di Gian Franco Camboni (sez. Ozieri PCL) 28 agosto 2007
Sul sito aprileonline le militanti e i militanti di Sinistra democratica dibattono sul “socialismo nel XXI secolo”, muovendo dalla convinzione che devono essere superate “le storiche fratture del XX secolo tra comunisti e socialisti italiani”(aprileonline,31-7-07).
Le “storiche fratture tra comunisti e socialisti italiani” sono una delle manifestazioni della reazione nei partiti socialisti contro il tradimento, nell’agosto del 1914, dei deliberati dell’Internazionale operaia socialista sulla questione della guerra: la Risoluzione sul militarismo e i conflitti internazionali del congresso di Stoccarda (1907) e il Manifesto del congresso di Basilea (1912), entrambi portano le firme Lenin e Rosa Luxemburg.
In questi due testi veniva definita la politica proletaria contro la guerra per prevenirla oppure, qualora scopiasse, per trasformare il malcontento verso di essa in lotta per il rovesciamento dei propri governi e per la conquista del potere:
1) “il congresso conferma le risoluzioni dei precedenti congressi internazionali concernenti l’azione contro il militarismo e l’imperialismo e ricorda che l’azione contro il militarismo non può essere separata dall’azione complessiva contro il capitalismo” (Stoccarda);
2) “Queste guerre sono il risultato della concorrenza incessante provocata dagli armamenti del militarismo, che è uno degli strumenti principali della dominazione economica della borghesia e dell’asservimento economico e politico della classe operaia” ( Stoccarda);
3) “Le guerre sono favorite da pregiudizi nazionalistici che sono coltivati sistematicamente nell’interesse delle classi dominanti, al fine di distogliere la massa proletaria dai suoi doveri di classe e dai suoi doveri di solidarietà internazionale” ( Stoccarda);
4) “Se una guerra minaccia di scoppiare, è dovere della classe operaia nei paesi interessati, è dovere dei loro rappresentanti nei parlamenti fare tutti gli sforzi per impedire la guerra con tutti i mezzi che sembrano loro i più adatti e che variano naturalmente secondo l’acutezza della lotta delle classi e la situazione politica generale. Nel caso in cui la guerra nondimeno scoppiasse, hanno il dovere d’interporsi per farla cessare immediatamente e di utilizzare con tutte le loro forze la crisi economica e politica creata dalla guerra per mettere in agitazione gli strati più profondi e precipitare la caduta della dominazione capitalistica” (Stoccarda).
Nella Risoluzione di Basilea fu precisata con riferimenti storici la concezione dell’utilizzo della crisi “per precipitare la caduta della dominazione capitalista”:
“Che si ricordino che la guerra franco-tedesca ha provocato l’esplosione rivoluzionaria della Comune, che la guerra russo-giapponese ha messo in movimento le forze rivoluzionarie dei popoli della Russia; si ricordino che il malessere provocato dall’aumento delle spese militari e navali ha dato ai conflitti sociali in Inghilterra e nel continente una acutezza inabituale e scatenato scioperi formidabili”. I capi dei principali partiti dell’Internazionale furono al servizio delle proprie borghesie durante la guerra e, nell’immediato dopoguerra, fecero di tutto per ostacolare nei propri paesi il “precipitare della dominazione capitalista”, favorendo così la reazione e la vittoria del fascismo e del nazismo.
Le compagne e i compagni di Sinistra democratica che vogliono “superare le storiche fratture fra comunisti e socialisti italiani” non vedono che la pratica coerente con quanto approvato nei congressi di Stoccarda e Basilea e il loro tradimento non possono essere conciliati e superati. La prima nega il secondo: tertium non datur. O si sceglie la prima oppure si tradisce.
Quando Lenin, nel pieno del massacro imperialista, sintetizzò la politica proletaria nella formula “trasformare la guerra imperialista in guerra civile”, precisò il principio dell’utilizzazione della crisi prodotta dalla guerra per “precipitare la caduta della dominazione capitalista”. La politica proletaria sulla guerra imperialista si fondava sul contenuto specifico del militarismo capitalista che Rosa Luxemburg fissò nella relazione su militarismo e colonialismo al congresso internazionale di Parigi (1900): “questa politica del militarismo si è generalizzata e accentuata nella forma della politica mondiale dell’imperialismo. Non è più soltanto quell’armamento formidabile che costituisce la preparazione a una guerra possibile tra due o tre stati vicini; è un militarismo che fa correre costantemente a nuove conquista coloniali tutte le grandi nazioni del mondo; che trasforma gli Stati Uniti d’America in uno stato esclusivamente militarista, che fa lo stesso per l’Inghilterra; e mentre finora
In armonia con questa concezione maggioritaria nella Seconda Internazionale prima dell’agosto 1914, Lenin caratterizzò la fase imperialistica del capitalismo come “epoca delle guerre e delle rivoluzioni” e non esiste alcun dato politico del XX e del XXI che può smentirlo. Si tratta di qualcosa di non previsto nel primo testo programmatico del socialismo scientifico? No. Nel Manifesto del Partito Comunista viene messa in evidenza la dinamica esponenziale, propria delle crisi capitaliste:
“con quale mezzo la borghesia riesce a superare la crisi? Da un lato con la distruzione di una gran quantità di forze produttive; dall’altro, con le conquiste di nuovi mercati e lo sfruttamento più intenso di quelli esistenti. Con quale mezzo dunque?Preparando crisi più estese e più violente e diminuendo i mezzi per prevenire le crisi stesse”. L’internazionalizzazione della concorrenza capitalista produce necessariamente la guerra ma, anche, le rivoluzioni. Le guerre della borghesia imperialista non sono come le guerre rivoluzionarie della borghesia francese che assestarono alle potenze assolutiste feudali europee colpi tali dai quali non si ripresero. Le guerre imperialiste - con o senza la maschera ipocrita della Società delle Nazioni, ieri; con o senza la maschera ipocrita dell’ONU, oggi- sono un atto crudele contro la marcia dell’umanità verso superiori forme di vita.
Al contrario dei capi della Seconda Internazionale, Lenin armò il proletariato dell’unica politica realistica da adottare contro i governi che preparavano la guerra o contro quelli che la facevano: rovesciarli e istituire la dittatura del proletariato rivoluzionario. Sempre Lenin, nel pieno della guerra, si batté per applicare la politica militare proletaria verso l’esercito di leva:
“ La militarizzazione invade oggi tutta la vita sociale…..Che faranno contro di ciò le donne proletarie? Si accontenteranno di maledire ogni guerra e tutto ciò che è inerente alla guerra ed esigere il disarmo? Mai le donne di una classe rivoluzionaria accetteranno una funzione così vergognosa. Esse diranno ai loro bambini: ‘Presto tu sarai grande. Ti daranno un fucile: Prendilo e impara a maneggiare le armi. E’ una scienza necessaria ai proletari. Ma non per sparare sui tuoi fratelli, gli operai degli altri paesi, - come si fa nella guerra attuale, e come ti insegnano di fare i traditori del socialismo - ma per mettere fine allo sfruttamento , alla miseria e alle guerre non formulando pii desideri, ma riportando la vittoria sulla borghesia” ( Lenin, Il Programma militare della rivoluzione proletaria, 1916).I termini della contraddizione del militarismo nel suo rapporto con la politica proletaria furono fissati da F. Engels in polemica col socialismo piccolo borghese:
“L’ esercito è diventato fine precipuo dello stato e fine a se stesso; i popoli non esistono più se non nel fornire e nutrire i soldati. Il militarismo domina e divora l’Europa. Ma questo militarismo reca in sé anche il germe della propria rovina. La concorrenza reciproca dei singoli
stati li costringe da una parte ad impiegare ogni anno più denaro per esercito, marina, cannoni, ecc., e quindi ad affrettare sempre di più la rovina finanziaria; dall’altra a prendere sempre più sul serio il servizio militare obbligatorio per tutti e con ciò, in definitiva, a familiarizzare tutto il popolo con l’uso delle armi e a renderlo quindi capace di far valere ad un certo momento la sua
volontà di fronte ai signori della casta militare che esercitano il comando. E questo momento si presenta non appena la massa del popolo, operai delle campagne e delle città e contadini ha una sua volontà. A questo punto l’esercito dei principi si muta in un esercito di popolo; la macchina si rifiuta di servire, il militarismo soggiace alla dialettica del suo proprio sviluppo. Ciò che non poté compiere la democrazia borghese nel ’48, precisamente perché era borghese e non proletaria, cioè dare alle masse lavoratrici una volontà il cui contenuto corrisponda alla loro condizione di classe: questo sarà infallibilmente realizzato dal socialismo. E ciò significa far saltare in aria dall’interno il militarismo e, con esso, tutti gli eserciti permanenti”. I soviet dei soldati dell’ex esercito zarista, i soviet dei marinai di Kiel costituiscono una delle conferme della contraddizione esposta da Engels. Non è un caso che dopo l’impiego disastroso dell’esercito di leva in Vietnam, i circoli dirigenti della borghesia degli USA presero la decisione di adottare il modello di esercito professionale. Alla prova del fuoco, l’esercito professionale USA e la dottrina militare di Rumsfeld prendono colpi in Iraq e in Afghanistan; i soldati disertano, si suicidano (99 nel 2006, ventotto dei quali mentre erano in Iraq e Afhganistan) e tentano di suicidarsi (948 nel 2006), come avveniva anche nel precedente esercito di leva. Negli eserciti delle classi dominanti il fattore morale è inesistente; al contrario, è il motore delle armate rivoluzionarie come si può constatare nella storia delle rivoluzioni e delle guerre civili in Europa -dalla rivoluzione dei Paesi bassi all’Ottobre rosso. Proprio perché il fattore morale è il loro motore le armate rivoluzionarie sono state sempre invincibili.
Dopo che la socialdemocrazia e Stalin con le loro politiche sciagurate portarono alla vittoria del fascismo hitleriano, Trotsky fu l’unico a mettere in guardia il movimento operaio sulle probabilità maggiori di una guerra d’aggressione all’Urss. Trotsky previde che la casta usurpatrice del primo stato operaio - nazionalizzazione dell’industria, delle banche, dell’agricoltura, monopolio del commercio estero, pianificazione economica, repressione della ex classe dominante e politica estera di mobilitazione rivoluzionaria - si sarebbe alleata con uno dei due blocchi dell’imperialismo nel prossimo conflitto. La politica di Stalin, dallo sciagurato patto con Hitler alla svolta verso l’imperialismo inglese e statunitense, confermerà ampiamente quel pronostico. Ancora una volta la guerra era la “questione chiave della politica”(Trotsky).
Per il fondatore dell’Armata Rossa, come la prima guerra imperialista contribuì in modo decisivo allo tsunami rivoluzionario che dal suo epicentro petroburghese travolse tutta l’Europa imperialista, anche il secondo conflitto avrebbe accelerato i tempi per le esplosioni rivoluzionarie. Tre erano i compiti del proletariato rivoluzionario:
1) trasformare la guerra imperialista in guerra civile in entrambi i blocchi rivali, adottando le parole d’ordine specifiche per ogni situazione;
2) difendere l’Urss da qualsiasi aggressore e trasformare la guerra di difesa della patria socialista in rivoluzione politica antiburocratica;
3) porsi alla testa delle rivoluzioni anticoloniali in Asia, Africa e America latina per farle transcrescere nella rivoluzione permanente, “il solo programma vero per la liquidazione di ogni oppressione, sociale o nazionale”(Trotsky).
Trotsky e Jim Cannon difesero la politica militare proletaria per gli eserciti di leva di entrambi i blocchi imperialisti con la specifica tattica e specifiche parole d’ordine contro quelle minoranze della IV Internazionale che sostenevano un astratto disfattismo rivoluzionario, dannoso nella lotta per l’egemonia sia nei movimenti armati degli operai e dei contadini in Francia, in Italia, nei Balcani ed in Grecia contro l’occupazione nazista e i regimi preesistenti, sia nei movimenti rivoluzionari anticoloniali. La casta usurpatrice - conoscendo le sue doti di stratega rivoluzionario e condottiero di eserciti rivoluzionari nella più grande guerra civile conosciuta finora ed essendo consapevole della funzione che Trotsky e
Le “fratture storiche fra comunisti e socialisti italiani,” che i firmatari di “Sinistra democratica si apra verso l’innovazione del pensiero”desiderano superare, sono insuperabili, ineliminabili. Qualora in qualsiasi parte del mondo le masse rivoluzionarie preso il potere, daranno le lezioni che si meritano ai controrivoluzionari, i traditori del socialismo difenderanno la controrivoluzione come hanno fatto sempre.
Allora “quale socialismo nel XXI secolo”, quello di “Nenni, Brandt, Saragat, Pertini, Lina Merlin” ( Gianluca Scroccu-aprileonline-23 agosto 2007), oppure quello di Lenin, Rosa Luxemburg e Trotsky?
Un’ultima osservazione. Il compagno Giuliano Garavini auspica un’iniziativa politica al fine di “evitare che si ripeta il rito delle due piazze”(aprileonline, 11-8-2007). Dia l’esempio e venga nella piazza della sinistra che non tradisce, così si risolve questo problema.
All’opposizione contro il governo Prodi o al governo con Prodi. Tertium non datur
3 commenti:
non esiste solo il socialismo di Lenin, Tockij e Luxemburg o quello di Nenni, Saragat e Brandt ma anche quello di Rosselli e Berneri, quello di Owen, Fourier, Saint-Simon, Cabet, Proudhon, Blanc, Leroux, Reynard, Pisacane, Ferrari, Garibaldi e perché no? quello di Bakunin e Kropotkin
ed anche quello di Tolstoj
e non dimentichiamo Cernysevskij e Herzen
meglio Fourier di Lenin, meglio Garibaldi di Trockij, meglio Herzen della Luxemburg
con gli autori sopracitati, e non con Lenin, Trockij e Luxemburg si ricompone la frattura tra socialismo e comunismo, per dare vita al socialismo del XXI secolo
Infatti noi non vogliamo ricomporre la frattura tra chi difende i lavoratori (i comunisti) e le direzioni che li hanno traditi votando i crediti di guerra durante la prima guerra mondiale.
compagno, siamo nel 2007 e.v., non nel 1914!
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