venerdì 25 aprile 2008

25 APRILE


25 APRILE

QUESTA NON E' L'ITALIA CHE VOLEVANO I PARTIGIANI

Oggi celebriamo la ricorrenza di una grande lotta di popolo, la lotta dei partigiani che non solo hanno combattuto l'oppressione fascista ma hanno anche voluto costruire un paese migliore e più giusto.

Il prossimo governo sarà composto da forze politiche che sono molto distanti dai valori partigiani.

Poco tempo fa Silvio Berlusconi, futuro presidente del Governo, ha invitato gli italiani ad andare al mare il 25 aprile. Il suo vice Gianfranco Fini deve la sua carriera politica ad un partito, il Movimento Sociale Italiano, che si definiva erede del fascismo. Alcuni esponenti della nuova maggioranza parlamentare, come Ciarrapico o Alessandra Mussolini, ancora oggi si richiamano apertamente al fascismo.

Il Popolo della libertà è alleato della Lega che, incapace di proporre una soluzione ai problemi reali delle persone, istiga al razzismo, all'intolleranza e all'odio per il diverso cercando di provocare una penosa guerra tra poveri.

Dall'altra parte il Partito Democratico non si richiama più ai valori dell'antifascismo, tanto che omette di contemplare la Resistenza tra i propri principi fondativi e, anzi, propone proprio alla destra di cambiare la Costituzione e di contrattare le libertà democratiche.

I dirigenti della Sinistra arcobaleno, oggi esclusi dal parlamento, non sono stati capaci di rappresentare quei valori per cui i partigiani hanno lottato. Hanno sostenuto il governo Prodi che ha tradito le speranze di milioni di elettori di sinistra, hanno avallato misure antipopolari che hanno duramente colpito i lavoratori, i giovani e le donne.

Oggi, usciti sconfitti dalle urne, danno un brutto spettacolo accusandosi reciprocamente del loro crollo elettorale, senza essere capaci di chiamare alla riscossa il popolo della sinistra.

Non è l'Italia che volevano i partigiani.

Questo paese, dove i lavoratori si stanno impoverendo e non hanno diritto ad un salario dignitoso, dove i giovani precari non hanno futuro, dove serpeggia il razzismo e le donne sono colpite nella loro libertà, non è il paese per cui hanno combattuto quelle donne e quegli uomini di cui oggi celebriamo la memoria.

Oggi non basta ricordare la Resistenza, bisogna renderla attuale.

Per questo è indispensabile ricostruire la sinistra nel nostro paese, una sinistra coerente che non tradisce il proprio popolo. Una sinistra di classe, un partito comunista, lo si costruisce a partire dalla definizione programmatica e non dalla rivendicazione identitaria del partito.

Una sinistra che non tradisce riparte da un progetto comunista e rivoluzionario, dal Partito Comunista di Lavoratori.

mercoledì 23 aprile 2008

Documento della Direzione Nazionale del Pcl sul voto del 13/14 aprile.

Il voto del 13/14 aprile: la vittoria del centrodestra,
la sconfitta strategica del PD, il disastro dell’Arcobaleno.

(23 aprile 2008)

I risultati elettorali delle elezioni politiche 2008 hanno ristrutturato profondamente il quadro politico italiano. I tre dati più evidenti sono il successo dell’alleanza Berlusconiana, la sconfitta strategica del Partito Democratico e il drammatico tracollo della “sinistra arcobaleno”.

1) Il successo del centrodestra è evidente, come è chiaro il trionfo personale di Berlusconi. Qualche mese fa era esploso il fragile equilibro della Casa delle Libertà: “siamo alle comiche finali”, la battuta di Fini sembrava un epitaffio su ogni suo possibile sviluppo politico.
Ma proprio quando Veltroni con la nascita del PD imponeva un cambio di strategia alle “spallate” parlamentari, il governo Prodi è caduto per una “buccia di banana”, in una situazione di logoramento strutturale. Non è caduto per l’azione delle forze sociali (siano esse del capitale o del lavoro), ma per varie e convergenti operazioni di ricollocazione politica (Mastella, Bordon e Manzione, Dini, ecc), che porta proprio questi soggetti alla scomparsa o alla marginalità politica.
Il dato fondamentale, dialettico e non matematico, è che vince Berlusconi. Torna al governo in un quadro di forte consolidamento del centrodestra. Risultato non matematico perché effettivamente il PDL perde più di centomila voti in dati assoluti, esito di un piccolo tracollo al Nord (soprattutto in direzione della Lega) e di una significativa avanzata nel meridione.
Le ragioni del trionfo del centrodestra sono chiare: la disaffezione della grande maggioranza del popolo italiano (si potrebbe dire di tutte le classi sociali ad eccezione della grande borghesia) per il governo Prodi e la sua politica.

In questo risultato è evidente la forte avanzata della Lega Nord. Un successo che ha riempito in questi giorni commenti e analisi del voto. Ma un successo che è caratterizzabile soprattutto dal recupero del consenso che la Lega otteneva a metà degli anni ’90. Un risultato cioè simile al voto del 1996 per percentuali complessive e pervasività territoriale (anzi, a rigor del vero, inferiore a quello).
Non si intende con questa considerazione minimizzare questo risultato. Nel 2001 al Lega conosceva un tracollo per molti versi simile (nei numeri) a quello di oggi della “sinistra alternativa” (3,9% alla Camera, mancando il quorum); ma nel quadro della vittoria della Casa della Libertà e dei collegi uninominali, i suoi effetti politici furono ridotti. Oggi recupera quella sconfitta non dall’opposizione, ma in un’alleanza che conquista il governo. Certamente prende anche un voto operaio e popolare, ma questo dato deve essere letto con cautela e senza l’enfasi che leggiamo in questi giorni. Nel 1996 (e nelle amministrative anche in anni precedenti) la Lega era risultata anche più pervasiva di oggi in questi settori sociali, conquistando il voto degli operai cattolici (bergamasca) e dal bacino elettorale in dissoluzione del PCI (periferie milanesi nel 1993 con Formentini). Il dato più significativo di questo recupero non è la sua profondità nei territori “pedemontani” di classico radicamento della Lega (come già detto, anche inferiori ad allora) ma la sua estensione in aree nuove (Sesto San Giovanni, l’Emilia ed anche, seppur in minor misura, la Toscana). Un risultato frutto di un’egemonia politica e culturale più che di una struttura organizzata e radicata nel territorio. Per capirci, non riteniamo di trovarci di fronte ad una versione italiana del “peronismo”: non c’è nel Nord Italia un’egemonia organizzata di massa tra i lavoratori da parte della Lega, nei numeri (non hanno il consenso della maggioranza assoluta della classe operaia “centrale”) e nella capacità di controllo sociale nei quartieri o nelle fabbriche (simile, ad esempio, a quella sviluppata dal PCI nel dopoguerra con il suo radicamento capillare).

2) Il risultato elettorale ha evidenziato un calo di voti per le forze che componevano la vecchia Unione di circa 2milioni e mezzo di voti, pari a circa il 7-8% dei voti totali. Tale percentuale corrisponde quasi esattamente a quanto perso dalla forze della Sinistra Arcobaleno nel loro disastro, anche se il problema dei flussi è più contraddittorio di come appare ad una prima lettura.
Il “recupero” veltroniano (“siamo ad una incollatura”) si è rivelato una bufala. Il Partito Democratico centra due importanti risultati strategici: conquista una semplificazione e bipartizione del sistema politico, elimina dal quadro istituzionale la sinistra (vecchia strategia perseguita dal PdS nei primi anni ’90). Ma subisce una pesante sconfitta politica sul terreno principale della sua nascita, lo “sfondamento” al centro con la conquista di voti moderati dal bacino elettorale del centrodestra.
Il risultato del PD, con un’avanzata di circa 180mila voti, è la sintesi matematica della conquista di un voto “utile” di un milione o forse più di elettori alla sua sinistra e la perdita di un numero quasi identico di elettori, verso l’UDC, la Lega al nord e, al sud, il centrodestra. E si ritrova oggi con un distacco del 9% nei confronti dell’alleanza berlusconiana. Un dato apparentemente incolmabile, che rischia di consolidare una collocazione all’opposizione non soltanto per i prossimi 5 anni, ma per un intera fase storica-politica. E da cui, ad oggi, è difficile vedere l’uscita nel quadro dell’asse della proposta veltroniana: o si prosegue e approfondisce una strategia di alleanza verso il centro politico (UdC), che ribalta l’enfasi sul partito unico dei progressisti; o si riavvia un percorso “ulivista” di ricostruzione di un’alleanza a sinistra. In questo quadro c’è inoltre da segnalare il successo dell’Italia dei valori, che conquista probabilmente consensi sia nell’area moderata (professionisti ed ex “girotondini”), sia nell’elettorato popolare (probabilmente anche una certa quota di voto di “sinistra”).

3) La “sinistra arcobaleno” termina il suo breve percorso politico perdendo oltre 2/3 del suo elettorato consolidato (PRC, PdCI e Verdi) e ¾, se non molto di più, di quello “potenziale” (Sd e attrattività del nuovo soggetto). Le basi di questo tracollo stanno, al di là di ogni dotta disquisizione sui processi storici in corso e sull’incapacità “antropologica” della sinistra a comprendere i nuovi assetti sociali, nella vergognosa politica di tradimento degli interessi della classe operaia, degli altri settori di massa e delle istanze dei movimenti (a partire da quello contro la guerra). La ragione fondante della perdita di consensi, cioè, sta nei fischi di Mirafiori e nell’accordo dello scorso autunno su welfare e pensioni. Le ragioni del tracollo stanno nella delusione rispetto a quella aspettativa, creata ed incentivata da Bertinotti e soci, di poter “contaminare” l’azione del governo con le istanze sociali della passata stagione dei movimenti (2001/2003), di veder aumentati salari e pensioni, di veder rafforzati i servizi pubblici. E’ il risultato diretto di un “cuneo fiscale” finito interamente al padronato, dei tagli di docenti e classi nelle scuole, della ripresa delle privatizzazioni, delle finanziarie da 35 miliardi.

E’ nostra impressione che in generale non ci sia solo un travaso diretto tra le forze della “sinistra arcobaleno” ed il PDL o la Lega, ma (e forse soprattutto, ma su questo è necessaria un’analisi più approfondita dei flussi elettorali) una dinamica più articolata e complessa del voto: elettori DS e Margherita che si sono spostati sia sull’UDC sia su Lega e PDL, a loro volta compensati da “elettori” della Sinistra Arcobaleno che, nell’urna, hanno scelto questa volta il PD (con uno stesso risultato apparentemente “statico” del UDC che vede un voto in “entrata” dalla Margherita ed uno in “uscita” verso il centrodestra).
E lo stesso “voto utile” al Pd (prima ricordato) è stato per una parte rilevante non uno spostamento di consenso, ma la soluzione a negativo della disaffezione verso il tradimento del PRC ( “se tanto Bertinotti e soci non valgano niente come comunisti e difensori dei lavoratori, tanto vale turarsi il naso e votare per chi potrebbe battere Berlusconi”).
Il terzo grande terreno di perdita per le forze della SA è rappresentato dall’astensione, aumentata di un milione di persone, schifati della sua politica e non sufficientemente coscienti o incentivati per spostare a sinistra il proprio voto (PCL o Sinistra Critica).
Infine il quarto terreno di perdita dell’arcobaleno, ed in specifico del PRC e del PdCI, è quello che riguarda il voto per l’estrema sinistra. Non a caso ignorato da tutti i commentatori borghesi e giornalisti vari, riguarda quasi 400.000 voti.
Come visto, dunque, il tracollo miserevole dell’arcobaleno è andato in tre direzioni: in primo luogo il “voto utile” (35-40% del voto del 2006) poi verso l’astensionismo (circa il 25% per cento probabilmente) e infine verso noi e SC (circa il 10-12%).
Il tracollo è stato tanto più repentino e drammatico in quanto più falsa a positiva era l’immagine precedente.
L’”onesto, coerente e intransigente Bertinotti” è apparso alla maggioranza del suo elettorato per quello che è: “coerente e intransigente” solo nel cercare, a qualsiasi prezzo, ruoli istituzionali e inviti nei salotti mondani e aristocratici. Il “re è apparso nudo” e con lui tutto la schiera dei principi e nobili. Per questa la caduta è stata così drammatica.


Possibili prospettive del governo Berlusconi: una stabilità segnata da diverse contraddizioni

I blocchi elettorali che emergono del voto del 13/14 aprile, come d’altra parte quelli sociali che sottostanno a questi risultati, appaiono meno sconvolti del quadro politico sopra indicato. I risultati elettorali degli ultimi quindici anni sembrano cioè essere più l’effetto delle scomposizione e ricomposizione dell’offerta politica e delle alleanze che uno spostamento dei consensi reali nel paese. Nel 1994 Berlusconi vince grazie ad un alleanza variabile con Lega e An e la divisione tra PPI e Progressisti (anche lì, con pochissimo scarto al Senato, sotto i 160 all’inizio della legislatura); Prodi vince nel 1996 grazie all’Ulivo e la divisione della Lega nel centrodestra; Berlusconi vince nel 2001 ricomponendo la Casa della libertà e con il Prc fuori dall’Ulivo; Prodi rivince nel 2006 di un soffio alla Camera (25.000 voti), ed avrebbe perso al Senato, dove ha alcune centinaia di voti meno del centro destra, se il premio di maggioranza fosse stato su base nazionale o se nei collegi esteri il centrodestra non fosse andato diviso su più liste .
In questo quadro la fedeltà di voto in alcuni settori sociali è estremamente alta (professionisti e piccoli imprenditori al centrodestra; pubblico impiego e grandi imprenditori al centrosinistra). Il voto più mobile, meno fedele e strutturato, appare essere quello dei ceti operai, dei lavoratori dipendenti privati e dei settori popolari (precari, disoccupati, semiproletariato).
Nonostante questa stabilità sostanziale del blocco sociale di riferimento del PDL e della Lega (liberi professionisti, capitale “nazionale”, piccola impresa, ceti popolari ed operai; con una guida personalistica di Berlusconi e l’attenzione territoriale della Lega), con le differenze e le contraddizioni già emerse nel passato, questo governo non si presente come debole o posticcio.
Da una parte il quadro istituzionale è dato, senza ambiguità o instabilità latenti (maggioranza solida alla Camera ed al Senato). Non si profila alcuna alternativa possibile in parlamento. An e Forza Italia sono concentrate nella costruzione del PDL. La Lega è interessata a consolidare il rapporto con la borghesia del Nord Italia, mostrandosi responsabile. Ed il PD è per ora “imballato”, come notato prima, da una crisi di strategia: il voto di “sinistra” è probabilmente in prestito e comunque non consolidato, la distanza dal PDL evidente. Saltata la separazione consensuale tra Veltroni e Bertinotti, il PD si carica oggi di un rapporto con la Cgil e con un pezzo di elettorato che per loro è difficile mediare con le esigenze di recupero del voto moderato. Quindi allo stato attuale delle cose, tendenzialmente, è un governo che ha un alta probabilità di durare l’intera legislatura.

Rimangono, evidenti, alcune contraddizioni del blocco sociale di riferimento che possono tendersi ed anche precipitare in un conflitto aperto, particolarmente sulla politica economica del governo.
Berlusconi ha interesse, viste anche le precedenti esperienze (autunno 1994, art 18 nel 2002/2003), a non aprire nei prossimi mesi un stagione di aperto conflitto di classe nel paese. Ma le pressioni dei Confindustria e del padronato sono già esplicite in questo senso, enfatizzando la scomparsa della sinistra dal parlamento e puntando ad una sua marginalizzazione sociale (Cgil), come la richiesta di avanzare rapidamente sullo straordinario (flessibilità orari e turni) e sulla controriforma del contratto nazionale di categoria. E nel sindacato confederale inizia ad emergere un certo scompaginamento, che potrebbe alludere ad un ritorno alla stagione dei contratti e dei patti separati.
Ed esiste, evidente, un problema di merito nell’applicazione del programma berlusconiano. In campagna elettorale sono state elargite impegnative promesse ai diversi soggetti del suo blocco sociale: interventi infrastrutturali, detassazione (Ires, ICI, straordinari), interventi diretti di sostegno al reddito (aumento salari e pensioni), federalismo fiscale. Ha la necessità di recuperare rapidamente risorse. Non a caso Tremonti inizia il suo mandato di ministro dell’economia “in pectore” attaccando il neoliberismo di Draghi, richiedendo politiche neokeynesiane (!!!!) e proponendo l’apertura di un debito pubblico europeo (cioè, il campione dell’antieuropeismo che propone di aprire un vero e proprio bilancio pubblico dell’UE per attivare politiche anticicliche). Ma il margine più concreto e veloce è quello della tosatura dei servizi pubblici (scuola, sanità) e soprattutto del pubblico impiego. Cioè quello di avviare un offensiva contro il lavoro sia sul versante dei contratti e dell’organizzazione del lavoro, sia sul versante della riduzione dei servizi pubblici.

Ma quale rapporto avranno i settori più significativi della classe con questo governo? Ad oggi il morale appare depresso. L’effetto immediato è di una scoramento e di uno sbandamento che si innesta sul logoramento e la sfiducia che hanno attraversato gli ultimi due anni. Ma se la stato è questo, quale dinamica si può sviluppare nei prossimi mesi?
Se una reazione di massa, o dei settori di classe più centrali e organizzati, non è scontata né preventivabile, le contraddizioni e le occasioni di conflitto non mancheranno. Anche l’operaio che ha votato Lega e che crede nel federalismo fiscale, se questo non darà risultati o se ci sarà un attacco pesante sul contratto, non è detto che non sciopererà contro questo governo, come già fece nel ‘94 sulle pensioni o nel 2002 su articolo 18. E le dinamiche di conflitto possono trovare inaspettate occasioni di radicalizzazione, in un quadro in cui gli strumenti e le strutture di moderazione delle lotte sono oggi molto più deboli che nel passato: nel 2001/03, ad esempio, la Cgil di Cofferati ed il PRC di Bertinotti hanno limitato le asprezze dello scontro (lo sciopero degli autoferrotranvieri, ecc) e ricondotto nell’Unione quella stagione. La pace sociale, quindi, non è garantita dalla scomparsa della rappresentanza parlamentare della sinistra (come non è automatica e garantita una reazione significativa nelle fabbriche e nei posti di lavoro alle prossime controriforme di Berlusconi).

Su questa situazione inoltre si innesta l’andamento ed il ritmo della crisi economica e dei disequilibri che si propagano dalla recessione Usa, dalla crisi dei mercati finanziari, dalla tensione tra le aree valutarie, dall’aumento dei prezzi delle materie prime. Andamento e ritmi che potranno tendere, distendere o rompere le linee di frattura nel blocco sociale del centrodestra.
Una possibile, se non probabile, strategia di uscita da questa contraddizione potrebbe essere quella di uno “zapaterismo di destra”. Non riuscendo cioè a costruire consenso sul terreno dei provvedimenti economici, potrebbe enfatizzare e radicalizzare provvedimenti su altri terreni “identitari” e simbolici: per Zapatero, a sinistra, i diritti civili, la legittimità della militanza repubblicana nella guerra spagnola e la battaglia contro la chiesa cattolica; per Berlusconi, a destra, questa strategia potrebbe portare ad un iniziativa pressante sul terreno della sicurezza, della repressione, dei migranti.


L’estrema sinistra: il modesto, ma non negativo risultato del PCL e quello, minore, di Sinistra Critica

In questo quadro va analizzato il voto per il nostro partito e in rapporto ad esso, per evidenti ragioni, quello per Sinistra Critica. La contrapposizione nell’estrema sinistra tra un progetto comunista rivoluzionario e quello, oscillante, di un soggetto politico “movimentista” che si proponeva di ricostruire un soggetto unitario delle lotte sociali e dei movimenti del nostro paese.

In un contesto di implosione e tracollo dei punti di riferimento della sinistra e del movimento operaio del nostro paese, noi e SC intercettiamo soltanto una quota limitata dei consensi popolari e dei lavoratori italiani.
I processi di disaffezione, rifiuto e passivizzazione (astensionismo), il ripiegamento comunitario verso conflitti “orizzontali” con migranti od altri settori di classe (voto a Lega o PDL), il richiamo del tentativo di impedire a Berlusconi di governare (voto al PD o all’IDV) hanno sicuramente inciso più profondamente nelle scelte e nelle appartenenze, scavando nelle coscienze di larghi settori di classe nei lunghi mesi del governo Prodi o potendo contare su un sostegno mediatico ed una forza politica del PD molto maggiore della nostra.

Ma una sinistra di classe è risultata comunque presente. Non era un dato scontato, considerando che in altri stagioni di lotte e movimento le organizzazioni dell’estrema sinistra avevano ottenuto risultati simili a quelli di oggi (il manifesto nel 1972, Dp nel 1979). Un risultato quindi modesto, perché incapace di incidere in maniera consistente nella classe, ma non negativo, in quanto segnala una possibilità politica e l’inizio di un percorso di costruzione di una sinistra di classe nel nostro paese. Il punto è quale percorso e quale sinistra di classe. Il PCL conquista circa 208.000 voti (pari allo 0.57%), Sinistra Critica circa 167.000 (0.46%).
Un voto che per il PCL è particolarmente concentrato in realtà operaie, con un insediamento storico del movimento operaio e in particolare comunista. L’ 1% a Livorno, Mantova, Pavia, Lodi, Vibo Valentia e percentuali comparabili, anche se leggermente inferiori (0.8/0.9%) a Genova, in Emilia, Marche, Toscana, Umbria, come il voto nella cintura di Milano, Torino, Brescia e Roma (Aprilia e Pomezia), evidenziano particolarmente questo dato. In questo naturalmente ha un ruolo la nostra presenza e il nostro intervento, ma ciò non è né l’unico, e neanche il principale fattore di consenso, che ricade sulla proposta di un “partito” “comunista” e “dei lavoratori”.
Differentemente il voto di SC appare più concentrato nelle grandi città (Milano e Roma), si affianca o supera le nostra percentuali in realtà come Bari, Palermo, Brescia, Trieste, Vicenza, Verona e Padova. Un voto che appare consolidarsi in particolare nei settori giovanili e nel precariato. Ovviamente non sempre sono così lineari i risultati e le tendenze che emergono: Sc ha percentuali superiori alla sua media nazionale anche in Toscana (0.6), in Umbria (0.6), in Liguria (0.6) o a Torino (0.65). Ma in quei territori più netta è anche la differenza con il risultato del PCL, che raggiunge o sfiora l’un per cento.
Un voto ottenuto con un ostracismo ed una censura attiva delle nostre posizioni da parte dell’ “intellighenzia”, degli intellettuali e dei media di “sinistra”, dal manifesto a radiopopolare. Ed una presenza significativamente minore di Sinistra critica in televisione: nelle prime settimane questa ha avuto uno spazio 7 volte il nostro sui Tg, oltre che la presenza in trasmissioni di approfondimento come Annozero, Ottoemezzo, ecc.
Altro dato significativo che sembra emergere è la non sommabilità diretta dei due elettorati: nelle elezioni amministrative in cui erano presenti solo le nostre liste, o altre liste comuniste (Sinistra critica si è presentata solo alle Comunali di Roma), i risultati hanno evidenziato solo una convergenza parziale e limitata dei voti all’estrema sinistra.
Questa breve analisi rimanda al carattere della proposta politica del PCL e alle differenze con quello di Sinistra Critica. Il PCL, un percorso di ricostruzione di un progetto comunista e rivoluzionario, riesce ad incidere più significativamente nei territori con un insediamento “operaio e comunista” storico, con una coscienza di classe ed un identità politica più netta. Sinistra critica, con una presenza mediatica molto maggiore della nostra e con una candidatura simbolica di una “giovane”, donna e precaria riesce ad incidere maggiormente su settori di “movimento” giovanile, antagonista e di precariato sociale.


La “ricomposizione” della sinistra

La Sinistra Arcobaleno non c’è più. E più in generale, tutta la sinistra “governativa” entra in una profonda e strutturale fase di crisi, avviando ampi processi di scomposizione e ricomposizione delle diverse organizzazioni e, più significativamente, di migliaia e migliaia di iscritti, militanti ed attivisti in tutto il paese.
E’ possibile avanzare alcune prime osservazioni sullo sfondo delle prime valutazioni elettorali, dell’apertura della discussione negli organismi dirigenti dei diversi soggetti dell’ex-arcobaleno, delle prime reazioni nel vasto arcipelago di associazioni e circoli locali.

Le dimensioni e la profondità di una sconfitta inattesa nella sua estensione e nelle sue conseguenze (perdita della rappresentanza parlamentare), stanno sollevando un velo sulle rivalità dei suoi gruppi dirigenti. Alle spalle della “maggioranza bertinottiana” del PRC, come dietro a quella di Diliberto nel PdCI, da tempo erano evidenti linee di frattura personali e generazionali, lo scontro di “cordate” e di gruppi in cui spesso le associazioni e le dissociazioni erano lontane da ogni e qualsiasi ragione politica, ma motivate solo o principalmente dal miglior posizionamento nel proprio partito. Lungi dal nascere solo nell’esperienza di questi due anni di governo, la degenerazione della “piccola burocrazia” delle auto blu, dei posti in segreteria od in parlamento (e le relative conflittualità e miserie) ha segnato un lungo percorso nei partiti della sinistra governativa, dai Verdi al PdCI a Rifondazione, a partire dalla corsa ai posti di governo e sottogoverno nelle amministrazioni locali. La sconfitta leva un velo anche su questi aspetti, ed ancor più quello che appare sembrano solo macerie e rovine.

Ma non crediamo per questo che la sinistra sociale e politica sia semplicemente scomparsa. Neanche quella “governativa”. Dal voto delle amministrative alla permanenza di organizzazioni con migliaia di iscritti, dalla vitalità di una rete di circoli e comitati locali, la sinistra politica esiste e non scompare di un colpo dal paese. Non siamo di fronte ad un “americanizzazione” del quadro politico, cioè ad una totale emarginazione di una rappresentanza politica che, in un modo o nell’altro, fa riferimento ai lavoratori ed alle classi sfruttate della nostra società. Come non siamo di fronte ad una limitazione della rappresentanza politica ad un nucleo ristretto della società (50% di votanti), che lascia nel quadro statunitense ampie fasce sociali senza voce e difesa (40 milioni di persone senza copertura sanitaria, i “ghetti” neri, ecc). Che questo possa essere uno sbocco dell’attuale situazione è possibile, ma in ogni modo non è questa la situazione attuale.

In questo quadro, la discussione nella sinistra politica non è dominata unicamente dalla rivalità nei suoi gruppi dirigenti. Nell’area della SA sembrano emergere su questo sfondo tre diverse ipotesi politiche, in cui già dal prossimo autunno è possibile che emerga una nuova articolazione della sinistra italiana. Il dibattito in corso si sta cioè concentrando su tre diversi assi, che potranno trovare nei prossimi mesi diversi equilibri e diverse composizioni.
a) Il primo asse è quello del progetto “bertinottiano”, che vede nel risultato elettorale un elemento di radicalizzazione e approfondimento, anche se le torsioni del dibattito in Rifondazione possono far emergere un passo indietro tattico e/o retorico . Da una parte viene avanzata un’analisi che vede al centro della sconfitta la reticenza nella costruzione di una “nuova sinistra”, l’incapacità di entrare in sintonia e radicarsi nella società contemporanea, la necessità di riuscire ad articolare con più efficacia il tema della governabilità e della gestione del potere. E’ un asse che ricostruisce la sinistra intorno ad un nucleo socialista “di sinistra”, anche movimentista e radicale su singole vertenze, ma proiettato a ricostruire un’alleanza di governo con forze progressiste e liberali. Non a caso, crediamo, sono emerse in questi giorni sondaggi e disponibilità ad una convergenza con parte della galassia socialista, travolta a sua volta dal risultato del PS. Il “bertinottismo”, come la nottola di Minerva, rivela pienamente nel tramonto del PRC il suo nocciolo politico riformista, tesa a ricollocare definitivamente Rifondazione nel panorama socialista.
b) Il secondo asse è quello del gruppo dirigente “demoproletario” del PRC, che trova anch’esso dopo il voto una radicalizzazione dei dubbi e delle critiche avanzate nel corso della costituzione della Sinistra Arcobaleno. La proposta che avanzano parte dalla necessità di mantenere il quadro politico ed organizzativo del PRC, ma di articolare la politica di opposizione ed un radicamento sociale della sinistra in una Confederazione di partiti, circoli e associazioni della sinistra. Se analizziamo questa proposta, vediamo attualizzare analisi e riflessioni alla base della linea del “Movimento Politico per l’Alternativa su un asse comunista”, che rappresentarono la disastrosa sintesi teorica e politica su cui tramontò DP nel 1991 (già allora divisa tra coloro che puntavano più sui movimenti e coloro che erano più attenti ad un percorso “costituente” comunista). Non solo, quindi, a proporre questa prospettiva c’è un gruppo dirigente (i Ferrero, i Mantovani, i Russo Spena) pienamente coinvolto nella gestione del Prc e nel governo. Non solo sono stati organicamente con Bertinotti dal 1995 in poi, condividendone oggi passaggio politico e la scelta del governo. Non solo ne sono stati spesso i principali protagonisti, nelle segreterie nazionali e locali come nel governo, nel controllo del partito come nell’elaborazione di un’iniziativa tesa a superare Rifondazione comunista (dalla nonviolenza sul piano teorico alle tute bianche su quello organizzativo). Ma nel merito la stessa linea che propongono oggi sembra ripercorrere, senza alcuna riflessione critica, quella parabola contraddittoria che ha comportato in un altro periodo di crollo e rinascita della sinistra del nostro paese (1989/1992), il sostanziale “stallo” della propria azione politica, chiusa tra un’ottica movimentista ed una identitaria. D’altronde, la stessa composizione della neo-maggioranza del PRC, da Ferrero a Grassi, rende evidente il carattere e le contraddizioni di questa proposta.
c) Il terzo asse è quello della costituente dei comunisti, lanciato da un appello firmato da delegati di fabbrica e docenti universitari circolato nei giorni immediatamente successivi al voto (comunistiuniti), condiviso dal Pdci e guardato con attenzione da diverse sensibilità del Prc (Ernesto). E’ avanzata esplicitamente l’ipotesi di avviare un percorso di convergenza intorno al simbolo della falcemartello ed ad un identità “comunista” (in realtà neotogliattiana). Ma al di là delle scelte e delle responsabilità passate dei protagonisti di questa proposta (dal governo Prodi di questi due anni a quello D’Alema con i bombardamenti su Belgrado), il punto è un unità per fare cosa qui e ora. Una volta uniti, ed uniti su un terreno di opposizione, si intende stare nelle giunte comunali, provinciali e regionali con il PD? Si intende continuare a gestire le privatizzazioni delle municipalizzate ed il taglio dei servizi pubblici?
Un’unità a partire da un simbolo e da un’identità indistinta, senza basi programmatiche e senza una chiara collocazione politica, rischia di riprodurre il percorso della prima Rifondazione, comprensivo dei suoi esiti disastrosi: unirsi oggi per dividersi domani, sul rapporto con il PD, sulle alleanze contro la destra, sulla compatibilità con le politiche imperialiste italiane.

Questi tre progetti, qui sommariamente esposti, non sembrano riuscire a “tenersi” in un unico percorso politico, senza il collante della rappresentanza parlamentare ed uno sbocco condiviso. Il destino sembrerebbe inevitabilmente quello della separazione, almeno sino alle prossime elezioni europee in cui contarsi e verificare la percorribilità dei diversi percorsi. Ma è difficile prevedere con che modalità e dinamiche avverrà il confronto e lo scontro dentro PRC e PdCI, nel variegato circuito di associazioni,collettivi e centri sociali. Diverse potranno essere gli specifici bilanciamenti e accordi interni, con scomposizioni tra gruppi e correnti anche in soli due soggetti, od in molti di più.
In questo quadro è anche indeterminato il destino di Sinistra critica. Il progetto di costruire un soggetto politico dei movimenti ha trovato una battuta d’arresto sia nella composizione delle liste (escludendo singoli casi, di rilevanza locale o territoriale, il corpo dei candidati era tutto riferibile all’area di Sc in Rifondazione), sia nello stesso risultato elettorale. Anche in realtà di storico radicamento dell’area (Roma e Torino) il voto appare modesto, inferiore o di poco superiore a quello del PCL. E oggi appare più complicato di ieri rilanciare l’ipotesi della costituente anticapitalista, di fronte alla possibile esplosione di Rifondazione e alla strutturazione di molteplici percorsi politici. Possibile, in questo quadro, potrebbe essere un loro tentativo di raccordarsi ad un soggetto “piccola Rifondazione/DP”, se questa si concretizzasse dentro Rifondazione (congresso con maggioranza Ferrero) o tanto più fuori di essa (spaccatura del PRC).


Per una sinistra che non tradisce: una nuova fase di raggruppamento nel PCL

La risposta del PCL ai tre assi di polarizzazione della sinistra non può essere quella di concorrere al consolidamento di uno o l’altro di essi. Non solo perché squalificati sono i gruppi dirigenti che le propongono. Ma proprio perché il progetto che pongono in campo, a partire da quello della costituente dei comunisti, oscurano gli elementi programmatici per noi necessari alla ricostruire una sinistra di classe marxista rivoluzionaria nel nostro paese, le ragioni fondanti sulle quali siamo nati.
La ricostruzione di un partito comunista, in una fase di raggruppamento delle forze al di là dei percorsi politici e teorici passati, non può avvenire che sul terreno della prospettiva futura, dell’indicazione di un progetto e degli elementi fondanti la propria azione politica: la collocazione rispetto al centrosinistra, gli obbiettivi progettuali costituenti. Un partito comunista, cioè, lo si costruisce a partire dalla definizione programmatica e non dalla rivendicazione identitaria del partito. La “falcemartello” non è un simbolo astratto od un’appartenenza storica. E’ la rappresentazione di un programma che si propone la costruzione di un modo di produzione socialista. attraverso una rivoluzione consiliare, con un partito comunista rappresentante dell’indipendenza della classe operaia (che non costruisce quindi, oggi e domani, sul piano nazionale o locale, alleanze di governo con forze liberali o borghesi per quanto progressiste queste siano).
Come non è credibile ipotizzare confluenze tra noi e Sinistra critica, in un unificazione della estrema sinistra che sarebbe caratterizzata dalla confusione dei progetti e dei percorsi politici.

Nel contempo, davanti a questo situazione, è necessario intervenire attivamente nella fase di scomposizione in corso, avanzare cioè una proposta di ricostruzione di un soggetto comunista e di ricomposizione di una sinistra di classe nel nostro paese.
E’ necessario cioè ripresentare il progetto politico su cui ci siamo costituiti, come risposta attuale allo sbandamento ed alla rassegnazione. Ripresentare quindi il raggruppamento nel PCL dei comunisti che vogliono ricostruire un partito dei lavoratori, antistalinista e rivoluzionario. Una fase di raggruppamento caratterizzata dalla stessa apertura e confronto dialettico, a partire dai quattro punti, che hanno caratterizzato la fase costitutiva del Movimento per il PCL. Riaprire cioè una fase di adesione e costruzione del PCL, sulla base degli elementi essenziali del nostro progetto politico.

Una fase che parte dai risultati ottenuti nelle scorse settimane. Se infatti il risultato elettorale del PCL è stato modesto, ma non negativo, la campagna di raccolta firme e quella elettorale sono state estremamente positive per il Partito Comunista dei Lavoratori.
Dato assolutamente non scontato, ed anzi rilevante considerando le forze del PCL e le poche settimane a disposizione, sono state raccolte le firme necessarie (circa 2.000 per il Senato e circa 2200 per la Camera) in molte circoscrizioni: Piemonte Senato, Piemonte 1 Camera, Lombardia Senato, Lombardia 1 Camera, Liguria Senato e Camera, Emilia Senato e Camera, Marche Senato e Camera, Toscana Senato e Camera, Abruzzo Senato e Camera, Lazio Senato, Campania Senato, Basilicata Senato e Camera, Sicilia Senato, Sicilia 2 Camera.
E soprattutto l’intera organizzazione, per la prima volta, si è proiettata in una campagna “di massa”, superando le timidezze e le difficoltà generate da un lungo percorso, per molti compagni e compagne, di “opposizione” interna in Rifondazione e nei suoi gruppi dirigenti. Una campagna costruita davanti le fabbriche, nei mercati, nelle strade e nelle piazze a contattare sostenitori, a presentare il nostro programma e la nostra proposta politica.
Una campagna intensa e concentrata in poche settimane che, oltre il dato positivo della presentazione delle liste, ha permesso di costruire una vasta area di sostenitori attivi e di militanza intorno al partito (compagni e compagne che non solo hanno dichiarato di votare per noi, ma hanno distribuito il nostro materiale elettorale, hanno partecipato e spesso costruito con noi volantinaggi ed iniziative pubbliche).
Una compagna che già ad oggi ha rafforzato l’organizzazione ed aumentato significativamente le adesioni al partito. Una crescita ed un consolidamento dell’organizzazione che è ancora in corso in questi giorni e che non si è arrestata con il 13 e 14 aprile ed il nostro risultato elettorale. Anzi, la stessa fase di scomposizione ed implosione della “sinistra governativa” sta portando molti compagne e compagni a guardare con interesse al nostro progetto politico.
Questi intensi mesi di iniziativa di massa, la nuova significativa fase di adesione al partito, la stessa scomposizione del quadro politico della sinistra ci impongono di riaprire un periodo di costruzione del partito intorno alla nostra base programmatica. Se con il congresso di gennaio abbiamo chiuso la fase del Movimento costitutivo e fondato il partito, individuiamo oggi come elemento centrale dell’iniziativa del PCL la riapertura di una fase di raggruppamento.

Contro il governo berlusconi, per un opposizione di classe. Alcune linee di azione

Ma, come detto prima, è necessario anche avanzare un percorso ricompositivo della sinistra di classe nel nostro paese. Non sul terreno della costituzione di un unico soggetto politico (sia esso a base comunista identitaria o a base “movimentista”, di rappresentanza delle lotte sociali più significative). Ma sul terreno concreto delle lotte e dell’opposizione al governo Berlusconi.

Se è per noi importante intervenire nel dibattito politico della sinistra ripresentando il PCL e le sue ragioni fondanti reazione ed azione di classe non garantita, non possiamo nel contempo scordare che ai primi di maggio si costituirà il nuovo governo Berlusconi e, da subito, inizierà la sua attività controriformatrice e reazionaria.
Nel quadro del disastro della Sinistra Arcobaleno e dello scompagimento dei sindacati confederali, è probabile che nei prossimi mesi registreremo una latitanza dell’opposizione sociale e politica, in cui solo i Sindacati di base sembrano offrire un segnale di vita ed un indicazione di lotta (ipotesi di un’assemblea di metà maggio a Milano su una piattaforma unitaria).
E’ quindi necessario avviare una campagna politica di denuncia e contrapposizione a Berlusconi ed alla Lega, indicare sin dai primi tempi dopo la costituzione del governo una piattaforma e alcune parole d’ordine molto semplici con cui riavviare una mobilitazione di classe nel nostro paese. E’ necessario cioè articolare e modulare, sulla base dell’attuale fase sociale e politica, una vertenza generale di massa in grado di indicare una possibile strada di ricomposizione e di lotta comune ai diversi settori di classe, ora disorganizzati e fra loro scollegati (classe operaia centrale, dipendenti pubblici, precari, disoccupati, ecc).
In questo quadro si pone l’esigenza di proporre un’unità d’azione delle opposizioni e ed un’autorganizzazione della classe, tanto più a fronte dell’assenza dal parlamento di “esponenti” della sinistra sociale e politica.
E’ necessario cioè individuare una proposta ricompositiva e nel contempo in grado di riattivare un percorso di opposizione di classe nel nostro paese. Una proposta, ad esempio, di un “parlamento della sinistra”. Per capirci, che ricorda su altra base e con altro impianto sociale e politico, il “parlamento padano” con cui la Lega, dopo il disastro del 1996, ricostruì una propria identità organizzativa. La costruzione, a partire dalle lotte, di un parlamento delle sinistre, a base operaia e popolare, da contrapporre al governo Berlusconi e al “suo” parlamento addomesticato, che sia espressione unificante delle mobilitazioni, luogo pubblico di confronto tra posizioni e proposte diverse oggi presenti nel movimento operaio, e al tempo stesso, sede democratica di organizzazione e unificazione dell’iniziativa di massa.

Direzione Nazionale PCLavoratori , 20 aprile 2008

martedì 22 aprile 2008

Comunicato stampa di Marco Ferrando

Prc: Ferrando (Pcl), crisi drammatica quanto grottesca

FONTE: ANSA

(21 aprile 2008)

"Il Prc versa in una crisi tanto drammatica quanto grottesca. Gli stessi gruppi dirigenti (Bertinotti, Giordano, Ferrero, Grassi, Vendola) che hanno distrutto il partito votando per due anni le politiche di Prodi contro i lavoratori, si contendono all'arma bianca la leadership delle macerie prodotte. Senza che nessuno di loro metta in discussione il crimine politico insieme compiuto". Così Marco Ferrando, leader del Partito comunista dei lavoratori (Pcl).

"La statua di Bertinotti è caduta, con un fragore pari alla retorica dell'adulazione che l'aveva circondata per 15 anni. Ma é davvero incredibile - prosegue Ferrando - che Paolo Ferrero, ministro del governo Prodi, possa candidarsi a salvatore del Prc. Chi ha ricoperto il ruolo di primo corresponsabile delle politiche di Prodi, votando il regalo di decine di miliardi a imprese e banche, assieme alla continuità della legge 30 e delle missioni di guerra, non può certo tirarsi fuori dalla disfatta ed ergersi a giudice, se non rivelando una ipocrisia senza limiti. Un ministro di Prodi può fare il segretario del Prc, non certo il paladino dei lavoratori".

Comunicato dell'Esecutivo Nazionale del Pcl.

Costruiamo assieme il Partito Comunista dei Lavoratori, la Sinistra che non tradisce!


Bertinotti e Veltroni hanno riconsegnato l'Italia a Berlusconi.

(20 aprile 2008)

Il ritorno di Berlusconi suscita un' amarezza profonda nel popolo della sinistra e in vasti settori di lavoratori. Facciamo nostro questo sentimento.

Dopo aver riproposto per due anni le stesse politiche di Berlusconi( missioni militari, sacrifici sociali, precariato) il governo di Romano Prodi ha riconsegnato l'Italia al Cavaliere. Milioni di lavoratori sacrificati da Prodi per due anni sull'altare di Confindustria e banche, sono ora riconsegnati al reazionario Berlusconi. Di più: non pochi hanno reagito alla delusione per il centro sinistra e al tradimento subito finendo con l'astenersi dal voto o addirittura col votare la Lega e le destre contro i propri stessi interessi.
Da soli per anni avevamo previsto e denunciato che la subordinazione delle sinistre a Prodi avrebbe prodotto questo disastro. E' quanto è avvenuto.

Per questo, nel momento stesso in cui è necessario preparare un vasto fronte di opposizione di massa al terzo governo Berlusconi, è indispensabile prendere atto del fallimento storico, senza ritorno , degli stati maggiori della sinistra italiana.
IL gruppo dirigente che sciolse il PCI nell'89 è oggi approdato in un partito "democratico" confindustriale, sostenuto dalle banche, in compagnia di Calearo e Colaninno. Con un Veltroni che addirittura si "congratula" con Berlusconi( dopo avergli copiato larga parte del programma).
I gruppi dirigenti della Sinistra Arcobaleno che in cambio di poltrone hanno votato tutte le peggiori porcherie del governo Prodi, sono rimasti sepolti sotto le rovine della propria politica dopo aver dilapidato un patrimonio grande di energie e di attese.
Tutti hanno venduto i lavoratori ai loro avversari in cambio di onorificenze . Tutti hanno tradito.

Occorre allora prendere con coscienza atto della realtà: una sinistra è morta, occorre costruirne un'altra. E' questo lo scopo del Partito Comunista dei Lavoratori.
Siamo un piccolo e giovane partito. Ma con una carta d'identità inconfondibile: siamo l'unico partito a sinistra che non si è venduto.L'unico che non si è compromesso negli anni di Prodi. L 'unico che non ha mai votato missioni militari e sacrifici per gli operai( a differenza della stessa Sinistra Critica). L'unico che non ha contribuito a riportare in sella Berlusconi.
Questo è il patrimonio di coerenza che mettiamo a disposizione del futuro del mondo del lavoro e della ricostruzione della sinistra italiana. La stagione di lotta che si aprirà presto contro Berlusconi dovrà trovare sul campo una nuova direzione, una sinistra che non tradisca. E solo chi non ha tradito in passato è credibile quando dice che non tradirà nel futuro. Solo chi non ha tradito può oggi ricostruire dalle macerie una sinistra nuova.
IL voto al PCL e al suo candidato Marco Ferrando, alla prima prova elettorale, da parte di oltre 200.000 lavoratori- che ringraziamo- è un prezioso punto di partenza e un investimento di prospettiva. Per questo facciamo appello non solo ai nostri elettori, ma ai tanti lavoratori che si sono astenuti, a coloro che hanno votato sinistra" arcobaleno" o "critica", ai tanti che magari hanno votato PD in pura funzione antiberlusconi, per dire a tutti:uniamoci nelle lotte che verranno contro governo e padronato; costruiamo insieme il Partito Comunista dei Lavoratori, la sinistra della rivincita.

Esecutivo Nazionale PCL

info@pclavoratori.it

lunedì 21 aprile 2008

Onore all’insurrezione del proletariato sadrista

di Gian Franco Camboni (sez.Ozieri Pcl)

Nella notte fra il 19 e il 20 aprile, nel popolare quartiere di Hayaniya ( Sadr city), a Baghdad, è stata condotta una durissima battaglia fra truppe imperialiste ed i proletari dell’Esercito del Mahdi ( Mahdi: il ben guidato). La battaglia notturna fa parte di un contrattacco delle unità imperialiste e collaborazioniste per riprendere il controllo dopo che reparti collaborazionisti erano stati cacciati all’inizio della settimana. Il 19 aprile le truppe inglesi hanno espugnato un centro dell’Esercito del Mahdi, a Bassora, utilizzando l’artiglieria e l’aviazione. Ciò dimostra che senza l’aviazione le truppe imperialiste non sono in grado di reggere un combattimento prolungato. Al governo del collaborazionista al-Maliki e a Bush è andato male il regolamento di conti con l’Esercito del Mahdi che è iniziato il 25 marzo a Bassora con l’operazione chiamata “carica dei cavalieri”. Lo stesso al-Maliki, a Bassora, ha dato il via alle operazioni di repressione.

Nella provincia di Bassora si trova il 70% delle risorse petrolifere dell’Iraq, per cui la sconfitta integrale dell’Esercito del Mahdi è un imperativo sia per gli sciiti collaborazionisti (Consiglio supremo islamico dell’Iraq) che vorrebbero fare del sud dell’Iraq un’entità propria nel quadro della divisione federalista dell’Iraq, sia per gli Usa. Alcuni senatori repubblicani e democratici preparano un provvedimento da allegare alla prossima legge per il rifinanziamento della guerra, per scaricare sugli introiti petroliferi iracheni il costo dell’occupazione. Il senato degli Stati uniti, non vuole la fine della guerra, ma semplicemente addossarne il costo alla popolazione irachena sotto il tallone degli sgherri dell’imperialismo. Le armi con cui hanno fatto strage degli iracheni devono essere pagati dalle vittime.

La “carica dei cavalieri” ha perso lo slancio di fronte alla risposta insurrezionale del proletariato sadrista, estesasi ad altri centri del sud, a Najaf e all’immenso quartiere proletario di Baghdad, Sadr City. L’esercito del Madhi dall’insurrezione dell’agosto del 2004 a Najaf ha dato prova di aver saldi radici fra la classe operaia e il proletariato iracheno e di avere sperimentate capacità militari nelle battaglie di strada. Agli inizi della insurrezione a Bassora, alcuni parlamentari sadristi lanciarono un appello alle unità di polizia e dell’esercito iracheno “ a non essere strumenti di morte della dittatura”. Durante i combattimenti 1300 poliziotti e soldati iracheni ( tra cui un centinaio di ufficiali) hanno disertato e fraternizzato con i proletari sadristi. Gli ufficiali americani e inglesi si sono consolati dicendo che erano tutte reclute. Magra consolazione. Per gli imperialisti quest’insurrezione è uno smacco pesante perché dimostra che l’aumento di trentamila soldati non è servito a nulla e che la resistenza irachena seppur divisa politicamente e militarmente è in grado di agire e di dare risposte quando è necessario. Se sotto l’incalzare della crisi finanziaria ed economica in corso, Bush o chi gli succederà faranno l’errore di approvare il provvedimento bipartisan dei senatori che vuole scaricare il costo della guerra dal debito e disavanzo degli Usa per addossarlo al popolo iracheno, si eroderanno ancor di più i già deboli sostegni al governo di al-Maliki e le insurrezioni dilagheranno. Le crisi economiche, come quella attuale, sono buone alleate dei partiti rivoluzionari, a condizione che questi le sappiano sfruttare ai fini del rovesciamento della borghesia.

sabato 19 aprile 2008

Renato Soru e Cicito Morittu ci riprovano

Le ragioni del movimento contro il termovalorizzatore per Ottana sono le stesse che sosteniamo contro la costruzione dello stesso a Fiume santo.
La lotta contro la politica capitalistica dell’ambiente pone la questione del potere politico perché è dimostrato da oltre trent’anni di lotte contro la catastrofe ambientale che la borghesia sarda, italiana e internazionale insieme alle borghesie restaurazioniste non sono in grado di poter attuare un minimo d’inversione di tendenza alla catastrofe, anzi la loro permanenza al potere è il fattore primario della catastrofe stessa.
Renato Soru e Cicito Morittu ci riprovano pensando di agire di fronte ad una sinistra frastornata e confusa. Si sbagliano.
Perciò dichiariamo di fare fronte unico con chi nel campo della sinistra e della corrente indipendentista si mobiliterà contro la costruzione del termovalorizzatore a Fiume santo.


Sez.provinciale Sassari-PCL

giovedì 17 aprile 2008

PCL: FERRANDO, LA PIAZZA SARA' IL PARLAMENTO

fonte: ANSA

(16 aprile 2008)

"La piazza sarà il Parlamento. Ora che Bertinotti, Diliberto e Mussi, con le loro politiche suicide, hanno cancellato la sinistra dal Parlamento, il Parlamento della sinistra diventerà la piazza": lo afferma Marco Ferrando leader del Pcl (Partito comunista dei lavoratori).

"Fu la piazza - aggiunge - a fermare Berlusconi nel '94, quando mosse il primo attacco alle pensioni. Fu la piazza a fermare Berlusconi nel 2002, quando attacco' l'art.18. Solo la mobilitazione di massa ha dato risultati concreti al mondo del lavoro: quelli che i governi di centrosinistra hanno spesso poi
cancellato. Il Partito comunista dei lavoratori si impegna da
oggi per la ricostruzione di un'opposizione radicale e di massa al governo Berlusconi; un'opposizione - conclude Ferrando - non più addomesticata da Fausto Bertinotti, in subordine al centrosinistra e al Pd, ma finalmente autonoma e determinata: per cancellare il precariato, per l'aumento generale dei salari, per far pagare grandi profitti e patrimoni".

martedì 15 aprile 2008

APPELLO DEL PCL ALLA LUCE DEL VOTO

ALLA LUCE DEL VOTO UN APPELLO DEL PCL AI MILITANTI E AGLI ELETTORI DELLA SINISTRA A RAGGRUPPARSI PER COSTRUIRE UNA NUOVA PROSPETTIVA

(15 aprile 2008)

Il Tradimento politico delle ragioni dei lavoratori e dei movimenti da parte di Fausto Bertinotti, Paolo Ferrero e Oliviero Diliberto ha portato al disastro la sinistra. Due anni di governo con politiche antioperaie, antipopolari e belliciste a tutto vantaggio delle forze padronali hanno prodotto ad un enorme disillusione del popolo della sinistra; che si è espresso in parte nell'astensione in parte nell'illusorio "voto utile senza fiducia" per il PD in funzione antiberlusconiana. Due anni fa come sinistra di opposizione di Rifondazione avevamo esattamnete previsto che la politica di collaborazione di classe del suo gruppo dirigente avrebbe portato al disastro, anche se naturalmente non ne potevamo prevedere l'ampiezza. Coerentemente con il nostro programma e la nostra coerenza anticapitalista e comunista rompemmo allara con il PRC per ricostruire una forza comunista di opposizione ad ogni politica padronale. Ci siamo costruiti su queste basi per due anni, mentre altri cone Sinistra Critica che oggi cerca di far dimenticare il suo recente passato votavano 23 volte (anche quando gia in rottura con il PRC) la fiducia a Prodi e alle sue leggi antipopolari. IL risultato ottenuto oggi dal nostro Partito Comunista dei Lavoratori premia in parte la coerenza di tale battaglia. Nonostante le enormi difficoltà, i fenomeni di demoralizzazione , la spinta al voto utile, oltre 200.000 lavoratori, pensionati, giovani e disoccupati hanno sostenuto le nostre liste. Nonostante alcuni erratti e strani exit pool e proiezioni siamo la forza nettamente più significativa a sinistra dell'Arcobaleno. IL PCL parte da questo risultato modesto , ma positivo lanciando da subito un appello a tutti i compagni/e della sinistra arcobaleno, ai suoi elettori, alle centinania di migilaia che si sonos astenuti e anche a chi a votato sinsitra critica snza cogliere le profonde differenze programmatiche e di metodo di raggrupparsi insieme con noi per un nuovo inizio. Fuori dai vecchi partiti ormai in agonia e contro tutti i loro gruppi dirigenti che hanno tradito i lavoratori e il popolo della sinistra. Il Partito Comunsita dei Lavoratori ha iniziato a costruire un alternativa reale nel nostro paese; utilizzerà anche il risulato odierno e le lezionio amari della sconfitta per rafforzarla e farle fare un salto di qualità.

Marco Ferrando - Franco Grisolia

giovedì 10 aprile 2008

COMIZIO ELETTORALE

Venerdì 11 Aprile, alle ore 18:00, si terrà il COMIZIO ELETTORALE del Partito Comunista dei Lavoratori.
Siete tutt* invitat* a partecipare.

martedì 1 aprile 2008

La posizione del PCL su Tibet e Cina

In risposta alla lettera circolare di vari gruppi/associazioni

(1 aprile 2008)

Nei giorni scorsi abbiamo ricevuto questa mail che chiedeva di precisare la nostra posizione in merito alla Cina ed alla questione Tibetana:

Lettera aperta ai candidati/e Premier

Egregio/a Candidato/a

Ad oggi non ci è ancora dato sapere quali proposte il Suo partito/coalizione intende avanzare per affrontare alcuni temi che noi riteniamo fondamentali per garantire sicurezza, sviluppo e lavoro al nostro Paese. Per questa ragione La invitiamo a rispondere ad alcune semplici domande che cercano di riassumere le preoccupazioni di molti elettori che condividono con noi da tempo l´impegno per affermare la libertà e la giustizia sociale nel mondo. Le Sue risposte crediamo condizioneranno quindi le scelte di migliaia di uomini e donne che non si accontenteranno della propaganda elettorale per valutare i programmi del Suo partito. Avremmo molte domande da porLe ma ci limitiamo a riassumere in pochi quesiti le nostre preoccupazioni:

Nel caso in cui Lei assuma la Presidenza del Consiglio:

- Quando intende dare attuazione alle risoluzioni approvate dal nostro Parlamento il 30 Ottobre 2007 volte ad impedire che il Partito Comunista Cinese continui a detenere illegalmente milioni di uomini e donne nei campi di rieducazione denominati "Laogai".

- Quali iniziative diplomatiche intende intraprendere ,d´intesa con i Paesi democratici,per impedire che il Governo della Repubblica Popolare Cinese continui a tenere in ostaggio tutte le Istituzioni Internazionali impedendo l´approvazione di ogni misura volta ad affermare i diritti umani ed il diritto internazionale nei paesi dove il regime comunista ha interessi economici e finanziari da tutelare.

- Quali azioni intende proporre in sede internazionale per affermare il diritto all´autodeterminazione dei Popoli Tibetano, Mongolo, Uiguro e Mancese e porre fine alla dominazione coloniale del regime comunista cinese su queste Nazioni.

- Quali iniziative intende assumere,d´intesa con i nostri partner europei, per contrastare la concorrenza sleale di paesi quali la Repubblica Popolare Cinese; concorrenza basata essenzialmente sullo sfruttamento dei lavoratori/trici cinesi che ha già prodotto la perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro nel nostro Paese.

- Quali misure intende prendere, d´intesa con l´Unione Europea, per tutelare la salute e la sicurezza dei consumatori italiani ai quali oggi è persino negato il diritto di conoscere la provenienza di molti beni di consumo prodotti nella Repubblica Popolare Cinese in totale assenza di controlli igienici e sanitari.

La ringraziamo sin d´ora per le risposte, anche sintetiche, che vorrà dare ai nostri quesiti. Al testo che ci vorrà trasmettere daremo la massima pubblicità , pubblicandolo tempestivamente su tutti i siti e gli organi di stampa delle associazioni e dei gruppi firmatari della presente richiesta.

(Marzo 2008)

Seguono le firme:
Claudio Tecchio, Campagna di Solidarietà con il Popolo Tibetano Angelo Montali, Movimento Cristiano Lavoratori Antonello Brandi, Laogai Research Foundation Italia Aldo Forbice, Fondazione Ignazio Silone Bruno Portigliatti, Centro di Informazione Buddista Vincenzo Rizzo , Associazione Incontri Italiani Pasquale Totaro , Comitato Storico-Umanitario "Un Giardino per tutti i Martiri e i Giusti a..." Antonio Attisani, Seminario di Filosofia delle Arti Dinamiche "Carmelo Bene" Tamding Choepel ,Tibet Culture House Italia Tenzin Thupten , Comunità Tibetana in Italia Dechen Dolkar, Tibetan Womens Association Italia Dhundup Chomphel Gelek Yakar, Students for a Free Tibet-italia Angelo Gazzaniga, Comitati per le Liberta Gunther Cologna, Associazione Italia-Tibet Andrea Cartelloni,Centro cattolico di documentazione di Marina di Pisa Alberto Serena, Ass. Culturale "Nuovamente" Don Bruno Lima, Ass Culturale "Uomo e Società" Lorenzo Martinelli, Ass.Culturale " Libertà e Società " Franco Nerozzi ,Comunità Solidarista Popoli - Onlus Walter Pilo, Ass. Culturale "Uomo Libero" Gianfranco Pietrobono ,Circolo Lasprugola Antonio D'ettoris, Fondazione D'Ettoris Giuseppe D'Aquaro, Ass. Culturale" Narsil" Gersenio Boccabella ,Ass.giovanile "Cisterna Neronis", Associazione "Persona e società " Massimiliano Baldacci ,Ass." Raido" Paolo Zanlucchi, Ass. culturale "Libertà e Persona" Marco Scurria ,Ass. "Modavi" onlus Beninatto Luigino ,Fondazione Villa Benzi Zecchini Andrea Mascetti, associazione culturale "Terra Insubre" Associazione culturale "libertà e azione"


LE RISPOSTE DEL PCL

Le posizioni del PCL sulla questione cinese in generale e tibetana in particolare sono state espresse pubblicamente in queste settimane in diverse interviste e prese di posizione del Partito e del nostro candidato premier, Marco Ferrando. Rendendoci conto che comunque queste interviste e questi comunicati non sono state spesso ripresi dagli organi di stampa (per usare un eufemismo), riprecisiamo come da vostra richiesta alcune posizioni del PCL.

1) Il Partito Comunista dei Lavoratori, partito che ha nella sua matrice fondativa l´antistalinismo e la battaglia contro le degenerazioni burocratiche postrivoluzionarie, si è sempre battuto contro i "Laogai", anche prima della risoluzione del Parlamento italiano. Come nella nostra tradizione sempre è stata presente una battaglia contro gli universi concentrazionari dello stalinismo, più o meno ortodosso, da Vurkuta a Goli Otok.

Anche perché molti sono i compagni/e della nostra tradizione politica che hanno vissuto sulla propria pelle la realtà di questi campi di concentramento, vecchi e nuovi, battendosi contro lo stalinismo anche quando questa era incensato da tanti socialdemocratici oltre che da molti che oggi fondando il PD. Come nella nostra tradizione politica è sempre stato evidente il carattere stalinista dell´esperienza cinese e maoista, anche quando questa era sostenuta e ripresa da tanti che oggi magari militano in Comunione e Liberazione.

E tanto più oggi ci battiamo contro la repressione cinese, quando questa da elemento stalinista di controllo sociale della casta di partito diventa strumento di oppressione di classe in un nascente capitalismo cinese, andando a colpire operai e contadini che lottano solo per vedersi riconosciuti i propri diritti sindacali, un salario un occupazione un lavoro.

Ma la nostra battaglia di ieri contro le degenerazioni staliniste e di oggi contro una repressione che è anche strumento di ricostruzione di un modo capitalista di produzione in Cina, è sempre una battaglia per uscire a sinistra dallo stalinismo, per proseguire l´esperienza rivoluzionaria costruendo una democrazia consiliare, in cui il potere sia mantenuto dalla classe lavoratrice per un progetto di trasformazione socialista della società.


2) Non è il governo della repubblica Popolare Cinese ha tenere in ostaggio tutte le istituzioni internazionali. Sono tutte le istituzioni internazionali, a partire dall´ONU e dalle sua agenzie per arrivare al WTO o alla WB, che sono state costituite con statuti, ordinamenti e strutture organizzative antidemocratiche, centrate come sono sull´asse dei vincitori del 1945. Non delle organizzazioni democratiche quindi, ma una nuova forma di regolazione delle egemonie mondiali da parte delle principali potenze economiche e militari, uscite come tali dai 30 e più anni di guerra tra l´inizio del secolo ed il cosiddetto secondo conflitto mondiale. Il potere di veto dei cinque "grandi" nel Consiglio di sicurezza dell´ONU, ad esempio, non è che la traduzione giuridica di questo stato di cose e di questi rapporti di forza. Non a caso la Cina è stata inserita nei primi anni 70 in questo ristretto club, dopo le partite di pingpong ed il viaggio di Nixon in Cina, utile ad un nuovo riequilibrio della politica statunitense nel suo processo di continuo isolamento dell´Urss. Ed infatti praticamente mai l´ONU ha giocato un ruolo progressivo o positivo nelle crisi internazionali, dalla Corea al Bangladesh, dall´Irak alla ex Yugoslavia. O è stato docile strumento delle politiche imperialiste o è rimasto congelato nel gioco dei veti reciproci fra grandi potenze.

E di conseguenza pensiamo che non sia possibile condurre nessuna azione per ridurre questo potere "d´intesa con i paesi democratici", perché proprio i principali paesi democratici (Francia, Usa, Gran Bretagna) detengono oggi questo potere e non intendono minimamente rinunciarci. Anzi, loro per prime lo utilizzano o minacciano di utilizzarlo ogni volta che l´ONU o altri organismi internazionali interferiscono nelle loro politiche.

Quindi, come dire, alla vostra domanda è impossibile rispondere in quanto fate nel testo due affermazioni, dando per scontata che da una consegua l´altra, che per noi sono in contrapposizione: cioè nel momento in cui affermate giustamente che la Cina ha un potere di ricatto nella diplomazia mondiale, per difendere sè ed i suoi protetti, affermate contemporaneamente che i paesi democratici potrebbero/dovrebbero agire per limitarlo. Ma questa conseguenza per noi non esiste. Anzi. Se e quando i "paesi democratici" si battono contro il "potere di ricatto" della Cina non è per difendere e applicare un principio di regolazione internazionale, ma per difendere ed applicare i propri interessi specifici ed il proprio potere di ricatto. Potere di ricatto che magari dispiegano completamente, anche sul piano militare, dentro e fuori i confini politici dell´ONU, proprio nel conflitto contro questo o quest´altro "asse del male", contro questo o quest´altro "potere di ricatto" in quel momento contingente non conforme ai loro interessi. Così ci sono regimi e dittatori che oggi difendono la democrazia e domani sono nazisti ricattatori o narcotrafficanti (da Noriega a Saddam Hussein). Così oggi una strategia per costruire la democrazia in Medio Oriente viene attuata a partire da un regno teocratico con potere assoluto della famiglia reale e repressione religiosa interna (l´Arabia Saudita) e da una dittatura militare che incarcera e tortura ciclicamente ogni opposizione politica più o meno radicale presente nel paese (l´Egitto). E cito solo gli esempi che coinvolgono gli USA in quanto principale paese democratico e potenza mondiale, ma altrettanto si potrebbe dire sulle politiche Francesi in Costa d´Avorio, in Ciad od in Ruanda. O di quelle inglesi nelle Falkland, in Irlanda del Nord, ecc ecc.

La battaglia contro i poteri di ricatto della Cina, per il Sudan come per qualunque altro paese, non è modificabile d´intesa con i paesi democratici. E questo tanto più oggi e ancor più domani, dal momento che sempre più è evidente il ruolo rilevante che la Cina gioca negli equilibri e nella sopravvivenza dell´attuale mercato mondiale: il peso che oggi formalmente detiene la Cina nell´ONU e negli altri organismi è solo destinato a crescere, accompagnato dalle armi (metaforiche e reali) che il nuovo capitalismo cinese si sta dando: come non è un semplice appoggio tra regimi quello che lega la Cina al Sudan, ma vera e propria proiezione economica e militare, a partire dalla Cnoc e dalle altre compagnie petrolifere cinesi per finire alle diverse migliaia di soldati cinesi che stazionano intorno agli oleodotti del paese. Una proiezione che, seppur ridotta per dimensioni e significato, è difficilmente distinguibile in via di principio da quella statunitense in Irak od in altri paesi del mondo.

Il massimo impegno del PCL, al contrario, è dedicato alla costruzione di un modo di produzione e di un sistema internazionale realmente democratico, che a partire dal riconoscimento all´autodeterminazione e dalla massima trasparenza delle relazioni internazionali possa rappresentare le diverse popolazioni della Terra. E noi questo sistema lo chiamiamo socialismo.


3) Il PCL riconosce il diritto all´autodeterminazione di tutti i popoli, senza distinzioni di interesse geopolitico od economico. Quindi ci siamo battuti e ci battiamo, nel nostro piccolo e nelle nostre possibilità, sostenendo il diritto all´autedeterminazione del pololo Tibetano, Mongolo, Uiguro e Mancese.

Come ci battiamo per il diritto all´autodeterminazione dei ceceni, dei palestinesi, dei kurdi, del popolo basco e di quello corso, di quello altoaltesino come di quello sardo, ecc ecc. E la lotta per il diritto all´autodeterminazione, a nostro parere, deve essere condotta in primo luogo da quei popoli, con ogni mezzo che ritengano necessario, senza che questo possa mettere in discussione la nostra solidarietà.

A Lahsa saremmo stati con i ragazzi sulle barricate e negli scontri di piazza, non solo con chi invoca la non violenza e le pressioni internazionali per risolvere la questione "sul piano diplomatico" (che per esperienza vorrebbe dire trovare l´accordo e la quadra tra i diversi interessi delle grandi potenze, siano questi più o meno simili agli interessi ed alle volontà delle popolazioni coinvolte).

Una lotta per l´autodeterminazione che per noi può diventare un percorso di liberazione sia dal colonialismo esterno sia da quello "interno", cioè una lotta di liberazione da quei rapporti sociali che sottomettono la maggioranza della popolazione, siano essi di carattere "feudale" e "precapitalistico" come in alcuni di questi territori, siano essi pienamente capitalisti come in molti territori europei. Una lotta contemporaneamente di liberazione nazionale e di rivoluzione politica interna, una "rivoluzione permanente" per una società socialista contro borghesie compradore e borghesie nazionali, apparati militari, organizzazioni teocratiche e partiti religiosi che spesso negli ultimi anni si sono espansi in molte di queste società. Contro il fondamentalismo come contro gli intrecci tra strutture religiose e potere politico, qualunque matrice questi intrecci e queste politiche fondamentaliste abbiano: siano essi cattolici, islamici, indù o buddisti.


4) La "concorrenza sleale" del nuovo capitalismo cinese è esattamente identica alla "concorrenza sleale" che per molti anni ha retto il miracolo italiano e l´espansione capitalista degli anni 60 nel nostro paese.

Il punto non è aprire una nuova guerra protezionista, da scaricare sempre e comunque sulle frazioni più deboli dei lavoratori, siano essi italiani o cinesi. Guerra protezionista che, fra parentesi, è comunque uno dei più concreti sviluppi delle relazioni internazionali di fronte a noi, dettata dall´incipiente crisi americana e dalle conseguenti logiche economiche che da essa discendono, del resto anticipate dal fallimento del Doha Round.

Il punto è eliminare la logica economica della concorrenza, sia essa più o meno apertamente "sleale", in quanto "sleale" lo è sempre nel modo di produzione capitalista, non essendoci nessun principio regolatorio di fondo dell´attuale apparato produttivo eccetto il profitto. Ed il conflitto che questo genera con i tentativi per tenerlo sotto controllo.

E´forse "leale" la concorrenza che l´Eni, o l´ENEL o la Fiat praticano oggi in Italia o nel mondo? E´ "leale" l´appoggio alle dittature praticato dall´Eni a Kasangian o nel delta del Niger? E´ forse "leale" l´accordo monopolistico da essa stretto per il controllo del metano in Italia? E quelli dell´Enel per le tariffe elettriche o, quando era proprietaria di Wind, di quelle telefoniche? E´ forse "leale" il risparmio che Fiat ha fatto in questi anni sulla sicurezza del lavoro, pagata anche con la recente morte a Melfi? O è forse "leale" l´utilizzo nella maggioranza degli stabilimenti italiani della Fiat di un sistema di controllo dei movimenti, il TMC2, che è stato dimostrato da USL e tribunali che aumenta esponenzialmente malattie e disturbi sul lavoro, dalle tendiniti all´artrite? E´ "leale" che per anni il sistema bancario italiano (a partire da Intesa) abbia considerato Telecom e Pirelli due entità economiche non collegate (quando così non faceva, ad esempio, la SECamericana), per non esser costretta a sommare i debiti delle due società e quindi, per l´attuale legislazione italiana, costringere Bancaintesa e soci al rientro del debito in Telecom? Ed è "leale" che praticamente nessun giornale, televisione, ente politico o morale abbia fatto una compagna di moralità pubblica ed economica su quella che allora era la principale impresa italiana per capitalizzazione?

Il punto diventa quindi per noi battersi contro questo modo di produzione, non sostenere l´una o l´altra parte nella loro competizione omicida. Siano cinesi od italiani i soggetti coinvolti.


5) Di nuovo, sembra che si sottolinei il carattere cinese di un problema (che certamente coinvolge la Cina), senza accennare o considerare la natura generale del problema. Molti altri paesi e realtà, il nostro compreso, hanno problemi nel "conoscere la provenienza di molti beni di consumo prodotti in "totale assenza di controlli igienici e sanitari".

Il problema è quale politica di sostegno intendiamo dare ai nostri presidi di controllo sanitario, che tra parentesi proprio dall´Unione europea spesso ricevono pressioni per l´eccesso di controllo che praticano e vogliono praticare sulla carne o sui diversi altri prodotti. Non è l´unione europea che ha stabilito che si può chiamare cioccolato anche quello che ha meno del 30% di burro di cioccolato dentro, magari utilizzando invece come grassi l´olio di colza o "olii di vegetali vari"? E dall´Unione Europea che riceviamo partite di carne, pesce, verdure biologiche e non prodotte nei nuovi territori senza alcun controllo sanitario? Non è in Unione europea che si è diffusa per anni la "mucca pazza", con il silenzio la timidezza la complicità di autorità pubbliche e sanitarie che subivano la pressione degli interessi dei grandi allevatori e delle aziende alimentari?

Non è in Europa che si sta assistendo ad una lenta ma progressiva diminuzione dell´età della pubertà? E questo quanto può essere collegato alla presenza di estrogeni e altro ormoni nel latte, nella carne, ecc ecc?

E la mozzarella campana? La diossina sarà entrata dalla spazzatura in questi giorni o sarà un problema di contaminazione decennale (se non più) di un territorio in cui, come molti servizi giornalistici e scientifici hanno dimostrato, non esiste controllo igienico o sanitario (non solo e non tanto nelle bufale e nelle sue mozzarelle, quanto nel latte materno, nel terreno, nell´aria che si respira e di conseguenza nei suoi prodotti).

Ed alla base, non c´è un sistema economico in cui la produzione del cibo e la sua commercializzazione è determinata dalla logica e dall´obbiettivo del profitto, ed in cui di conseguenza l´adulterazione dei prodotti è uno strategia praticata generalmente e diffusamente? Non siamo noi ad aver prodotto il vino al metanolo? Od i tedeschi negli annni 20/30 il "giallo burro" ed i conseguenti tumori intestinali? O le compagnie americane ad aver imposto commercialmente l´utilizzo dell´ammoniaca nelle sigarette, per incentivare la trasmissione nel sangue della nicotina?

La Cina (come i paesi del est europeo, come molti paesi africani ed asiatici) hanno il difetto di essere entrati "oggi" nel mercato mondiale della produzione alimentare ed utilizzare pienamente strategie di posizionamento nel "mercato" che le nostre imprese hanno conosciuto decenni fa e che tuttora, quando possono e riescono nelle pieghe della legislazione od in violazione ad essa, utilizzano a piene mani.

Allora certamente è importante, qui ed ora, incrementare i controlli sanitari ed igienici sulle produzioni alimentari, per rendere trasparente al consumatore il contenuto del cibo (produzione ed ingredienti, ogm e conservanti), per controllare e vietare rigorosamente l´adulterazione del cibo come l´utilizzo di sostanze tossiche (nei cibi come in tutti i prodotti). Ma questo deve valere per le imprese cinesi come per quelle campane, per quelle italiane come per quelle statunitensi (rispetto alle quali, proprio sul cibo, molte cose sarebbero da dire).

Ed è per noi importante battersi nel medio e lungo periodo per un modo di produzione che prescindendo dal profitto e dalla valorizzazione del capitale, possa produrre non merci, me beni per le persone. Un modo di produzione che noi definiamo socialista.





Il comitato esecutivo

Comitato esecutivo Partito Comunista dei Lavoratori