sabato 28 aprile 2007

Né fascismo né liberalismo: soviettismo! di Antonio Gramsci

Pubblichiamo questo interessante scritto di Antonio Gramsci tratto da"L'Unità" del 7 ottobre 1924 che dimostra il netto contrasto esistente tra il pensiero gramsciano e quello di Palmiro Togliatti, espresso nel governo di unità nazionale con la borghesia liberale e nella "via italiana al socialismo", frutto delle politiche staliniste di collaborazione di classe. L'articolo è tratto da www.antoniogramsci.com
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Nella crisi politica di liquidazione del fascismo il blocco delle opposizioni appare sempre più come un fattore di secondario ordine. La sua composizione sociale eterogenea, le sue esitazioni e la sua avversione ad una lotta della massa popolare contro il regime fascista, riducono la sua azione ad una campagna giornalistica e a degli intrighi parlamentari che si urtano impotenti di fronte alla milizia armata del Partito fascista.
Nel movimento di opposizione al fascismo la parte più importante è passata al Partito liberale perché il blocco non ha altro programma da opporre al fascismo che il vecchio programma liberale della democrazia borghese parlamentare, il ritorno alla costituzione, alla legalità, alla democrazia. Nella discussione sulla successione al fascismo a proposito del congresso del Partito liberale, il popolo italiano è posto, dalle opposizioni, di fronte alla scelta: o fascismo o liberalismo; o un governo Mussolini di dittatura sanguinaria o un governo Salandra, Giolitti, Amendola, Turati, don Sturzo, Vella, tendente a ristabilire la buona vecchia democrazia liberale italiana sotto la cui maschera la borghesia continuerà ad esercitare il suo dominio di sfruttamento.
L'operaio, il contadino, il quale odia il fascismo che da anni l'opprime, crede dunque necessario per abbatterlo di allearsi alla borghesia liberale, di appoggiare coloro che nel passato, quand'erano al potere, hanno sostenuto e armato il fascismo contro gli operai e i contadini quali ancora pochi mesi or sono formavano un solo blocco con il fascismo e ne condividevano pienamente tutta la responsabilità dei delitti? Ed è così che si pone il problema della liquidazione del fascismo? No! La liquidazione del fascismo deve essere la liquidazione della borghesia che lo ha creato.
Quando il Partito comunista, all'indomani dell'assassinio di Matteotti, ha lanciato la parola d'ordine: "Abbasso il governo degli assassini! Scioglimento della milizia fascista!", non ha pensato che il governo degli assassini dovesse essere sostituito con un governo di coloro che con tutta la loro politica avevano aperta la via e armato gli assassini; non ho mai creduto che Giolitti, Nitti, Amendola, che erano al potere quando si è formata la milizia fascista, fossero capaci di disarmare questa milizia che così avevano favorito e armato contro la classe operaia.
Lanciando la sua parola d'ordine il nostro partito non intendeva sostituire il fascismo in fallimento con il vecchio liberalismo di cui la marcia su Roma aveva segnato il fallimento obbrobrioso e la definitiva liquidazione. Il Partito comunista dal principio della crisi del fascismo ha affermato che la classe operaia e contadina ne doveva essere il becchino e il successore al potere.
Per vincere il fascismo è necessaria l'azione della massa del proletariato industriale e dei contadini; la lotta di classe con tutte le conseguenze. Il proletariato potrà e dovrà senza dubbio utilizzare nella sua lotta contro il fascismo le opposizioni e le lotte che si sono sviluppate nel seno della borghesia e della piccola borghesia, ma senza l'azione diretta il fascismo non potrà mai essere abbattuto. Porre così il problema era, nel tempo stesso, porre chiaramente la questione della successione al fascismo. Vinto il fascismo dall'azione delle masse operaie e contadine, il liberalismo non ha nulla a che fare nella successione; questo diritto appartiene al governo degli operai e dei contadini che solo sarà capace ed avrà la sincera volontà di disarmare la milizia fascista, armando la classe operaia ed i contadini.
Nell'ora attuale si tratta di ben altro che di ritorno alla Costituzione, di democrazia e di liberalismo. Sono queste ultime delle parole melliflue che la borghesia cerca di far ingoiare ai lavoratori della città e della campagna per evitare che la crisi acquisti il suo vero carattere, cioè di rivincita degli operai e dei contadini contro il fascismo che li ha soppressi e contro il liberalismo che li ha ingannati e che, ancor mesi or sono, collaboravano o cercavano di collaborare (D'Aragona, Baldesi, ecc.) con Mussolini.
La crisi italiana non può essere risolta che coll'azione delle masse lavoratrici. Sul terreno degli intrighi parlamentari non vi è possibilità di liquidazione del fascismo, ma solo di un compromesso che lascia padrona la borghesia ed il fascismo armato al suo servizio. Il liberalismo, anche se innestato delle glandole della scimmia riformista, è impotente. Appartiene al passato. E tutti i don Sturzo d'Italia, uniti a Turati e a Vella, non riusciranno a rendergli la giovinezza necessaria alla liquidazione del fascismo.
Un governo di classe di operai e di contadini, che non si preoccupa né della Costituzione, né dei sacri principi del liberalismo, ma che è deciso a vincere definitivamente il fascismo, a disarmarlo e a difendere contro tutti gli sfruttatori gli interessi dei lavoratori della città e della campagna; ecco la sola forza giovane capace di liquidare un passato di oppressione, di sfruttamento e di delitti e di dare un avvenire di vera libertà per tutti coloro che lavorano.
Oggi il Partito comunista è il solo a ripetere queste verità al proletariato. La sua influenza si accresce; la sua organizzazione si sviluppa, ma la maggioranza degli operai e contadini, trascinata dalla Confederazione del lavoro, dal Partito massimalista, a loro volta a rimorchio delle opposizioni costituzionali, non ha ancora riacquistato la propria coscienza di classe; non ha compreso che la classe operaia e contadina è il principale fattore della crisi, perché è il numero irresistibile e la grande forza giovane, e che se non vuole illudersi, deve agire sul terreno della lotta di classe come una forza indipendente, che sarà presto determinante, e non sul terreno della collaborazione di classe per cambiare soltanto la maschera alla borghesia italiana.
Il compito essenziale del nostro Partito consiste nel far penetrare fra gli operai e i contadini queste idee fondamentali: Soltanto la lotta di classe delle masse operaie e contadine vincerà il fascismo. Soltanto un governo di operai e di contadini è capace di liquidare il fascismo e di sopprimerne le cause. Soltanto l'armamento degli operai e dei contadini potrà disarmare la milizia fascista. Quando queste verità essenziali saranno penetrate nello spirito della massa operaia e contadina per mezzo della nostra instancabile propaganda, i lavoratori delle officine e dei campi, a qualunque partito appartengano, comprenderanno la necessità di costituire i Comitati operai e contadini per la difesa dei loro interessi di classe e per la lotta contro il fascismo.
Essi comprenderanno che questi sono gli strumenti necessari della lotta rivoluzionaria e della loro volontà di sostituire il governo degli assassini con un governo degli operai e dei contadini. Nel momento in cui si chiude il Congresso liberale che cerca ancora una volta d'ingannare il popolo lavoratore, da un capo all'altro dell'Italia, gli operai ed i contadini rispondano alle sue chiacchiere sonore e vuote: Né fascismo né liberalismo: soviettismo!

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