria del partito. Un obiettivo che Ferrero perseguiva dal 2005, da quando si aprì la lotta interna al campo bertinottiano sulla successione a Bertinotti.

Peraltro la biografia politica di Ferrero nel PRC dimostra che le brusche svolte non sono insolite per lui. Né mai sono state innocenti. Ne ’94, in occasione del secondo congresso del PRC, Ferrero concorse alla formazione della seconda mozione, che contestava la disponibilità del PRC a entrare nel governo del vagheggiato “polo progressista”: e grazie al risultato lusinghiero di quella mozione (20 %), Ferrero entrò con altri cinque compagni nella direzione nazionale del partito in rappresentanza della minoranza. Ma passarono appena sei mesi, e Ferrero scoprì improvvisamente il fascino irresistibile di Fausto Bertinotti: scaricò in fretta e furia la minoranza che lo aveva eletto in cambio dell’ingresso premio nella segreteria nazionale. E dopo un anno diventò il più convinto alfiere del primo accordo di governo col centrosinistra: quello che impegnò il PRC per due anni (Bertinotti, Cossutta e Ferrero fianco a fianco) nel voto al pacchetto Treu, alle finanziarie lacrime e sangue, ai CPT per gli immigrati. E fu proprio Paolo Ferrero a battersi in prima linea a difesa della scelta di governo contro la vecchia sinistra interna: la conquista di un posto in segreteria valeva bene la folgorazione governista.

Così oggi, la scalata al ruolo di segretario val bene la recita della “svolta a sinistra”. Il segno politico è diverso, ma la spregiudicatezza è la stessa. In questo caso la grande capacità di Ferrero è stata quella di costruire attorno al proprio progetto di leadership e al suo rivestimento ideologico una coalizione eterogenea di forze interne, anche tra loro tradizionalmente avversarie. Prima costruendo l’aggregazione della 1° mozione congressuale con la componente togliattiana di Claudio Grassi (Essere Comunisti) e ottenendo la propria egemonia in quella aggregazione. Poi, in sede di congresso nazionale, riuscendo a raccogliere e usare, a proprio vantaggio, le disponibilità dei dirigenti del terzo documento (Ernesto, Area fiorentina, Oltre, Controcorrente) e dei dirigenti del quarto documento (Falce e Martello), che gli hanno portato in dote i propri delegati in cambio di qualche timida concessione letteraria nel testo politico, e soprattutto di qualche ruolo dirigente nella gestione del partito.

Questa è la nuova maggioranza politica del PRC. Una maggioranza certo risicata nei numeri, costretta a fronteggiare una gravissima crisi, segnata da contraddizioni interne, politiche e culturali, profonde. E tuttavia una maggioranza apparentemente determinata a reggere la prova e cementata dall’ebbrezza della conquista di nuovi ruoli. Se riuscirà a tenere nella prossima fase – come è probabile – potrà avvalersi di fisiologici ritorni sul carro del vincitore di settori bertinottiani in disarmo e non più “garantiti”: questo accentuerà ulteriormente i caratteri trasformistici della maggioranza, ma allargherà anche il suo spazio di manovra e di tenuta. Inoltre, l’autonomizzazione della componente vendoliana come frazione pubblica, se da un lato può aggravare per alcuni aspetti la crisi di immagine del partito, dal’altro può favorire, per reazione autodifensiva, il consolidamento della nuova gestione del PRC.

Con tutte le dovute cautele nell’analisi, è dunque possibile prevedere la stabilizzazione di fase di un “nuovo PRC”, sotto l’egemonia del vecchio gruppo dirigente di DP e dell’ala togliattiana del partito. Non sarà il ritorno a DP, fosse pure allargata, ma neanche necessariamente la semplice continuità, in piccolo, del PRC bertinottiano.

“Svolta a sinistra” o bertinottismo “d’antan”?

La cosiddetta “svolta a sinistra” del nuovo PRC – tanto enfatizzata per ragioni diverse sia dalla nuova maggioranza, sia dai vendoliani, dal PD, dalla stampa borghese – ha in realtà una portata molto limitata e contraddittoria. I maggiori accenti letterari sull’impegno sociale e sulla critica al PD, convivono infatti con tutti i tratti di continuità della politica riformista. Anche sul terreno, ove possibile, della diretta collaborazione di classe e della prospettiva di una ricomposizione col PD.

Lo stesso testo fondativo della nuova maggioranza del PRC, è sotto questo profilo esemplare.

a) Il vantato bilancio “autocritico” dell’esperienza Prodi è ridotto ad “un errore d’analisi dei rapporti di forza esistenti” e alla conseguente assenza di risultati per i lavoratori; tacendo così, totalmente, sui…risultati assicurati per due anni alla borghesia, e cioè sul crimine compiuto contro i lavoratori votando la continuità della legge 30, il regalo di dieci miliardi a grandi imprese e banche, la continuità delle missioni di guerra, in cambio di ruoli ministeriali e istituzionali. Non è un silenzio casuale: tacere su quel crimine era ed è la condizione stessa per incoronare a segretario il ministro corresponsabile di quel crimine.

b) Il testo della nuova maggioranza non parla affatto di “rottura col PD”. Si dice un’altra cosa: <>. Ma questa più che la “svolta a sinistra”, è la pura constatazione postuma di un decesso! E poi:<>. Dunque con altri futuri “rapporti di forza” sarà possibile un blocco di governo con il partito di Calearo-Colaninno? E ancora:<> rende <>. Significa che si può riproporre il centrosinistra quando il PD…deciderà di reimbarcare Rifondazione? La verità è che il testo congressuale rimuove ogni analisi della natura di classe del PD, proprio per lasciare aperta la via di future ricomposizioni negoziali con quel partito. Semplicemente considera il rilancio del PRC (politico ed elettorale) come la condizione contrattuale necessaria per il recupero del centrosinistra e del governo. Ma non è stata esattamente questa la politica di Bertinotti (e Ferrero) dopo la caduta del primo governo Prodi (’98) in attesa di ricomporre il secondo governo Prodi (2006)?

c) Il testo della nuova maggioranza non rivendica affatto l’uscita dalle giunte di centrosinistra. Il testo dice che: <>. Il che, a prescindere da ogni altra considerazione, significa ignorare la verifica dei fatti, già realizzata in ben tredici anni di governi locali di centrosinistra, e dunque legittimare la continuità di quelle esperienze, magari con qualche ritocco. Non a caso la prima dichiarazione pubblica di Ferrero, dopo la sua elezione a segretario, è stata quella di rassicurare il PD sulla continuità delle amministrazioni locali. Nelle quali siedono, è bene ricordarlo, tanti assessori del PRC legati proprio alla nuova maggioranza del partito: come nel caso della giunta paraleghista di Penati nella provincia di Milano (assessore Barzaghi); nella giunta iperliberista di Martini in Toscana (assessore Baronti); nella giunta regionale iperprivatizzatrice di Burlando in Liguria (assessore Zunino); così come fino a ieri nella giunta del malaffare abruzzese (assessora Betty Mura). Significa dunque che non vi sarà nessun caso di possibile rottura di singoli accordi locali? No, non è escluso (come del resto accadde occasionalmente anche in epoca bertinottiana, ad esempio nel comune di Firenze). Ma certo la linea generale è un’altra, ed è quella di sempre: tenere ben salde, ovunque possibile, le proprie radici nelle giunte locali di centrosinistra ai fini del possibile rilancio negoziale di un accordo nazionale di centrosinistra. Ma non è questa esattamente la riproposizione dell’impostazione bertinottiana del ’94-’95 e del ’98-2006?

d) Il testo della nuova maggioranza, generalmente presentato come atto di rilancio dell’identità comunista del partito, rimuove totalmente proprio la tematica del comunismo come programma anticapitalista. Il richiamo al comunismo, come in tutta la tradizione del PRC, resta un riferimento simbolico. Per citare Paolo Ferrero, nel suo intervento al congresso, “Il comunismo è un universo simbolico”; cioè una bandiera, una falce e martello, una storia, una critica del capitalismo, tutto ciò che si vuole, tranne che un concreto programma di “abolizione dello stato di cose presenti” (Marx). E proprio perché astratto, questo universo simbolico del comunismo può abbracciare con la massima disinvoltura tutto e il suo contrario, come per l’appunto nel testo di maggioranza del PRC: dalla “ricerca sul tema della non violenza” (sic) alla citazione dei “movimenti rivoluzionari” (?); dal riferimento al partito della Sinistra europea (neosocialdemocratica) al riferimento ai “partiti comunisti” stalinisti (incluso, secondo l’Ernesto, il PC cinese e il PC coreano, sempre a proposito…di non violenza). Peraltro, proprio perché ridotto a puro universo simbolico, il “comunismo” di Ferrero non comporta alcuna ricaduta sull’impostazione rivendicativa, politica e programmatica, nel presente. E infatti convive, nel testo di maggioranza, con un programma esclusivamente immediato e minimale. “Diritti sociali, civili, ambientali, sono per noi le diverse facce di uno stesso progetto: l’alternativa di società”, afferma il testo. Ma siccome nulla si dice su cosa sia l’alternativa di società, dal punto di vista dei rapporti di produzione, di proprietà, di potere, resta solo la rivendicazione dei diritti, magari nella forma – afferma il testo – di “una stagione referendaria sulle questioni della precarietà, della democrazia nei luoghi di lavoro, dell’antiproibizionismo…”. Naturalmente, non siamo contrari per principio al ricorso a iniziative referendarie su temi sociali o civili (a differenza di Falce e Martello che ora, come si vede, si è rapidamente convertito). Ma è possibile ridurre l’anticapitalismo comunista alla campagna referendaria sui diritti (in vecchio stile DP), senza oltretutto selezionare nessuna proposta concreta di impostazione politica, di parole d’ordine, di linea di massa, neppure sull’opposizione di classe in autunno contro il governo e il padronato?

Ancora una volta, sotto il vestito niente. E del resto: se la prospettiva politica reale resta quella di una futura ricomposizione negoziale col PD, a partire dalla continuità delle giunte locali di centrosinistra, come può dispiegarsi in quel quadro una svolta reale sul terreno dell’azione di massa e dell’elaborazione programmatica anticapitalistica?

La capitolazione delle sinistre interne

I gruppi dirigenti delle mozioni interne di sinistra (terzo e quarto documento) hanno sorretto l’operazione trasformista dell’ex ministro Ferrero con il proprio trasformismo.

Dopo aver condotto una campagna congressuale mirata formalmente a denunciare la “falsa alternativa” del documento Ferrero rispetto alla mozione Vendola, hanno usato le migliaia di voti raccolti per votare Ferrero segretario e promuovere una maggioranza politica con Ferrero. Migliaia di militanti di base del PRC che nei propri congressi di circolo avevano espresso, in forme diverse, la domanda di una svolta coerente, comunista e classista, si trovano prigionieri di una maggioranza guidata dall’ex ministro di un governo di guerra, attorno a un indirizzo politico subalterno.

Tutti gli argomenti tesi a giustificare il sostegno politico a Ferrero (“Non potevamo far altro”, “La dinamica che si è aperta sposterà Ferrero a sinistra”, “Bisogna stare nei processi”) sono solo l’eterna ripetizione degli argomenti che tutte le varie sinistre centriste del PRC hanno opposto per quindici anni alla battaglia indipendente dell’opposizione marxista rivoluzionaria in quel partito (’91-2006): come nel ’95 (in occasione del contrasto tra Bertinotti-Cossutta e l’opposizione di destra di Magri e Crucianelli); come nel ’98 (in occasione della rottura tra Bertinotti e Cossutta); come nel 2002 (in occasione del contrasto tra Bertinotti e Grassi sullo sfondo della stagione dei movimenti). Ogni volta le varie sinistre centriste motivavano l’accordo politico con Bertinotti contro la destra interna, in nome della “dinamica”, del “processo reale”, dello “stare nei processi”. E ogni volta i marxisti rivoluzionari – che sempre combinarono la battaglia contro le destre interne con la rigorosa indipendenza politica dal bertinottismo – furono accusati di astrattezza, rigidità ideologica, incomprensione della realtà. Salvo vedere confermate tutte le proprie ragioni e previsioni.

La storia si ripete oggi in rapporto a Paolo Ferrero e in un contesto nuovo. I gruppi dirigenti del terzo e quarto documento si sono rivelati clamorosamente incapaci di difendere e sviluppare l’indipendenza politica delle proprie ragioni dalle pressioni delle componenti riformiste (demoproletarie e grassiane) e del bipolarismo interno al PRC. E’ la riprova che senza un progetto di costruzione di un partito indipendente, comunista e rivoluzionario, ogni opposizione interna al PRC è destinata, in un modo o nell’altro, alla subalternità politica.

E questa subalternità non solo oggi si è espressa nel voto congressuale a un documento riformista, ma si manifesta sin dalle prime ore dopo il congresso nell’adattamento alle compatibilità interne della nuova maggioranza. Persino sul terreno discriminante delle giunte locali. Laddove, ad esempio, Claudio Bellotti (quarto documento) che sino a due giorni prima chiedeva l’uscita dalle giunte, ora dichiara su Liberazione che “Va data facoltà ai territori di decidere a partire dai contenuti” (Lib, 29 Luglio). Che è esattamente la foglia di fico universale della continuità decennale delle giunte di centrosinistra. Chiediamo: è questo che avevano votato, nei congressi, i compagni del quarto documento?

Il PCL e la “nuova Rifondazione”

Il Partito Comunista dei Lavoratori è nato da una lunga battaglia politica e morale, controcorrente, contro il trasformismo della sinistra italiana. Anche di quello che ha attraversato il PRC. Il bilancio del settimo congresso del PRC ci consolida nelle nostre ragioni e nelle nostre scelte.


Naturalmente ci rapporteremo con attenzione al nuovo PRC di Paolo Ferrero. Ricercheremo ovunque possibile la più ampia unità d'azione nella lotta contro il padronato e Berlusconi: a partire da quella grande manifestazione unitaria d'autunno che proponiamo per l'11 Ottobre e che sarebbe ora di iniziare a preparare. Saremo disponibili a costruire col PRC e con tutti i suoi compagni e compagne, esperienze comuni di confronto e di iniziativa nelle quotidiane battaglie di classe, ambientaliste, antimperialiste, femministe. E speriamo anche, finalmente, anticlericali.
Ma lo faremo orgogliosi della nostra costruzione indipendente e della nostra identità: quella dell'unico partito della sinistra italiana che non si è inginocchiato di fronte alla borghesia; che non si è compromesso, né in tutto, né "criticamente", nella disfatta di questi anni; che ha fatto e fa dell'indipendenza di classe del movimento
operaio, e quindi della rottura col PD confindustriale (ieri, oggi e domani), l'asse strategico della propria proposta politica nella prospettiva di un'alternativa anticapitalista. L'unico partito, insomma, che considera il comunismo non un simbolo da riverire, ma un programma da realizzare: quello della rivoluzione sociale e del governo dei lavoratori.


lunedì 28 luglio 2008

Nota sull’ultimo numero di Micromega

(28 luglio 2008)

Nota sull’ultimo numero di Micromega

La manifestazione dell’8 luglio è stata un successo. Ma la redazione di Micromega si attesta sempre sull’antiberlusconismo liberale. In questa nota prendiamo in considerazione i principali punti negativi presenti sull’ultimo numero della rivista.

1) Il primo è che dopo il successo della manifestazione e i consensi ricevuti, (secondo il sondaggio di Mannheimer, riportato in uno degli art. di Flores d’Arcais), “Pancho” Pardi non prende in considerazione la lotta per far cadere Berlusconi:

Ci aspetta una battaglia dura, che durerà cinque anni, ma bisogna prenderla sul serio, cari cittadini, bisogna lavorare, parlare, discutere, portare avanti la nostra campagna, bisogna impedire una vergogna nazionale incancellabile”.

Bisogna spiegare al prof. Pardi che i lavoratori e le lavoratrici “prendono sul serio” l’idea di sbattere giù Berlusconi il prima possibile ma non quella che ci dobbiamo attrezzare ad una “battaglia dura, che durerà cinque anni”. Bisogna spiegare al prof. Pardi che i danneggiati, da questo governo e dalla crisi in corso (e sono la maggioranza), fanno e faranno la lotta contro il governo padronale reazionario di Berlusconi per mettere fine alla sua politica da brigante capitalista. Inoltre, se Berlusconi concluderà i cinque anni di legislatura, saremo fatti a pezzi.

2) Pardi riprende con enfasi la retorica liberale antiberlusconiana, tirando in ballo i “paesi democratici”. Il segretario del tesoro del governo Bush, H. Paulson, ha lavorato per trentadue anni alla Goldman Sachs. Adesso che non è più un “dipendente” della banca non fa più gli interessi della Goldman Sachs, degli altri pescicani e quelli suoi propri? L’antiberlusconismo liberal ultramoderato di Pardi è una vera e propria apologia del sistema liberale. I paesi democratici esistono solo nella testa di Pardi. C’è democrazia dove il sistema elettorale assicura ai soli partiti della borghesia la presenza nel parlamento e nel governo? E’ un esempio di democrazia un paese dove nel caso del salvataggio della Bear Stearns “i contribuenti ancora non sanno con precisione le dimensioni del rischio che si sono accollati….Ma a confronto dell’intervento proposto per salvare Fannie Mae e Freddie Mac, il salvataggio della Bear Stearns sembra un modello di corretta amministrazione”? Il testo citato è di J. Stiglitz, economista borghese ( Sole24ore 27 luglio).

Se Pardi vuole fare, sul serio, la lotta a questo governo, deve abbandonare la retorica sui paesi democratici e concentrare maggiormente la sua attenzione sulla realtà effettuale. Se Pardi, come tutti gli altri di Micromega, continua a non riconoscere la realtà della lotta di classe finirà con l’essere utilizzato da Berlusconi e da i suoi per dimostrare che il suo governo è liberale dal momento che pure Pardi e Micromega fanno l’opposizione. Ma si può, ancora, nello stato italiano, dopo le critiche di Giuseppe Ferrari a Mazzini - 157 anni fa -, si può chiamare alla lotta per la difesa della democrazia politica senza combinarla con la lotta per rivendicazioni economiche anticapitaliste? “La libertà, la sovranità, l’indipendenza”, scriveva Giuseppe Ferrari, “non sono che menzogne là dove il ricco schiaccia il povero, là dove il povero non può nulla se non si affanna a procacciar delizie ai ricchi; là dove il povero non può sfamare la famiglia se non con l’esaurire le sue forze nell’innalzar palazzi, nel lavorare ad un lusso al quale non può mai metter mano”. Mazzini non era un giacobino, non fu capace di costruire un’avanguardia rivoluzionaria borghese che si mettesse alla testa delle masse contadine e che scatenasse la guerra contro i proprietari aristocratici, i latifondisti borghesi, lo stato Vaticano e la chiesa cattolica. Se un individuo come Benedetto XVI pretende di dettare legge lo dobbiamo anche a Mazzini e ai suoi simili.

3) Flores d’Arcais, fa l’elogio della retata dei pesci piccoli a Wall Street di alcune settimane fa. Ma non dice che i veri responsabili della crisi sono i governatori delle banche centrali delle potenze imperialiste. Draghi nelle sue considerazioni finali, ha elogiato “la straordinaria espansione del credito, che per molti anni aveva contribuito alla robusta crescita dell’economia mondiale”. E’ certo che, in questi anni di “straordinaria espansione”, la minoranza borghese si è abbuffata e ha proseguito nelle guerre criminali.

Il direttore di Micromega ritiene, come Gobetti, che esista una borghesia illuminata. L’antifascista piemontese si illudeva sulla capacità del capitalismo di sviluppare le forze produttive. Questi sono gli abbagli che si prendono quando si rifiuta l’analisi di Lenin sull’imperialismo quale fase finale del capitalismo. Per Gobetti il fascismo era espressione politica della parte protezionista e parassitaria del capitalismo italiano. Il fascismo fu, al contrario, la scelta unitaria di tutte le principali frazioni della borghesia per eliminare definitivamente ogni organizzazione indipendente del proletariato, e per questo fine era obbligata la soppressione della democrazia politica borghese. La borghesia illuminata, produttiva, concorrenziale, secondo Gobetti, avrebbe dovuto allearsi alla classe operaia dei consigli di fabbrica per dar vita alla Riforma morale ed intellettuale dello stato borghese italiano. L’idea dell’alleanza fra borghesia produttiva e proletariato è antica, fu proposta, infatti, dal grande socialista utopista Saint Simon criticato, prima, dal socialismo rivoluzionario di Blanqui, e poi dai più giovani Marx ed Engels. I marxisti le idee non le considerano astrattamente, ma in relazione ai gruppi sociali che le sostengono e per le quali, in determinate situazioni, questi gruppi sociali possono combattere ed avere disprezzo della morte. Pietro Gobetti entra nello studio che fa Gramsci sulle forze della rivoluzione nello stato italiano: è l’espressione dei settori antifascisti della piccola borghesia integrata nel tessuto industriale capitalistico. Per la presa del potere era necessario che la classe operaia dei consigli di fabbrica conquistasse questi settori della piccola borghesia alla lotta per la dittatura del proletariato rivoluzionario. La gobettiana intransigenza, di cui parla Flores d’Arcais , era quella di un intellettuale piccolo borghese che aveva individuato, seppur confusamente, i limiti formalistici e controrivoluzionari di un antifascismo liberale che escludeva e contrastava il ruolo egemone della classe operaia.

La redazione di Micromega, se vuole dare, sul serio, un contributo alla lotta contro il governo padronale reazionario, deve fare due scelte:

1) impegnarsi a costruire un movimento politico delle masse che, il prima possibile, cacci via Berlusconi e non fra cinque anni, a fine legislatura (cretinismo parlamentare);

2) impegnarsi in un’analisi del capitalismo così com’è e non come dovrebbe essere, nella valutazione dei circoli dirigenti nazionali ed internazionali del capitalismo, della loro crisi inarrestabile, al fine di impedire che nella loro catastrofe ci trascinino tutta l’umanità.

Gian Franco Camboni sez. prov. Pcl di Sassari

Ozieri 28 luglio 2008

domenica 27 luglio 2008

Per una assemblea nazionale unitaria dei delegati che lanci una lotta ad oltranza contro l’offensiva reazionaria di governo e padronato

Volantino distribuito dai militanti del PCL all'assemblea della sinistra Cgil del 23 Luglio

La riunione odierna, con il suo carattere unitario, rappresenta sicuramente un avvenimento positivo, che deve trovare una sua continuità.

Certamente però non può rappresentare in sé una risposta all’offensiva che si sviluppa in questi giorni in termini drammatici per i/le lavoratori/trici da parte del governo e del padronato.

Come ben sapete le misure oggi votate con il maxiemendamento al DPEF, l’attacco frontale al pubblico impiego, la modifica del ruolo del contratto nazionale proposta nella trattativa a perdere con Confindustria, configurano la prospettiva di un ulteriore pesante arretramento per la classe lavoratrice.

Bisogna quindi certo chiedere la rottura immediata della trattativa e la sua chiusura da parte della CGIL, rompendo finalmente con i sindacati padronali CISL e UIL.

Ma anche se questo avvenisse (ciò che è purtroppo impossibile per l’attuale gruppo dirigente della CGIL) oppure nel caso (improbabile) che la nostra confederazione non firmi un accordo il problema rimane quello della mobilitazione per respingere le misure governative e quanto previsto nell’accordo.

Il sindacalismo di base ha convocato uno “sciopero generale” per il prossimo 17 ottobre. In mancanza d’altro si potrebbe dire meglio di niente , ma appunto non di più. Come militanti del PCL vi aderiremo tutt*, ovunque collocati sindacalmente, e quindi anche come iscritti CGIL. Ma nel contempo non possiamo che dire che convocando ora uno sciopero di un giorno per l’autunno, senza porsi il problema di tentare di costruire nella più ampia unità possibile, una mobilitazione reale e di massa, i gruppi dirigenti dei sindacati di base continuano a privilegiare in maniera autocentrata momenti propagandistici alla difficile lotta per una radicale risposta di classe.

La sola iniziativa che può tentare di rompere il ciclo delle sconfitte, prodotto della politica di subordinazione al padronato e ai suoi governi, in particolare di centrosinistra, delle grandi organizzazioni sindacali e in primo luogo della CGIL (e della politica di collaborazione di classe della sinistra governista) è la convocazione unitaria da parte di tutte le forze della sinistra sindacale, ovunque collocate, di una assemblea nazionale di delegat* che lanci una lotta ad oltranza nelle forme e su una piattaforma democraticamente determinati.

Una piattaforma che implichi ovviamente l’annullamento delle ultime misure del governo Berlusconi, l’abrogazione delle leggi di precarizzazione (legge 30 ma anche pacchetto Treu), un forte recupero salariale, e , crediamo, anche un salario minimo garantito intercategoriale, una dignitosa indennità di disoccupazione, il ritorno alla chiamata numerica e alle norme pensionistiche precedenti alla controriforma Dini.

Noi crediamo che sia su questo terreno che debbano impegnarsi le forze qui presenti. Se ci limiteremo invece a un dissenso tutto interno alla CGIL non riusciremo certo a tentare, almeno, di impedire una nuova sconfitta dei lavoratori.

Partito Comunista dei Lavoratori

domenica 20 luglio 2008

Successo del meeting nazionale del Pcl

Successo del meeting nazionale del Pcl

(18 luglio 2008)

Nonostante il periodo estivo e le difficoltà finanziarie dovute ad una campagna elettorale che ha visto un impegno importante di tutti i militanti, centinaia di compagne e compagni del Partito Comunista dei Lavoratori, la sezione italiana del Coordinamento per la rifondazione della IV Internazionale, provenienti da tutta Italia si sono riuniti sabato 12 luglio a Roma per il meeting nazionale del Partito dal titolo: "Via il governo Berlusconi. Per un parlamento dei lavoratori e delle sinistre. Costruiamo il Partito Comunista dei Lavoratori, la sinistra che non tradisce".

In un'atmosfera di grande entusiasmo i partecipanti hanno ascoltato l'introduzione di Franco Grisolia, dell'esecutivo nazionale del PCL, che ha anche ricordato il 70° anniversario della fondazione della IV Internazionale, le conclusioni di Marco Ferrando, portavoce nazionale del partito e vari interventi. Questi hanno incluso quelli di due delegati sindacali, membri della direzione nazionale del PCL, Daniele Debetto della Pirelli di Torino e Luigi Sorge della Fiat di Cassino, di due altri componenti della DN del PCL, Tiziana Mantovani e Pino Siclari e del più giovane dirigente nazionale del PCL, lo studente Ottaviano Lalli. Particolarmente significativi gli interventi dei compagni Michele Conti e Bianca del Vecchio, rappresentanti di due sezioni di Prc e Pdci che hanno in questi mesi abbandonato questi partiti per raggiungere il PCL, espressioni di un processo di crescita del PCL che sta continuando dopo le elezioni politiche di aprile scorso.

La voce delle altre sezioni del CRQI è stato espressa dal compagno Peter Johnson di Refoundation and Revolution degli Stati Uniti e dall'ampio messaggio del compagno Savas Matsas, segretario dell'EEK, letto dalla presidenza.

L'asse del meeting è stato la sottolineatura del modesto ma reale successo politico del PCL, del disastro annunciato dei riformisti (che hanno perso oltre il 70% dei loro voti alle elezioni) a causa della politica di collaborazione di classe nella partecipazione al governo di centro sinistra di Prodi, dell'opportunismo centrista di "Sinistra Critica" che a tale governo ha dato un "sostegno critico".

Per questo l'unica prospettiva per la classe operaia italiana e la sua avanguardia è quello di raggrupparsi nel PCL, la sinistra che non ha mai tradito e mai tradirà.

Nel contempo il PCL propone all'insieme della sinistra politica e sociale di unirsi in fronte unico a partire dalle fabbriche e quartieri, con delegati eletti e revocabili (parlamento dei lavoratori e delle sinistre), per organizzare la lotta al governo Berlusconi e alle sue misure politiche e sociali, ma sulla base ineliminabile di una completa rottura con il centrosinistra e il Partito Democratico di Veltroni.

Il meeting si è chiuso al canto dell'Internazionale e con lo slogan classico del PCL "Il proletariato non ha nazione, internazionalismo, rivoluzione. La rivoluzione sarà mondiale, viva la IV Internazionale".