venerdì 10 ottobre 2008

Crisi capitalistica: paghi chi non ha mai pagato!

(7 ottobre 2008)

COMUNICATO STAMPA
Dichiarazione di Marco Ferrando

Tutte le ricette anticrisi sono fallite. Ora bisogna respingere al mittente
ogni richiesta di nuovi sacrifici: paghi chi non ha mai pagato, non il mondo
del lavoro.
La crisi capitalistica si aggrava.
Tutte le illusioni liberali o keynesiane, tutte le ricette dei sacerdoti del
capitale, sono di fronte al proprio fallimento. Il dispendioso soccorso dei
banchieri a spese dei contribuenti non inverte la china della crisi, né in
America né in Europa. Una più larga ondata recessiva minaccia una volta di
più la condizione di vita di centinaia di milioni di lavoratori, già gravati
da decenni di sacrifici. La verità è che solo una prospettiva
anticapitalistica può indicare una via d'uscita reale dalla crisi economica
e sociale. Il resto è chiacchiere. E' l'ora che il movimento operaio e le
sinistre si battano finalmente per questa prospettiva rompendo con le
illusioni del passato.
Da subito va respinta al mittente ogni richiesta di nuovi sacrifici: paghi
chi non ha mai pagato, non il mondo del lavoro.
I miliardi destinati all'aiuto dei banchieri vadano alla protezione dei
salari, delle pensioni, dei servizi sociali. Si restituisca ai lavoratori e
alla previdenza pubblica l'importo dei fondi pensione, oggi a rischio o in
picchiata. Si nazionalizzino le banche, sotto il controllo dei lavoratori,
senza indennizzo per i grandi azionisti, a tutela degli stessi piccoli
risparmiatori: consentendo l'abbattimento dei mutui da usura sempre più
insostenibili per milioni di famiglie. Si destinino alla scuola, alla
sanità, all'edilizia popolare le risorse oggi riservate alle grandi imprese,
alle spese militari, alle gerarchie ecclesiastiche.
Il PCL porterà in piazza l'11 ottobre la proposta di un governo dei
lavoratori quale unica vera alternativa, a sostegno di un programma di
svolta.

Milano, 7 ottobre 2008

MARCO FERRANDO
portavoce del Partito Comunista
dei Lavoratori

domenica 5 ottobre 2008

La paura della borghesia

Dirigenti politici, economisti, tecnocrati ed intellettuali della grande borghesia esternano quotidianamente le loro paure di fronte alla catastrofe economica, sociale e politica in corso. Sentono di essere screditati di fronte alla maggioranza della popolazione. Mario Monti se la prende con l’oligarchia al potere negli Usa: “Ma gli Usa hanno fallito in quella ‘specialità’ che per molti decenni hanno insegnato con successo all’Europa e ai Paesi emergenti: la governance dell’economia di mercato. Con la crisi finanziaria in corso che si è generata al proprio interno, hanno dato un vulnus severo e durevole all’immagine e all’accettabilità, nel mondo, dell’economia di mercato”( Sole24ore, 22 agosto). Ernesto Galli della Loggia va più a fondo di Monti: “Sembra cioè farsi sempre più strada, in vasti settori della popolazione, la convinzione che prima che le loro azioni siano le stesse idee delle élites sociali finora in auge, il loro modo di sentire e di essere, la loro cultura nell’accezione complessiva del termine, ad aver fatto il proprio tempo e a essere sempre più estranee alle opinioni delle maggioranze”. Da questa constatazione trae delle conclusioni politiche chiare: “Di fronte a tutto ciò parlare di una ‘ribellione delle masse’ all’ordine del giorno sarebbe francamente esagerato. Ma tenere gli occhi ben aperti di certo non lo è”( Corriere della Sera, 4 ottobre).
Con parole sue Galli della Loggia esprime quello che Gramsci chiamava crisi dell’egemonia della classe dominante: quando la crisi, la catastrofe economica, si esprime al suo massimo livello, quello della crisi del consenso alla classe dominante. Quando le cose stanno così, si entra in una crisi rivoluzionaria. Allora quale è il dovere delle forze della sinistra proletaria? “Si tratta qui del dovere più incontestabile e più essenziale di tutti i socialisti: il dovere di rivelare alle masse l’esistenza di una situazione rivoluzionaria, di spiegarne l’ampiezza e la profondità, di svegliare la coscienza e l’energia rivoluzionaria del proletariato, di aiutarlo a passare all’azione rivoluzionaria e a creare delle organizzazioni conformi alla situazione rivoluzionaria per lavorare in questo senso”( Lenin, Il fallimento della II Internazionale). Questo fa il Coordinamento internazionale per la rifondazione della IV Internazionale e la sua sezione nello stato italiano, il Partito Comunista dei Lavoratori, che propone come organizzazione della lotta un’assemblea intercategoriale dei delegati, promossa unitariamente, che vari una piattaforma di svolta per una vertenza generale di tutto il mondo del lavoro. In questa assemblea ci batteremo perché siano presenti gli obiettivi sintetizzati nelle nostre parole d’ordine per la manifestazione dell’11 ottobre: nazionalizzare le banche, non i loro debiti;abbattere i mutui non i salari; governino i lavoratori non i banchieri.
A chi ci obietta che il governo dei lavoratori è un’utopia perché l’economia è troppo complessa, rispondiamo che chi non lo considera realistico è subalterno all’ economia dell’accademia, ai suoi modelli econometrici ed alle sue formule, ormai, screditate fra gli stessi borghesi. A riguardo, è significativo quanto ha scritto Mario Margiocco: “L’intero investment banking è stato colpito dal morbo di Black-Scholes: il virus nascosto nella formula matematica che porta quel nome e che ha fatto vincere all’Accademia americana tre premi nobel. La formula, che si pensava capace di eliminare il rischio dalle transazioni finanziarie, è invece la madre di tutti i guai, con la pretesa di saper individuare il giusto prezzo futuro. Di prevedere il futuro, insomma”( Sole24ore 21 sett.). Una tale prerogativa è propria, secondo il fondatore della scienza moderna, Galileo, di un’intelligenza extensive, cioè un’intelligenza in grado di possedere contemporaneamente la visione del presente, del passato e del futuro. Ma, ironicamente, Galileo faceva notare che un’intelligenza del genere la possiede solo dio. Pretese del genere sono proprie del delirio idealista, alimentato sicuramente dalla polvere di cocaina che aleggia nelle Borse e negli ambienti prossimi.
Di fonte alla paura che manifestano le élites borghesi, Rossana Rossanda non trova di meglio che porsi i seguenti interrogativi: “ Che faremmo se fossimo al governo? Che chiederemmo di fare a Prodi se non fosse stato rovesciato?”( Manifesto 4 ottobre). Rossanda ripone ancora le sue speranze in un individuo la cui azione di governo ha portato per ben due volte un tipo come Berlusconi e la destra al governo, e la maggioranza del movimento operaio alla devastazione, innanzitutto, politico-culturale. Rossana Rossanda ha la responsabilità di continuare a diffondere, nella sinistra, la tesi che per il movimento operaio, di fronte alla catastrofe ed alla destra trionfante, non c’è altra strada che quella dell’alleanza con quella parte della borghesia, secondo lei e quelli come lei, illuminata. Questa tesi costituisce il nucleo di fondo del togliattismo di Rossanda che continua a legarla alla tradizione stalinista dei “fronti popolari”. Rossana Rossanda, dopo la vaporizzazione del mito maoista, è entrata in quella schiera, purtroppo numerosa, di intellettuali di sinistra che ”hanno dedicato i loro anni migliori al compito di escludere dall’orizzonte storico la possibilità di un crollo capitalista e di tacciare di catastrofismo chi diceva il contrario”( Jorge Altamira, Crisi mondiale: una sinistra accademica e paurosa, Prensa Obrera n° 1057). La fondatrice del Manifesto si ostina a dimenticare che Prodi ha trafficato nella Goldman Sachs in buona compagnia con Mario Draghi, ex vicegovernatore della stessa, con Mario Monti, con Gianni Letta membro dell'Advisory Board di G.S., con R.Rubin, da dirigente Goldman Sachs a segretario al Tesoro presidenza Clinton, con H. Paulson, da vice Presidente di Goldman Sachs a Segretario al Tesoro sotto presidenza G.W. Bush. Una compagnia di pescicani, affamatori di popoli, affetti da delirio di onnipotenza. Rossanda continua ad accreditare, fra i lettori del Manifesto, uno come Prodi che ha dedicato tutta la sua vita a servire i capitalisti e quel centro della reazione mondiale che è il Vaticano?
La paura che la borghesia ha della catastrofe in corso, si trasmette alla sinistra piccoloborghese. Rossanda concorda con Parlato che, qualche giorno prima sul Manifesto ( 30 settembre), ammoniva che “ non c’è affatto di essere contenti perchè la meccanica stessa del capitalismo e anche del mercato scaricherà il massimo dei danni sui lavoratori e sui ceti meno abbienti”. Ma si è mai visto che il passaggio da un modo di produzione ad un altro avvenga senza catastrofi? Il fine del socialismo scientifico, a differenza del riformismo disarmante, è quello di armare le avanguardie della classe salariata a questa evenienza. Prepararle in modo tale da essere capaci di raccogliere sotto le bandiere della rivoluzione sociale, anche, i settori della piccola borghesia rovinati dalla catastrofe e dallo scempio che capitalisti, banchieri e pescecani della finanza fanno dei loro risparmi. Non è vero che la piccola borghesia nelle catastrofi si sposta meccanicamente a destra. Questo succede quando le direzioni della sinistra e del movimento operaio cercano la protezione di quella parte della borghesia da loro ritenuta, erroneamente, illuminata. La piccola borghesia odia chi è responsabile del saccheggio dei suoi risparmi, perciò la strada obbligata è quella della “nazionalizzazione delle banche, senza indennizzo e sotto il controllo dei lavoratori, quale misura indispensabile di svolta sociale e di igiene morale, persino a tutela dei piccoli risparmiatori”(Marco Ferrando).
La catastrofe in corso rovina settori consistenti degli strati bassi dei ceti medi e questo si ripete dalla prima crisi generale del capitalismo che fu la causa oggettiva delle rivoluzioni del 1848. La piccola borghesia francese - dopo essere stata influenzata dai “democratici puri” – marciò, nel giugno del 1848, contro le barricate proletarie, convinta di ottenere una ricompensa, ma rimase tristemente sorpresa dopo il massacro proletario:
“E quando le barricate furono abbattute e gli operai schiacciati e i guardiani delle botteghe, ubriachi di vittoria, si rovesciarono di ritorno nelle loro botteghe, ne trovarono sbarrato l’ingresso da un salvatore della proprietà, da un agente ufficiale del credito, che agitava loro in faccia le sue lettere di protesta: cambiale scaduta! Fitto scaduto! Tratta scaduta! Bottega fallita! Bottegaio fallito” ( Karl Marx, Le lotte di classe in Francia).
Dopo centosessanta anni la questione non è cambiata: o ci si schiera col programma del proletariato rivoluzionario e si combatte sotto le sue bandiere oppure si va incontro a catastrofiche sconfitte.

Gian Franco Camboni direzione Pcl 5 ottobre 2008

sabato 4 ottobre 2008

DICHIARAZIONE SULLA CRISI CAPITALISTICA

(4 ottobre 2008)

La crisi di Wall Street e i suoi primi effetti in Europa non sono semplici turbolenze, per quanto gravi, del capitalismo: sono la cartina di tornasole della sua vera natura e, insieme, della sua crisi strutturale. Esse smentiscono una volta di più, se ve n’era bisogno, tutti gli annunci apologetici dell’89 sulla nascita di un nuovo “ordine mondiale” economicamente prospero. Così come sconfessano tutte le fantasie neoriformiste o “centriste” su un “nuovo mondo possibile” in ambito capitalistico. Al contrario: l’attuale crisi capitalistica conferma una volta di più l’attualità della rivoluzione socialista internazionale quale unica via d’uscita storicamente progressiva dalla crisi dell’umanità.



Naturalmente sarà necessario verificare attentamente il corso della crisi finanziaria, i ritmi della sua propagazione internazionale, le sue ricadute sulla produzione mondiale, i suoi effetti sul declino americano negli equilibri globali. Ma in ogni caso al di là delle sue variabili imprevedibili, la grande crisi di Wall Street rivela nella forma più clamorosa tutta l’irrazionalità del capitalismo, l’anarchia insuperabile del suo modo di produzione, la barbarie morale delle sue classi dirigenti, dei suoi partiti, dei suoi governi di diverso colore.



Per vent’anni la borghesia mondiale, americana ed europea, ha costruito il grande castello delle proprie fortune finanziarie sul massacro sociale dei salari e del lavoro; sulla privatizzazione delle prestazioni sociali (fondi pensione); sull’indebitamento crescente e indotto di milioni di famiglie in cerca di casa o di cure sanitarie; sulla cinica cartolarizzazione dei debiti e dei rischi d’insolvenza: in una gigantesca giostra di capitali fittizi, spinta dalla ricerca di un profitto più elevato e più rapido di quello garantito dall’economia “reale”. La miseria sociale e la speculazione sulla miseria sono state la base dell’enorme ricchezza finanziaria accumulata dalle grandi banche, assicurazioni, imprese. Oggi quelle stesse classi dirigenti cercano di scaricare gli effetti del crollo del loro castello finanziario sulle medesime vittime sociali delle proprie speculazioni. Questa è la sostanza del piano Paulson negli USA col sostegno congiunto di Bush, Obama e McCain. Questo è il segno dei salvataggi finanziari operati in Europa, in Gran Bretagna, in Francia, in Germania, in Belgio, in Olanda.



Ovunque la crisi sconfessa clamorosamente le ipocrisie ideologiche degli ultimi 20 anni.

I governi più “liberisti”, nel colpire i lavoratori, diventano i più “statalisti” quando si tratta di salvare i banchieri, naturalmente a spese dei contribuenti. I più solenni avversari del più piccolo “aiuto statale” per il salvataggio di posti di lavoro nei servizi pubblici, promuovono giganteschi aiuti dello stato per il salvataggio degli speculatori privati destinando centinaia di miliardi pubblici all’acquisto di titoli “tossici” o di azioni in declino. I nemici ideologici di ogni nazionalizzazione non esitano a comprare in tutto o in parte banche e assicurazioni in difficoltà: pagando indennizzi miliardari (e un futuro dorato) a sfruttatori cinici, con i soldi prelevati dal portafoglio degli sfruttati e da nuovi tagli sociali. I lavoratori colpiti nella previdenza pubblica a vantaggio di fondi pensione truffaldini (spesso oggi in picchiata) sono chiamati a pagare il conto lasciato dalle banche truffatrici: dunque sono truffati due volte. Famiglie spremute per anni da mutui bancari usurai sono chiamate a pagare il disastro dei loro strozzini: magari dopo aver subito il pignoramento della casa. Ovunque gli effetti della crisi e delle terapie borghesi si scaricheranno sulle condizioni sociali di grandi masse, già provate da decenni di “sacrifici”.



Di fronte a questo scenario generale, si conferma, una volta di più, la totale inconsistenza di ogni ingenuità riformista. I teorici del capitalismo democratico e sociale, di un “keynesismo progressista”, di un compromesso riformatore con la borghesia, sono davanti al fallimento di tutte le loro fantasie. Il nuovo statalismo della borghesia è a sostegno delle banche (e del militarismo) contro i lavoratori. Né più né meno che il vecchio liberismo. E’ la riprova che la borghesia usa i più diversi specchi ideologici a difesa dei propri immutati interessi di dominio.

Ogni riduzione dell’anticapitalismo all’antiliberismo ha rappresentato e rappresenta un inganno per i lavoratori e i movimenti sociali: spesso allo scopo di non pregiudicare compromessi di governo con le classi dominanti e i loro “partiti democratici” contro i lavoratori e i movimenti.

Parallelamente l’enormità della crisi in corso polverizza tutte le impostazioni iperminimaliste sostenute nei movimenti dalle organizzazioni centriste (Tobin tax, democrazia partecipativa…): miti ideologici illusori ormai defunti, subalterni all’idea di un capitalismo “sociale”, che rivelano, tanto più oggi, tutta la propria impotenza.



La verità nuda e cruda che la grande crisi internazionale ci consegna è la conferma del marxismo: il capitalismo non è socialmente riformabile. Né per via ministeriale, né per opera della “pressione” dei movimenti. Nessun nuovo futuro per l’umanità è compatibile con il potere delle banche, delle assicurazioni, delle grandi imprese, dei loro partiti, dei loro governi, dei loro Stati. Il rovesciamento rivoluzionario di questo potere è condizione storica decisiva per il progresso della società umana. Solo un governo operaio può nazionalizzare le banche non i loro debiti. Solo il potere dei lavoratori e delle lavoratrici può rendere possibile un mondo nuovo, liberato dalla dittatura del capitale finanziario.



Il PCL è orgoglioso di rappresentare l’unico partito della sinistra italiana che si batte per questa prospettiva storica, e che cerca di ricondurre ad essa le rivendicazioni immediate di lotta, e tutto il proprio intervento quotidiano nella classe operaia e in ogni movimento.

Come è orgoglioso di appartenere a una corrente rivoluzionaria internazionale che persegue lo stesso programma in tutto il mondo: perché la crisi mondiale del capitalismo conferma ancora una volta che l’alternativa socialista o è internazionale o non è.

ESECUTIVO NAZIONALE PCL

venerdì 3 ottobre 2008

sulla crisi finanziaria, lavoro e la manifestazione dell' 11 Ottobre

(2 ottobre 2008)

(ANSA) - ROMA, 1 OTT - Il Partito comunista dei lavoratori
«rivendica la nazionalizzazione delle banche, senza indennizzo
e sotto il controllo dei lavoratori, quale misura indispensabile
di svolta sociale e di igiene morale, persino a tutela dei
piccoli risparmiatori»: così Marco Ferrando del Pcl secondo
cui occorre «nazionalizzare le banche, non i loro debiti;
abbattere i mutui, non i salari; governino i lavoratori, non i
banchierì». Queste - fa sapere Ferrando - «saranno tra le
parole d’ordine che porteremo l’11 ottobre alla manifestazione
nazionale delle sinistre».
«L’attuale crisi finanziaria - prosegue - smaschera le
ipocrisie di 20 anni. I governi più liberisti nel colpire i
lavoratori diventano i più statalisti quando si tratta di
salvare i banchieri a spese dei contribuenti. È a questo che si
prepara Berlusconi, mentre si affretta a rassicurare i
risparmiatori? La verità è che le banche italiane, impegnate
ad accrescere il proprio bottino nel trasporto aereo e
ferroviario, nascondono i propri bilanci proprio ai
risparmiatori: mentre continuano a crescere i mutui usurari,
cadono i fondi pensione, rischiano la bancarotta centinaia di
enti locali. Le sinistre non hanno nulla da proporre all’altezza
della gravità della crisi?».(ANSA).
=


Roma, 1 ott. (Adnkronos) - «Se la Cgil rompe finalmente con
Confindustria, è un bene per il mondo del lavoro. Ma non può ora
fermarsi a metà strada. Deve intraprendere la via di un vero sciopero
generale, su una piattaforma di svolta, che ingaggi un’autentica prova
di forza col padronato e col governo: a partire dalla rivendicazione
di un aumento generale dei salari di almeno 300 euro, e della
cancellazione di tutte le leggi di precarizzazione del lavoro». Lo
afferma Marco Ferrando del Partito dei comunisti lavoratori.
«È necessaria l’unità di lotta di tutte le organizzazioni
sindacali non concertative e di tutte le sinistre a sostegno di questa
prospettiva -esorta- Centrale è la promozione unitaria di
un’assemblea nazionale intercategoriale dei delegati che vari una
piattaforma di svolta per una vertenza generale di tutto il mondo del
lavoro».
E assicura: «Il Partito comunista dei lavoratori si batterà
tanto più oggi in ogni sindacato e luogo di lavoro per questa
prospettiva».

mercoledì 1 ottobre 2008

Dichiarazione di Marco Ferrando sulla crisi finanziaria mondiale

(30 settembre 2008)

Roma, 30 set. - (Adnkronos) - «La crisi finanziaria che esplode a Wall Street e sbarca in Europa, ha messo a nudo tutta l’anarchia del capitalismo mondiale. Altro che il ’nuovo ordinè annunciato nell’89!
Vent’anni di false ideologie sono travolti dalla crisi. I governi più ’liberistì nel colpire i lavoratori diventano i più ’statalistì quando si tratta di salvare i banchieri, naturalmente a spese dei contribuenti. I lavoratori che hanno subito il taglio della previdenza pubblica a vantaggio della truffa dei fondi pensione (oggi in picchiata), sono chiamati a pagare il conto delle banche truffatrici.
Famiglie immiserite per anni dai mutui usurai pagano il conto lasciato dai loro strozzini: magari dopo aver perso la casa». Lo afferma Marco
Ferrando del Partito comunista dei lavoratori (Pcl).
«Tanto più oggi, tutte le illusioni su una possibile riforma sociale del capitalismo, sono prive di ogni credibilità -aggiunge-
L’unica via d’uscita dalla crisi che sia positiva per il mondo del lavoro passa per la prospettiva del rovesciamento dell’ordine capitalistico.
Per la costruzione, su scala internazionale, di una
società socialista, liberata dalla dittatura del profitto e restituita al primato dei bisogni sociali. Il Pcl è orgoglioso di rappresentare in Italia l’unico partito impegnato a ricondurre ogni lotta alla prospettiva della rivoluzione sociale e del governo dei
lavoratori. Sfidiamo su questo al confronto tutte le sinistre italiane».