domenica 5 ottobre 2008

La paura della borghesia

Dirigenti politici, economisti, tecnocrati ed intellettuali della grande borghesia esternano quotidianamente le loro paure di fronte alla catastrofe economica, sociale e politica in corso. Sentono di essere screditati di fronte alla maggioranza della popolazione. Mario Monti se la prende con l’oligarchia al potere negli Usa: “Ma gli Usa hanno fallito in quella ‘specialità’ che per molti decenni hanno insegnato con successo all’Europa e ai Paesi emergenti: la governance dell’economia di mercato. Con la crisi finanziaria in corso che si è generata al proprio interno, hanno dato un vulnus severo e durevole all’immagine e all’accettabilità, nel mondo, dell’economia di mercato”( Sole24ore, 22 agosto). Ernesto Galli della Loggia va più a fondo di Monti: “Sembra cioè farsi sempre più strada, in vasti settori della popolazione, la convinzione che prima che le loro azioni siano le stesse idee delle élites sociali finora in auge, il loro modo di sentire e di essere, la loro cultura nell’accezione complessiva del termine, ad aver fatto il proprio tempo e a essere sempre più estranee alle opinioni delle maggioranze”. Da questa constatazione trae delle conclusioni politiche chiare: “Di fronte a tutto ciò parlare di una ‘ribellione delle masse’ all’ordine del giorno sarebbe francamente esagerato. Ma tenere gli occhi ben aperti di certo non lo è”( Corriere della Sera, 4 ottobre).
Con parole sue Galli della Loggia esprime quello che Gramsci chiamava crisi dell’egemonia della classe dominante: quando la crisi, la catastrofe economica, si esprime al suo massimo livello, quello della crisi del consenso alla classe dominante. Quando le cose stanno così, si entra in una crisi rivoluzionaria. Allora quale è il dovere delle forze della sinistra proletaria? “Si tratta qui del dovere più incontestabile e più essenziale di tutti i socialisti: il dovere di rivelare alle masse l’esistenza di una situazione rivoluzionaria, di spiegarne l’ampiezza e la profondità, di svegliare la coscienza e l’energia rivoluzionaria del proletariato, di aiutarlo a passare all’azione rivoluzionaria e a creare delle organizzazioni conformi alla situazione rivoluzionaria per lavorare in questo senso”( Lenin, Il fallimento della II Internazionale). Questo fa il Coordinamento internazionale per la rifondazione della IV Internazionale e la sua sezione nello stato italiano, il Partito Comunista dei Lavoratori, che propone come organizzazione della lotta un’assemblea intercategoriale dei delegati, promossa unitariamente, che vari una piattaforma di svolta per una vertenza generale di tutto il mondo del lavoro. In questa assemblea ci batteremo perché siano presenti gli obiettivi sintetizzati nelle nostre parole d’ordine per la manifestazione dell’11 ottobre: nazionalizzare le banche, non i loro debiti;abbattere i mutui non i salari; governino i lavoratori non i banchieri.
A chi ci obietta che il governo dei lavoratori è un’utopia perché l’economia è troppo complessa, rispondiamo che chi non lo considera realistico è subalterno all’ economia dell’accademia, ai suoi modelli econometrici ed alle sue formule, ormai, screditate fra gli stessi borghesi. A riguardo, è significativo quanto ha scritto Mario Margiocco: “L’intero investment banking è stato colpito dal morbo di Black-Scholes: il virus nascosto nella formula matematica che porta quel nome e che ha fatto vincere all’Accademia americana tre premi nobel. La formula, che si pensava capace di eliminare il rischio dalle transazioni finanziarie, è invece la madre di tutti i guai, con la pretesa di saper individuare il giusto prezzo futuro. Di prevedere il futuro, insomma”( Sole24ore 21 sett.). Una tale prerogativa è propria, secondo il fondatore della scienza moderna, Galileo, di un’intelligenza extensive, cioè un’intelligenza in grado di possedere contemporaneamente la visione del presente, del passato e del futuro. Ma, ironicamente, Galileo faceva notare che un’intelligenza del genere la possiede solo dio. Pretese del genere sono proprie del delirio idealista, alimentato sicuramente dalla polvere di cocaina che aleggia nelle Borse e negli ambienti prossimi.
Di fonte alla paura che manifestano le élites borghesi, Rossana Rossanda non trova di meglio che porsi i seguenti interrogativi: “ Che faremmo se fossimo al governo? Che chiederemmo di fare a Prodi se non fosse stato rovesciato?”( Manifesto 4 ottobre). Rossanda ripone ancora le sue speranze in un individuo la cui azione di governo ha portato per ben due volte un tipo come Berlusconi e la destra al governo, e la maggioranza del movimento operaio alla devastazione, innanzitutto, politico-culturale. Rossana Rossanda ha la responsabilità di continuare a diffondere, nella sinistra, la tesi che per il movimento operaio, di fronte alla catastrofe ed alla destra trionfante, non c’è altra strada che quella dell’alleanza con quella parte della borghesia, secondo lei e quelli come lei, illuminata. Questa tesi costituisce il nucleo di fondo del togliattismo di Rossanda che continua a legarla alla tradizione stalinista dei “fronti popolari”. Rossana Rossanda, dopo la vaporizzazione del mito maoista, è entrata in quella schiera, purtroppo numerosa, di intellettuali di sinistra che ”hanno dedicato i loro anni migliori al compito di escludere dall’orizzonte storico la possibilità di un crollo capitalista e di tacciare di catastrofismo chi diceva il contrario”( Jorge Altamira, Crisi mondiale: una sinistra accademica e paurosa, Prensa Obrera n° 1057). La fondatrice del Manifesto si ostina a dimenticare che Prodi ha trafficato nella Goldman Sachs in buona compagnia con Mario Draghi, ex vicegovernatore della stessa, con Mario Monti, con Gianni Letta membro dell'Advisory Board di G.S., con R.Rubin, da dirigente Goldman Sachs a segretario al Tesoro presidenza Clinton, con H. Paulson, da vice Presidente di Goldman Sachs a Segretario al Tesoro sotto presidenza G.W. Bush. Una compagnia di pescicani, affamatori di popoli, affetti da delirio di onnipotenza. Rossanda continua ad accreditare, fra i lettori del Manifesto, uno come Prodi che ha dedicato tutta la sua vita a servire i capitalisti e quel centro della reazione mondiale che è il Vaticano?
La paura che la borghesia ha della catastrofe in corso, si trasmette alla sinistra piccoloborghese. Rossanda concorda con Parlato che, qualche giorno prima sul Manifesto ( 30 settembre), ammoniva che “ non c’è affatto di essere contenti perchè la meccanica stessa del capitalismo e anche del mercato scaricherà il massimo dei danni sui lavoratori e sui ceti meno abbienti”. Ma si è mai visto che il passaggio da un modo di produzione ad un altro avvenga senza catastrofi? Il fine del socialismo scientifico, a differenza del riformismo disarmante, è quello di armare le avanguardie della classe salariata a questa evenienza. Prepararle in modo tale da essere capaci di raccogliere sotto le bandiere della rivoluzione sociale, anche, i settori della piccola borghesia rovinati dalla catastrofe e dallo scempio che capitalisti, banchieri e pescecani della finanza fanno dei loro risparmi. Non è vero che la piccola borghesia nelle catastrofi si sposta meccanicamente a destra. Questo succede quando le direzioni della sinistra e del movimento operaio cercano la protezione di quella parte della borghesia da loro ritenuta, erroneamente, illuminata. La piccola borghesia odia chi è responsabile del saccheggio dei suoi risparmi, perciò la strada obbligata è quella della “nazionalizzazione delle banche, senza indennizzo e sotto il controllo dei lavoratori, quale misura indispensabile di svolta sociale e di igiene morale, persino a tutela dei piccoli risparmiatori”(Marco Ferrando).
La catastrofe in corso rovina settori consistenti degli strati bassi dei ceti medi e questo si ripete dalla prima crisi generale del capitalismo che fu la causa oggettiva delle rivoluzioni del 1848. La piccola borghesia francese - dopo essere stata influenzata dai “democratici puri” – marciò, nel giugno del 1848, contro le barricate proletarie, convinta di ottenere una ricompensa, ma rimase tristemente sorpresa dopo il massacro proletario:
“E quando le barricate furono abbattute e gli operai schiacciati e i guardiani delle botteghe, ubriachi di vittoria, si rovesciarono di ritorno nelle loro botteghe, ne trovarono sbarrato l’ingresso da un salvatore della proprietà, da un agente ufficiale del credito, che agitava loro in faccia le sue lettere di protesta: cambiale scaduta! Fitto scaduto! Tratta scaduta! Bottega fallita! Bottegaio fallito” ( Karl Marx, Le lotte di classe in Francia).
Dopo centosessanta anni la questione non è cambiata: o ci si schiera col programma del proletariato rivoluzionario e si combatte sotto le sue bandiere oppure si va incontro a catastrofiche sconfitte.

Gian Franco Camboni direzione Pcl 5 ottobre 2008

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