(4 ottobre 2008)
La crisi di Wall Street e i suoi primi effetti in Europa non sono semplici turbolenze, per quanto gravi, del capitalismo: sono la cartina di tornasole della sua vera natura e, insieme, della sua crisi strutturale. Esse smentiscono una volta di più, se ve n’era bisogno, tutti gli annunci apologetici dell’89 sulla nascita di un nuovo “ordine mondiale” economicamente prospero. Così come sconfessano tutte le fantasie neoriformiste o “centriste” su un “nuovo mondo possibile” in ambito capitalistico. Al contrario: l’attuale crisi capitalistica conferma una volta di più l’attualità della rivoluzione socialista internazionale quale unica via d’uscita storicamente progressiva dalla crisi dell’umanità.
Naturalmente sarà necessario verificare attentamente il corso della crisi finanziaria, i ritmi della sua propagazione internazionale, le sue ricadute sulla produzione mondiale, i suoi effetti sul declino americano negli equilibri globali. Ma in ogni caso al di là delle sue variabili imprevedibili, la grande crisi di Wall Street rivela nella forma più clamorosa tutta l’irrazionalità del capitalismo, l’anarchia insuperabile del suo modo di produzione, la barbarie morale delle sue classi dirigenti, dei suoi partiti, dei suoi governi di diverso colore.
Per vent’anni la borghesia mondiale, americana ed europea, ha costruito il grande castello delle proprie fortune finanziarie sul massacro sociale dei salari e del lavoro; sulla privatizzazione delle prestazioni sociali (fondi pensione); sull’indebitamento crescente e indotto di milioni di famiglie in cerca di casa o di cure sanitarie; sulla cinica cartolarizzazione dei debiti e dei rischi d’insolvenza: in una gigantesca giostra di capitali fittizi, spinta dalla ricerca di un profitto più elevato e più rapido di quello garantito dall’economia “reale”. La miseria sociale e la speculazione sulla miseria sono state la base dell’enorme ricchezza finanziaria accumulata dalle grandi banche, assicurazioni, imprese. Oggi quelle stesse classi dirigenti cercano di scaricare gli effetti del crollo del loro castello finanziario sulle medesime vittime sociali delle proprie speculazioni. Questa è la sostanza del piano Paulson negli USA col sostegno congiunto di Bush, Obama e McCain. Questo è il segno dei salvataggi finanziari operati in Europa, in Gran Bretagna, in Francia, in Germania, in Belgio, in Olanda.
Ovunque la crisi sconfessa clamorosamente le ipocrisie ideologiche degli ultimi 20 anni.
I governi più “liberisti”, nel colpire i lavoratori, diventano i più “statalisti” quando si tratta di salvare i banchieri, naturalmente a spese dei contribuenti. I più solenni avversari del più piccolo “aiuto statale” per il salvataggio di posti di lavoro nei servizi pubblici, promuovono giganteschi aiuti dello stato per il salvataggio degli speculatori privati destinando centinaia di miliardi pubblici all’acquisto di titoli “tossici” o di azioni in declino. I nemici ideologici di ogni nazionalizzazione non esitano a comprare in tutto o in parte banche e assicurazioni in difficoltà: pagando indennizzi miliardari (e un futuro dorato) a sfruttatori cinici, con i soldi prelevati dal portafoglio degli sfruttati e da nuovi tagli sociali. I lavoratori colpiti nella previdenza pubblica a vantaggio di fondi pensione truffaldini (spesso oggi in picchiata) sono chiamati a pagare il conto lasciato dalle banche truffatrici: dunque sono truffati due volte. Famiglie spremute per anni da mutui bancari usurai sono chiamate a pagare il disastro dei loro strozzini: magari dopo aver subito il pignoramento della casa. Ovunque gli effetti della crisi e delle terapie borghesi si scaricheranno sulle condizioni sociali di grandi masse, già provate da decenni di “sacrifici”.
Di fronte a questo scenario generale, si conferma, una volta di più, la totale inconsistenza di ogni ingenuità riformista. I teorici del capitalismo democratico e sociale, di un “keynesismo progressista”, di un compromesso riformatore con la borghesia, sono davanti al fallimento di tutte le loro fantasie. Il nuovo statalismo della borghesia è a sostegno delle banche (e del militarismo) contro i lavoratori. Né più né meno che il vecchio liberismo. E’ la riprova che la borghesia usa i più diversi specchi ideologici a difesa dei propri immutati interessi di dominio.
Ogni riduzione dell’anticapitalismo all’antiliberismo ha rappresentato e rappresenta un inganno per i lavoratori e i movimenti sociali: spesso allo scopo di non pregiudicare compromessi di governo con le classi dominanti e i loro “partiti democratici” contro i lavoratori e i movimenti.
Parallelamente l’enormità della crisi in corso polverizza tutte le impostazioni iperminimaliste sostenute nei movimenti dalle organizzazioni centriste (Tobin tax, democrazia partecipativa…): miti ideologici illusori ormai defunti, subalterni all’idea di un capitalismo “sociale”, che rivelano, tanto più oggi, tutta la propria impotenza.
La verità nuda e cruda che la grande crisi internazionale ci consegna è la conferma del marxismo: il capitalismo non è socialmente riformabile. Né per via ministeriale, né per opera della “pressione” dei movimenti. Nessun nuovo futuro per l’umanità è compatibile con il potere delle banche, delle assicurazioni, delle grandi imprese, dei loro partiti, dei loro governi, dei loro Stati. Il rovesciamento rivoluzionario di questo potere è condizione storica decisiva per il progresso della società umana. Solo un governo operaio può nazionalizzare le banche non i loro debiti. Solo il potere dei lavoratori e delle lavoratrici può rendere possibile un mondo nuovo, liberato dalla dittatura del capitale finanziario.
Il PCL è orgoglioso di rappresentare l’unico partito della sinistra italiana che si batte per questa prospettiva storica, e che cerca di ricondurre ad essa le rivendicazioni immediate di lotta, e tutto il proprio intervento quotidiano nella classe operaia e in ogni movimento.
Come è orgoglioso di appartenere a una corrente rivoluzionaria internazionale che persegue lo stesso programma in tutto il mondo: perché la crisi mondiale del capitalismo conferma ancora una volta che l’alternativa socialista o è internazionale o non è.
ESECUTIVO NAZIONALE PCL
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