venerdì 30 maggio 2008

Un parlamento dei lavoratori per i lavoratori

Articolo di Marco Ferrando da : il manifesto del 18 Maggio 2008

(27 maggio 2008)

Le Sinistre fuori dal Parlamento? Costituiamo allora, a partire dalle lotte, un parlamento delle sinistre, a base operaia e popolare, da contrapporre al governo Berlusconi e al «suo» parlamento addomesticato, che sia espressione unificante delle mobilitazioni, luogo pubblico di confronto tra posizioni e proposte diverse oggi presenti nel movimento operaio, e al tempo stesso sede democratica di organizzazione e unificazione dell'iniziativa di massa. Peraltro: se la Lega Nord inventò il Parlamento della Padania come simulazione di un contropotere secessionista, per quale ragione il movimento operaio non potrebbe dar vita a un proprio Parlamento come espressione reale di un'alternativa istituzionale di classe?

Partiamo da un principio di realtà. Due anni di subordinazione clamorosa al governo Prodi da parte degli stati maggiori della sinistra italiana - in una maggioranza di governo che per oltre un anno andava da Mastella a Turigliatto - hanno spinto alcuni milioni di lavoratori all'astensione e altri milioni, a parità di condizione, verso il «voto utile» al Pd contro Berlusconi. Così i dirigenti Arcobaleno non solo hanno regalato l'Italia a Berlusconi dopo aver votato per due anni le stesse politiche di Berlusconi (il peggio del peggio); non solo hanno regalato a Bossi settori operai e popolari facile preda di suggestioni xenofobe proprio perché privati di ogni difesa sociale (e anzi colpiti dal centrosinistra per conto della grande industria e delle banche); ma hanno regalato a industria e banche la totale rappresentanza dell'attuale Parlamento. O vogliamo ignorare la precisa documentazione disponibile circa il regolare finanziamento dei principali partiti di governo, di centrodestra e centrosinistra, da parte dei potentati della finanza, dei grandi petrolieri, dell'industria farmaceutica, ecc.?

Basterebbe citare il libro di Stella «La casta» nell'unica parte omessa (non a caso), dai media.
L'attuale Parlamento, occupato all'80% da Pdl e Pd, spartito cioè tra Berlusconi-Fininvest e Veltroni-Colaninno-Banca Intesa (con un 5% a Casini-Caltagirone) è persino nella sua rappresentanza politica, l'espressione diretta e/o indiretta del grande capitale. Di una piccola minoranza privilegiata che grazie ai propri partiti, distinti ma complementari, riesce a assoggettare a sé la maggioranza della società, nel finto gioco di un'alternanza tra élite che si spaccia spudoratamente per «democrazia». Ecco, l'attuale Parlamento è la più clamorosa confessione della democrazia borghese: di quell'«inganno per i poveri» di cui parlava Lenin un secolo fa e che oggi è persino più ipocrita e volgare di un tempo.
Ma allora perché non contrapporre al governo Berlusconi e all'attuale Parlamento l'embrione di una democrazia vera, di una democrazia dei lavoratori per i lavoratori? La logica che accompagnava la proposta di Gramsci dell' «Antiparlamento» , o la grande tradizione del consiliarismo italiano, non sono proprio oggi spunti preziosi da rielaborare e riattualizzare? Questo è il senso della nostra proposta.

Come Pcl siamo impegnati più che mai nella costruzione del nostro partito, l'unico che non si è compromesso, né in tutto né in parte, col centrosinistra e il suo disastro. Ma non contrapponiamo la costruzione del Pcl all'esigenza di un vasto fronte unico di lotta contro il governo Berlusconi e l'aggressione confindustriale. Un Parlamento popolare eletto direttamente dal popolo della sinistra a partire dalle fabbriche, dai luoghi di lavoro, dal territorio, con delegati permanentemente revocabili e privi di ogni privilegio sociale, con un criterio di rappresentanza integralmente proporzionale tra le diverse posizioni, organizzazioni, partiti, sarebbe una grande espressione democratica di unità e di forza. E al tempo stesso uno straordinario laboratorio di autorganizzazione di massa. Sarebbe la sede pubblica di organizzazione della mobilitazione popolare contro il governo, di controinformazione e denuncia delle sue politiche, di confronto libero e aperto tra i lavoratori, in una grande casa di vetro, sulla costruzione di un'alternativa di società e di potere, fuori da un puro dibattito accademico separato dalle lotte.
Insomma, di fronte al volto corrotto e lontano della politica dominante e del suo parlamentarismo, un Parlamento popolare sotto il controllo dei lavoratori potrebbe divenire il riferimento di vasti settori di classe, un fattore di coinvolgimento progressivo di strati popolari oggi sfiduciati e passivi, di settori popolari antiberlusconiani oggi immobilizzati dal Pd, e persino di strati operai che hanno ripiegato a destra ma che presto saranno sotto i colpi del governo che hanno votato e potranno cercare nuove strade.
Questa proposta ha una sola implicazione, non sufficiente ma necessaria: la prospettiva di un'opposizione radicale, di sistema, al governo delle destre e alle classi dirigenti del paese, fuori da ogni ipotesi di ricomposizione, per l'oggi e per il domani, col Partito democratico di Veltroni e con la vecchia logica dell'alternanza.
Per questo dubito, realisticamente, che la proposta del «Parlamento popolare» possa interessare gli stati maggiori delle sinistre Arcobaleno, tanto più nel momento in cui sono avvitati in una guerra intestina senza ritorno. Mi auguro invece possa interessare dal basso tutte le forze e energie disponibili a ricostruire unitariamente, dalle attuali macerie, una prospettiva di riscatto per i lavoratori. Che faccia finalmente piazza pulita di ogni vecchio trasformismo.


martedì 27 maggio 2008

Dalle lotte di Chiaiano allo sciopero politico generale contro il governo dei padroni


Il 23 maggio su Libero, giornale di Berlusconi, l’articolo di quel pagliaccio dannunziano di Oscar Giannino era intitolato “ Zitti e pedalare”. Così si sintetizzavano i discorsi di Emma Marcegaglia e di Silvio Berlusconi all’assemblea di Confindustria.

Ma come si dice, “ tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”. Da Chiaiano è iniziata la risposta a tutti coloro che pensano che la vittoria di Berlusconi e dei suoi bravi gettasse le masse nella prostrazione. Napoli è la prima città che insorse in Europa contro gli sgherri di Hitler, pensare che tipi come Berlusconi, Marcegaglia, Fini e il pupazzo Veltroni possano spaventare le masse significa che la paura ce l’ha chi la pensa in questo modo.

Intervistato dai suoi compagni americani sulle prospettive della rivoluzione socialista, nel quadro delle contraddizioni suscitate dal secondo conflitto imperialista mondiale a un anno dal suo inizio, Trotsky rispondeva: Le masse operaie hanno per Hitler un odio sentimentale mescolato a sentimenti di classe confusi: esse odiano i briganti vittoriosi”.

Il popolo di Chiaiano non si è fatto ingannare nè dalla demagogia berlusconiana su ICI, detassazione di straordinari, promesse sui mutui, nè si è fatto trascinare dalla campagna di odio razzista, nè si è fatto impressionare dal pugno di ferro promesso da Berlusconi o dalla “tolleranza zero” invocata dalla padrona della Marcegaglia di Casalmaggiore, dove cinque giorni fa è morto lavorando Mario Di Girolamo di trentadue anni e padre di due figli di 3 e 5 anni. Quanto più il movimento del napoletano approfondirà la sua lotta fino a prendere in considerazione la questione del potere politico, tanto più la campagna di odio razzista del governo Berlusconi si intensificherà. Perciò è indispensabile dar vita alle squadre di autodifesa contro il razzismo in grado di mobilitare la popolazione contro gli squadristi e i lazzaroni foraggiati dai seminatori d’odio. Questo pulviscolo atmosferico di umanità non è in grado di reggere un’offensiva politica organizzata del proletariato. Da un punto di vista tecnico le azioni dei razzisti hanno successo perchè agiscono di sorpresa. Compito dei proletari e delle proletarie d’avanguardia è quello di costruire una struttura organizzativa che tolga ai sicari del nemico di classe il vantaggio della sorpresa. Le masse seguono quelli che dimostrano di saper battere i briganti vittoriosi e portarle alla vittoria.

Sul fronte del diritto violato dal reato di clandestinità non vediamo alcuna iniziativa di Magistratura democratica. Il reato di clandestinità funziona come legittimazione dei pogrom contro gli immigrati ed in in ultima analisi è la cancellazione del diritto di esistenza. Cosa aspetta Magistratura Democratica a mobilitarsi contro il capitalismo, che il governo Berlusconi ripristini la pena di morte?

Il proletariato francese in questo momento di nuovo in lotta contro Sarkozy, nonostante le cospirazioni della burocrazia sindacale e dei socialtraditori di ogni genere, non può che rafforzarsi se anche nello stato italiano aumentano le mobilitazioni contro il governo Berlusconi e viceversa. Il problema, qui come in Francia è quello di conquistare gli elementi più attivi nelle lotte alla strategia degli obiettivi transitori: dalle lotte parziali far emergere la coscienza della necessità e attualità della rivoluzione socialista, la condizione obbligata per agire in modo adeguato quando la mobilitazione delle masse diventerà incontenibile. I principali avversari di questo metodo si trovano in quell’area politica che va da Sinistra Critica al Manifesto, sono loro che non sapendo dove vogliono andare vogliono far passare nella sinistra anticapitalista l’idea che la conquista del potere sia una prospettiva indefinita e che l’arma principale della classe oppressa, il partito, sia “superato”. E’ il ragionamento tipico di chi non riuscendo in un’impresa dichiara inutile l’impresa, invece di chiedersi dove non si è stai coerenti e tatticamente adeguati. Di gente così nel movimento operaio e socialista ne è passata e i successi di questo ci sono stati quando gli scettici e dubbiosi non sono stati più ascoltati. Ciò che gli scettici e dubbiosi cercano di occultare è che l’odio delle masse contro i briganti vittoriosi contiene il desiderio confuso di farla finita con questi. Quest’odio e questo desiderio il partito rivoluzionario li trasforma in attività politica rivoluzionaria cosciente. Il proletariato cosciente non sa che farsene di coloro che separano il movimento dal fine.

PCL-sezione di Sassari 25/05/08

venerdì 23 maggio 2008

IL “PACCHETTO SICUREZZA” DEL GOVERNO BERLUSCONI RICORDA LE LEGGI RAZZIALI DI MUSSOLINI

Contro il governo razzista e antioperaio Berlusconi e i suoi ministri xenofobi!

Combattiamo i veri nemici: i banchieri, i padroni e il capitalismo!

Il nuovo decreto sulla “sicurezza” proposto dal ministro leghista Roberto Maroni costituiscono il primo attacco del governo Berlusconi contro i lavoratori, con il silenzio-assenso del PD e di una sinistra di governo ormai morta, già complici del decreto xenofobo anti-rom del governo Prodi.

Il nuovo decreto fascista prevedrà il reato di clandestinità, la possibilità di reclusione nei lager-Cpt fino a 18 mesi, più poteri ai sindaci-sceriffi, la sospensione del trattato di Shengen per i cittadini comunitari e altri provvedimenti razzisti che peggiorano ulteriormente le condizioni degli immigrati, già attaccati negli anni passati prima con la legge Turco-Napolitano (del primo governo Prodi) e poi con la legge Bossi-Fini del governo del plurinquisito piduista Silvio Berlusconi.

E’ necessario denunciare le leggi e le campagne razziste e xenofobe per quello che sono: delle leggi antioperaie e antipopolari che hanno un duplice scopo. Da un lato agli imprenditori fa comodo avere della manodopera a basso costo da tenere in perenne ricatto e con condizioni di lavoro insicure e disumane. Dall’altra i padroni, i banchieri e i loro governi lanciano assurde campagne razziste contro gli immigrati come capro espiatorio per il loro crimine: quello di ridurre sul lastrico i lavoratori, quello di tenere bassi i salari, quello di massacrare i popoli oppressi con le più cruenti guerre imperialiste, quello di imporre cappi al collo a milioni di famiglie con i mutui usurai!

E’ per questo che ogni attacco ai lavoratori immigrati si traduce in un peggioramento delle condizioni sociali degli stessi lavoratori italiani. Il Partito Comunista dei Lavoratori rivendica l’unità di lotta tra lavoratori italiani e lavoratori immigrati, per un fronte comune contro le politiche filo padronali del governo Berlusconi, che non tarderanno, con la crisi economica alle porte, ad attaccare i salari e i diritti di milioni di lavoratori.

- CONTRO IL “PACCHETTO SICUREZZA”, PER LA SUA SCONFITTA CON LA LOTTA

- PER L’ABOLIZIONE DELLA BOSSI-FINI E DELLA TURCO-NAPOLITANO

- PER LA CHIUSURA IMMEDIATA DEI LAGER CPT

- PER UNA SANATORIA GENERALE PER TUTTI GLI IMMIGRATI SPROVVISTI DI PERMESSO DI SOGGIORNO

- PER L’UNITA’ TRA LAVORATORI ITALIANI E IMMIGRATI


PREPARIAMO LA CACCIATA DEL GOVERNO BERLUSCONI, PER UN GOVERNO DEI LAVORATORI!

Emergenza rifiuti a Napoli: dopo il danno la beffa

(21 maggio 2008)

Dopo giorni di roghi e proteste si è tenuta oggi a Napoli, la manifestazione indetta dalla Rete campana salute e ambiente e dai comitati territoriali da mesi in lotta contro discariche e siti di stoccaggio dei rifiuti più o meno "provvisori". Sotto una pioggia battente i manifestanti - oltre un migliaio - hanno ribadito le loro ragioni:

- no alle discariche e agli inceneritori, dannosi alla salute e utili solo a garantire profitti agli speculatori di turno;

- per una vera raccolta differenziata - tuttora ignorata dalle istituzioni locali, e la lavorazione a freddo del residuo;

- no alle strutture commissariali;

- per un piano generale della gestione dei rifiuti costruito dal basso, dalle comunità in lotta.

Al corteo ha preso parte il compagno Marco Ferrando, insieme con i compagni della sezione napoletana del PCL, che hanno ribadito le ragioni del controllo popolare del ciclo dei rifiuti.

A manifestazione conclusa sono state tuttavia rese note le misure prese dal governo sulla questione: individuazione di dieci nuovi siti per discariche secretati (!), nomina di Bertolaso a supercommissario, militarizzazione dei siti, arresto per chi si opporrà alla loro realizzazione, aumento del numero degli inceneritori. Si tratta di una vera provocazione, che calpesta ogni garanzia democratica, e consegna definitivamente il ciclo rifiuti a boiardi di stato e malavita organizzata!

È ormai chiaro che l'ennesima emergenza, quella degli ultimi giorni, causata dal blocco della raccolta, è stata costruita ad arte, per poter riproporre, in una versione ancora più autoritaria, le vecchie ricette tanto care a politici di entrambi gli schieramenti e padroni.

Il Partito Comunista dei Lavoratori denuncia le ennesime misure emergenzialistiche (che non a caso hanno già riscosso l'appoggio del Partito Democratico), rivendicando il diritto dei lavoratori e delle masse popolari di decidere sulle condizioni più elementari della loro salute e della qualità della loro vita.

giovedì 15 maggio 2008

INIZIA LA CONTESTAZIONE AL GOVERNO BERLUSCONI

(14 maggio 2008)

Ieri 13 maggio, giorno di insediamento "formale" del nuovo governo Berlusconi, il Partito Comunista dei Lavoratori ha manifestato fuori da Montecitorio la propria contrarietà al nuovo esecutivo ed al suo programma. Una politica, quella del Pdl, che si prospetta tragica per l'Italia e il mondo del lavoro. Dalle politiche internazionale di guerra - sulla scia del governo Prodi -in Libano, Afghanistam ecc; alle politiche di massacro costante nei confronti dei lavoratori, a partire dall'attacco del contratto nazionale; fino alle scelte xenofobe e sicuritarie rivolte ai migranti.

Il Partito Comunista dei Lavoratori , nonostante la pioggia, ha tenuto il suo presidio, inizialmente vietato dalla questura, sotto le finestre della camera dei deputati. Decine di nostri militanti (prevalemtemente della sezione romana del partito), a cui si sono aggiunti passanti, con bandiere e striscioni hanno fatto sentire la loro voce. La voce della sinistra che non tradisce.

In omaggio al nuovo clima di collaborazione bipartisan tra Pdl e Pd, la stampa e i tg nazionali hanno ben pensato che non fosse il caso di dare notizia della nostra azione rischiando di rovinare la grande festa di pacificazione nazionale che si stava consumando nell'aula parlamentare

mercoledì 14 maggio 2008

SU OLIVIERO DILIBERTO E LA "COSTITUENTE DEI COMUNISTI"

(12 maggio 2008)

Oliviero Diliberto e il gruppo dirigente del PDCI hanno ispirato il recente appello per la "Costituente Unitaria dei Comunisti": un appello che rivendica la ricomposizione di PRC e PDCI e, attorno ad essa, di "tutti i comunisti", come risposta al tracollo dell'Arcobaleno.

E' del tutto comprensibile, oltre che legittimo, il tentativo del PDCI e del suo segretario di capitalizzare a proprio vantaggio la crisi verticale del PRC offrendosi come sponda a sue minoranze interne. E trasparente oltretutto è il tentativo di fuggire, con questa mossa, dalle proprie responsabilità (disinnescando contenziosi interni al suo partito). Ma la domanda è: come si può fuggire dal tracollo ricomponendo l'unità di quei gruppi dirigenti che ne sono responsabili e che l'hanno prodotto? Davvero basta la riesumazione simbolica della falce e martello per offrire una prospettiva politica a decine di migliaia di comunisti e al mondo del lavoro? Davvero si può rimuovere la lezione e il bilancio dell'esperienza Rifondazione, come se nulla fosse accaduto, semplicemente riportando le lancette al PRC del '96?

Questa proposta, in realtà, è l'ennesimo inganno senza futuro da parte di un gruppo dirigente pienamente corresponsabile della disfatta e che cerca semplicemente di salvare se stesso.

Partiamo dai fatti.

Il PRC del '96 cui Diliberto vorrebbe tornare è il PRC che per oltre due anni, sotto la guida congiunta di Bertinotti, Cossutta, Diliberto, Ferrero, Grassi, sostenne il primo governo Prodi: votando l'introduzione del lavoro interinale (pacchetto Treu), il record delle privatizzazioni in Europa, una pesantissima legge finanziaria di 80mila miliardi di lire, la detassazione di rendite e profitti, l'introduzione dei CPT contro gli immigrati. In altri termini, le più pesanti politiche antioperaie e antipopolari degli anni novanta.

L'unica differenza tra Bertinotti-Ferrero-Grassi da un lato e Cossutta-Diliberto dall'altro, fu che mentre i primi scelsero strumentalmente nel '98 di ritirare il sostegno a Prodi con l'intento iniziale di ricomporre un' "alleanza più avanzata" con D'Alema (salvo fallire e finire per una fase all'opposizione), i secondi scelsero di proseguire in modo lineare il proprio sostegno al Centrosinistra, entrando organicamente nel governo D'Alema-Cossiga (con Diliberto ministro di Giustizia) e partecipando al criminale bombardamento di Belgrado (oltre che alla continuità delle politiche confindustriali).

Di più: quando il Centrosinistra crollò, spianando la strada al ritorno di Berlusconi, Bertinotti e Diliberto ricominciarono a collaborare (a partire dal 2004) nella prospettiva di governo dell'Unione, a braccetto con tutto il personale politico antioperaio e anticomunista dei DS e della Margherita: con lo scopo di portare in dote all'Unione la subordinazione della grande stagione dei movimenti di lotta antiberlusconiani del 2001-2003. E quando l'Unione di Prodi, col sostegno dei poteri forti, "vinse" (seppur di poco) le elezioni del 2006, Bertinotti e Diliberto ripresero a votare insieme quelle stesse politiche confindustriali che insieme avevano votato nel '96-'98. Non è forse questo che milioni di lavoratori hanno osservato esterrefatti in questi anni? I cosiddetti partiti "comunisti" hanno votato le missioni di guerra, l'aumento del 17% delle spese militari, 10 miliardi di regalie a grandi imprese e banche, la truffa sul TFR, l'aumento dell'età pensionabile a 62 anni a regime, e per finire in bellezza la continuità della legge 30 di Berlusconi. Sino alla nuova sconfitta del Centrosinistra, il secondo tragico ritorno di Berlusconi, e il tracollo elettorale e politico delle sinistre di governo (Arcobaleno), con l'estromissione dal Parlamento. Insomma, un totale disastro.

E ora Diliberto, senza alcun bilancio di tutto questo, e come se nulla fosse accaduto, chiede..."l'unità dei comunisti"? Ma "comunisti" quali? Usando lo stesso codice terminologico di Diliberto, potremmo dire che "l'unità dei comunisti" l'abbiamo già vissuta, di fatto, per 15 anni: quando ciclicamente gli stati maggiori di PRC e PDCI, al gran completo, hanno votato "unitariamente" tutte le peggiori politiche della borghesia contro il mondo del lavoro. E ora Diliberto vorrebbe formalizzare e sigillare questa unità recuperando il simbolo di falce e martello? Ma proprio quel simbolo - simbolo del lavoro e del socialismo - è stato prostituito e piegato per tanti anni a ragioni opposte a quelle per cui nacque. Dovremmo quindi restaurare una finzione e celebrare una doppiezza?

La lezione di fondo di questi 15 anni è la bancarotta, senza ritorno, dei gruppi dirigenti della sinistra italiana. Senza prendere atto di questa realtà, senza andare alla radice del problema, non si ricostruisce alcun futuro e si preparano nuove sconfitte.

Dire questo non significa affatto, per parte nostra, ignorare la naturale aspirazione all'unità che tanti comunisti onesti oggi esprimono da collocazioni politiche e organizzative diverse. Al contrario: la consideriamo non solo comprensibile e naturale, ma anche l'espressione di una positiva volontà di reagire al disastro, di non rassegnarsi, di non darla vinta all'odiosa campagna anticomunista delle classi dominanti e alla deriva culturale parallela di tanta parte della sinistra.

Ma proprio perchè rispettiamo profondamente questo sentimento; proprio perchè vogliamo raccoglierlo e dialogare con esso nel modo più serio e più aperto, vogliamo evitare che venga usato e tradotto dal gruppo dirigente del PDCI nell'ennesimo equivoco, con l'ennesima dispersione di tante attese, energie, generosità.

La vera unità dei comunisti, capace di durare e di reggere alle dure prove della lotta politica di classe, è quella che si fonda sui principi. E innanzitutto sul recupero di quel principio di fondo che la lunga storia della socialdemocrazia e dello stalinismo ha rimosso, e che i gruppi dirigenti della Rifondazione hanno tradito: il principio dell'autonomia e dell'alternatività dei comunisti alle forze della borghesia; il principio dell'opposizione dei comunisti, sul piano nazionale e locale, ai governi della borghesia e ai loro comitati d'affari, di Centrodestra come di Centrosinistra. Perchè solo così è possibile sviluppare nelle lotte quella politica di indipendenza di classe che è condizione stessa di un'alternativa anticapitalistica. E perché in caso contrario i partiti "comunisti" finiscono non solo col tradire il socialismo, ma col subordinare i lavoratori alle politiche dell'avversario in cambio di ruoli politici e istituzionali.

Il Partito Comunista dei Lavoratori è nato nel nome innanzitutto di questo principio di autonomia e del programma che lo fonda: quello di un'alternativa di società e di potere, di un governo dei lavoratori per i lavoratori. Non a caso siamo l'unico partito della sinistra italiana che non si è compromesso col governo Prodi, né in tutto (PRC e PDCI), né in parte (Sinistra Critica). Nel nostro piccolo, siamo l'unico partito che - controcorrente - ha retto alla prova di questi anni.

Per questo tanto più oggi, di fronte al disastro prodotto e al dramma di migliaia di comunisti, riproponiamo ostinatamente il cammino che abbiamo scelto: unire tutti gli onesti e sinceri comunisti, indipendentemente dalle diverse storie e provenienze, attorno a un quadro certo e chiaro di principi di classe e anticapitalisti. Perché questa è l'unica vera via di uscita. E non solo per i comunisti. Ma per un mondo del lavoro che più che mai ha bisogno di ritrovare un proprio partito indipendente, contrapposto all'ordine dominante.

Per questo, con molta semplicità, diciamo a tutti i sinceri comunisti che ancora si collocano nel PRC, nel PDCI, in altre formazioni, o che sono fuori da ogni partito: sviluppiamo insieme il Partito Comunista dei Lavoratori, che già si va espandendo in tutta Italia. Questo è il progetto che non verrà mai tradito e disperso.

lunedì 12 maggio 2008

Solo il governo dei lavoratori e delle lavoratrici può arrestare il disastro prodotto dai capitalisti!

I responsabili dell’aumento dei prezzi alimentari, della benzina e dell’elettricità sono i grandi capitalisti dell’industria e della finanza

Nel periodo che va dal 2002 al 2007 i capitalisti ed il loro stato hanno rapinato 7.635 euro a ogni famiglia tra aumenti di prezzi e tariffe. Rispetto al 2007 il pane è aumentato del 12,3%, il latte dell’8,7%, le tariffe elettriche del 5,3%, il gas del 3,9%; al 1 maggio la benzina verde toccava 1.46 euro, mentre il diesel 1.44 euro.

Questi aumenti intaccano, pesantemente, il reddito, già basso, della classe lavoratrice per i salari striminziti, la precarietà, il lavoro nero e l’indebitamento con le banche. Alla fine del 2007 l’indebitamento dei nuclei familiari (numeri della Banca d’Italia) è di 493 miliardi di euro, 11% in più dell’anno precedente: il debito assomma alla metà del reddito delle famiglie. Il capitalismo è infame perché costringe i lavoratori ad indebitarsi per poter avere un’abitazione.

Ma l’aumento dei prezzi dei beni alimentari che si è sviluppato dalla fine dello scorso anno mostra il lato infame del capitalismo.

Dopo che la grande finanza ha lucrato nel settore edilizio negli USA e in Europa, si è aperta in questo settore una crisi profonda con perdite per le grandi banche che sono state scaricate sulle famiglie che avevano contratto dei mutui bancari: un risultato terribile è che nei soli USA a 618 mila famiglie è stata pignorata la casa. Poiché dopo questa crisi nel settore edilizio non si poteva strozzare più, la speculazione finanziaria capitalistica si è buttate avidamente in ciò di cui non si può fare assolutamente a meno il settore dell’alimentazione. I rialzi sono sbalorditivi in Sardegna e nel resto del continente; in Africa, Asia e America latina coprono il 70 % dei salari di quei martoriati paesi. Questo è il capitalismo tanto decantato da Berlusconi e da Veltroni: impoverimento, fame e guerre contro chi non accetta gli ordini dei grandi capitalisti dell’industria e della finanza.

Il governo Berlusconi continuerà a spremere la classe lavoratrice, come ha già fatto il governo Prodi.

Il Partito Democratico di Veltroni farà la finta, quando la farà, di opporsi a Berlusconi.

Solo il governo dei lavoratori e delle lavoratrici può arrestare il disastro prodotto dai capitalisti avidi, dai politici e dai burocrati corrotti e incompetenti.

Partito Comunista dei Lavoratori- sezione di Ozieri

venerdì 9 maggio 2008

ISRAELE NON È UN OSPITE D’ONORE! PALESTINA LIBERA!

Comunicato dei compagni di Torino per il boicottaggio della fiera del libro


FIERA DEL LIBRO - Torino/Lingotto, 8-12 maggio 2008

In questa Fiera la cultura è oltraggiata e ridotta a pretesto dell'invito allo Stato d'Israele come ospite d'onore, nel 60° della sua fondazione. Il Governo Italiano (Berlusconi-Prodi-Berlusconi) mantiene un accordo di cooperazione militare bilaterale con Israele, nel quale sono impegnati servizi segreti e apparati militari.

Lo Stato d'Israele fu artificiosamente creato in terra di Palestina nel 1948 con decreto dell'ONU, per volontà delle potenze occidentali vincitrici della seconda guerra mondiale, in funzione di autoassoluzione dall'orrore dell'Olocausto, e con il riconoscimento compiacente dell'Unione Sovietica di Stalin.

Stato in realtà creato nella logica della spartizione del pianeta in zone d'influenza sotto controllo dei vincitori, ottimo avamposto occidentale in Medio Oriente, a compenso del controllo sovietico sull'Europa orientale.

Il 1948 fu la nakba, per i palestinesi la catastrofe: centinaia di migliaia di abitanti arabi forzati all'esilio dalla loro terra, espropriati dei loro beni, o ridotti a prigionieri nelle loro case dall'occupazione israeliana. Fu l'inizio della pulizia etnica della Palestina, che non ebbe mai fine, arrivata oggi all'orrore del muro dell'apartheid in Cisgiordania, mentre Gaza è ridotta a un grande campo di concentramento.

Da 60 anni il popolo palestinese si è organizzato e continua ad organizzarsi per opporre la sua resistenza a questa mostruosità.

Da 60 anni Israele continua impunemente nella sua pratica di annientamento del popolo palestinese.

A partire dal 1948, migliaia di cittadini ebraici, provenienti in gran parte dai paesi baltici e dall'Europa dell'Est, dove la persecuzione nazista era stata più feroce e spietata, partirono esuli a conquistare la terra promessa dalla delirante ideologia sionista, "una terra senza popolo per un popolo senza terra", ovvero una Palestina ripulita dai palestinesi per gli ebrei colonizzatori.

Ora è tempo che gli ebrei si riscattino da questo inganno.

L'accusa di ansitemitismo a chi, come noi, si batte contro la pulizia etnica messa in atto da Israele in Palestina è la più odiosa e volgare, tanto più se viene da quegli ambienti che, in nome della "pacificazione nazionale", hanno teorizzato la legittimazione del fascismo e delle leggi razziali in casa nostra, perché è proprio l'ideologia razziale del sionismo a favorire l'identificazione tra ebreo ed oppressore, e quindi ad esporre il popolo ebraico al rischio di reazioni antisemite.

Allora la lotta all'antisemitismo è inseparabile dalla lotta al sionismo e per questo ci richiamiamo alla tradizione dell'ebraismo democratico, socialista, antisionista: la tradizione di Rosa Luxemburg, dell'insurrezione del ghetto di Varsavia, della lotta contro le connivenze tra vertici sionisti e capi nazisti nel convergente rifiuto di ogni assimilazione dei cittadini ebraici nella società tedesca ed europea.

Tanto più oggi, il riscatto dell'ebraismo agli occhi dei popoli oppressi passa per il recupero di questa tradizione, contro il sionismo e a fianco delle istanze di liberazione delle masse arabe.