(28 giugno 2007)
venerdì 29 giugno 2007
PENSIONI: FERRANDO, PROMUOVERE UN GRANDE SCIOPERO GENERALE
(28 giugno 2007)
lunedì 25 giugno 2007
Marxismo e arte
Noi celebriamo oggi, 28 settembre, l’anniversario della morte di André Breton, uno dei più importanti rappresentanti del surrealismo. Breton si è sforzato di legare l’arte alla politica rivoluzionaria, e collaborò per un certo periodo con Trotsky.
Oggi, allorché il capitalismo è in un vicolo cieco, che la sua degenerazione senile raggiunge l’apice, la crisi di questo sistema tocca ogni aspetto e ogni manifestazione della vita. Le forze produttive stagnano, la disoccupazione e la precarietà del lavoro toccano milioni di persone, e le ineguaglianze si accrescono a livelli fino ad ora sconosciuti. La guerra e il terrorismo non sono più l’eccezione ma la regola. Degli elementi di barbarie hanno iniziato a comparire nei paese più prosperi e “civilizzati”, come si è visto recentemente a New Orleans.
La sopravivenza minaccia di distruggere i fondamenti della civiltà e della cultura: Come l’arte potrebbe non esserne toccata? Anzi, l’idea di legare l’arte e la rivoluzione – di cui Breton e Trotsky furono i pionieri – conserva oggi tutta la sua pertinenza e la sua vitalità.
Il surrealismo formula una visione contraddittoria (illogica ) della realtà. Esso cerca di esprimere gli elementi di violenza e di efferatezza che sono ricoperte sotto la sottile vernice della civilizzazione borghese. Le maniere civilizzate e il “buon gusto” della società borghese non sono che una facciata, dietro la quale si nascondono le più terribili sofferenze, sfruttamento e repressione. Il surrealismo strappa questo velo ipocrita e rivela l’orribile e repellente realtà che quel velo ricopre.
Paradossalmente, l’uomo il cui nome è, frequentemente, associato a questa scuola rivoluzionaria, Salvator Dalì, era un servile difensore dello status quo, un uomo di destra che ammirava Hitler e Franco, un monarchico e un lacchè delle classi dominanti. Al contrario, Luis Bunuel era un autentico rivoluzionario. E’ stato punito per aver realizzato un film ateo, da cui Dalì non ha mancato di dissociarsi. Bunuel lo ha ringraziato con una scarica di pugni. A differenza di Dalì, Bunuel era contro la classe dominante, contro la religione e contro la chiesa. Politicamente era vicino all’anarchismo, le cui idee riflettono, al meglio, il punto di vista del surrealismo. Ma con Bretòn, il surrealismo si avvicina, egualmente, al marxismo. Nel 1937 scrisse con Trotsky un Manifesto per un arte rivoluzionaria indipendente, che, ancora oggi, conserva tutta la sua validità.
Nel surrealismo, c’è pure un altro elemento: l’idea che tutto è in transizione, instabile e mutevole. La morte e la metamorfosi, pure, vi occupano una posizione centrale. Qui, scopriamo la presenza di un’idea fondamentalmente dialettica: l’idea di un cambiamento costante, grazie a cui ogni cosa si trasforma nel suo contrario, non è mai ciò che sembra essere, e, dentro di sé, contiene contraddizioni.
Non è per un caso che il surrealismo sia fiorito in terre cattoliche come la Spagna , la Francia e l’Italia. E’ noto che il fanatismo cattolico produce il suo contrario, sotto la forma di possenti movimenti anticlericali.
In tutti i grandi sommovimenti rivoluzionari, che hanno conosciuto questi paesi, c’è stato un dilagare di azioni anticlericali. Un tale fenomeno non sarebbe potuto mai fiorire nei paesi protestanti dell’Europa del nord, dove la borghesia, da tempo, ha regolato i suoi conti con la chiesa cattolica. La logica fredda della borghesia ha bandito, da lungo tempo, l’oscurantismo irrazionale della chiesa cattolica. Ma nei paesi del sud dell’Europa bisogna, ancora, farla finita con questo idolo.
Come il suo nome suggerisce, il surrealismo si sforza di vedere al di là dell’apparenza delle cose, per cercarne l’essenza. Al contrario, lo spirito nord-europeo, freddo senza immaginazione, modellato da una lunga tradizione di filosofia empirista, è soddisfatto di ciò che è dato, delle “cose così come esse sono”. Tuttavia, “le cose così come esse sono”, si rivelano molto differenti da come appaiono. Si, il mondo del surrealismo è un mondo estraneo, in cui le cose e le relazioni “normali” sono sottosopra. Ma è in realtà il capitalismo che trasforma tutte le relazioni naturali nel loro contrario. Le contraddizioni e l’irrazionalità di questo sistema gli sono inerenti. L’arte surrealista può ben esprimere queste contraddizioni. Ma, nei fatti, non possono essere risolte che da una rivoluzione socialista.
Qual è il ruolo di un artista, nella nostra epoca? E’ più facile dire ciò che non è. Il ruolo di un vero artista non è di restare alla finestra, mentre sono condotte delle battaglie che decideranno l’avvenire dell’umanità. L’arte che rompe con la società, che è indifferente al suo destino, non può aspirare ad alcuna grandezza. Una tale arte non può che marcire nella palude e nel mondezzaio della storia. Non arriverà mai alla vetta.
La grande arte deve interessarsi ai grandi problemi. Un vero artista non può essere indifferente alle sorti degli altri uomini e delle altre donne. I conformisti e i lacchè, che si contentano di seguire, come dei montoni, l’ultima tendenza alla moda, non produrranno mai un’arte o una letteratura di ampio respiro.
L’arte ha il dovere di esprimersi con forza e con coraggio contro tutte le manifestazioni di oppressione, di sfruttamento, di menzogna e di ipocrisia. Essa deve indicare la possibilità di una vita migliore e di un mondo migliore. E’ di poca importanza che il messaggio manchi di chiarezza, che sia incompleto e imperfetto, che esso tocchi solamente questo o quell’altro aspetto della realtà. L’arte non è la scienza o la politica. Essa ha la propria identità e parla la sua voce. Adottando una posizione ricca di passione sui problemi che l’umanità ha di fronte, essa deve rimanere sempre uguale a se stessa.
L’arte può essere partigiana e rivoluzionaria senza degenerare in pura propaganda. L’arte deve essere libera da ogni vincolo. Essa non deve riconoscere alcun maestro, che sia la chiesa, lo stato o il grande capitale. L’artista deve essere libero di seguire i suoi propri sentimenti e convinzioni. Una tale libertà artistica è incompatibile con il sistema capitalistico, dove le banche e i monopoli decidono di tutto in funzione del profitto – la produzione di T-Shirts come quella della pittura, della musica e della letteratura.
L’arte non diventerà libera che in una società dove tutti gli uomini e tutte le donne saranno liberi, dove i rapporti mercantili saranno sostituiti da rapporti umani autentici – o detto altrimenti, sotto il socialismo. In una società fondata su una pianificazione armoniosa e democratica delle forze produttive, gli uomini e le donne, infine, perverranno a controllare razionalmente la propria esistenza. Allora solamente, l’arte perderà i caratteri della schiavitù e acquisterà la condizione di arte umana. In una società di classe, l’arte ha un carattere di classe. Essa tende a separarsi dalla società, e la maggioranza delle persone la considerano come qualcosa di estraneo e di lontano. Per distruggere la muraglia cinese che separa l’arte dalla società, bisogna innanzitutto abolire le basi materiali di questa alienazione.
Trotsky ha scritto una volta: “ Quanti Aristotele sono guardiani di maiali? E quanti guardiani di maiali sono seduti sui troni?”. Abolendo le frontiere tra lavoro manuale e intellettuale, il socialismo toglierà, una volta per tutte, l’ostacolo che impedisce al popolo d’accedere all’arte, alla scienza, alla cultura e al governo. Ciò aprirà un nuovo Rinascimento, che oscurerà tutte le realizzazioni di Atene antica e del XV e XVI sec. fiorentini. Lo sviluppo dell’arte in tutta la sua ampiezza è incompatibile con ogni ristrettezza dello spirito, ivi compreso la ristrettezza dello spirito nazionale. Il surrealismo era una corrente autenticamente internazionalista, che rifletteva l’esistenza dei sentimenti e dei problemi comuni al mondo intero. Era un’anticipazione di ciò che saranno, sotto il socialismo, la cultura e l’arte mondiale.
E’ un dato di fatto, da tempo, che il patrimonio culturale europeo si trovi in un vicolo cieco, ciò riflette il lungo declino, confrontato a dei rivali più e più dinamici. Il vecchio mondo non ha più niente d’interessante da dire. Come aveva previsto Trotsky, dopo essere passato dal Mediterraneo all’Atlantico, il centro della storia mondiale passa ora dall’Atlantico al Pacifico, dove saranno decise le sorti del mondo intiero.
Le vecchie frontiere che dividono il corpo vivente dell’umanità hanno dopo perso la loro utilità storica. Esse costituiscono lo stesso tipo di ostacolo al progresso umano quanto le antiche frontiere locali del sistema feudale. Esse sono votate ad essere spazzate via – e saranno spazzate via. Ciò è particolarmente necessario per l’America latina – questo meraviglioso continente, che possiede tutto ciò che può creare un paradiso sulla terra, ma che è stato balcanizzato e ridotto in schiavitù da due secoli di capitalismo.
In un mondo socialista, il genio dei popoli dell’America latina sarà un elemento vitale della cultura mondiale. Le grandi tradizioni dei Maya, degli Atzechi, degli Incas e di tutti gli altri popoli del continente conosceranno una rinascita a un livello qualitativo più elevato.
Quale sarà la natura dell’arte socialista? E’ impossibile dirlo, e noi non dobbiamo impartire lezioni alle generazioni future. L’arte obbedirà, sempre, alle sue leggi proprie e intrinseche, che non corrispondono ad una teoria preconcetta, ma rifletterà i bisogni e le aspirazioni di ogni generazione. Tuttavia noi possiamo essere sicuri di una cosa. L’arte non mancherà di varietà. Un centinaio di correnti differenti rivaleggeranno e dibatteranno, in una appassionante scuola di democrazia che implicherà, non più solamente un pugno di snob, ma milioni di persone. Ne sorgerà una cultura nuova e superiore a tutto ciò che esiste.
E’ per il futuro che noi lottiamo. E in questa lotta, gli artisti contemporanei devono prendere il posto che gli spetta: nel fronte della lotta per il socialismo.
Per finire, una citazione dal Manifesto di Bretòn-Trotsky :
“ I nostri obiettivi:
domenica 24 giugno 2007
Le preoccupazioni di Fabio Mussi. Ai compagni e alle compagne di Sinistra democratica in Sardegna
Oltre che “impressionato” dall’accusa di”estremismo”, Mussi prova dell’ “inquietudine” di fronte ai richiami all’ordine di Montezemolo, ed è per questa “inquietudine” che Mussi condivide quanto ha affermato, all’Unità, Epifani che “sente aria da 1919” e paragona gli industriali di oggi agli agrari padani che finanziarono per primi lo squadrismo. Mussi negli attacchi di Montezemolo al sindacato riscontra “l’idea di un blocco proprietario che attrae i consensi popolari. Oggi c’è una sommossa dei ricchi è il disicanto dei poveri. E Montezemolo suona la carica”. Certamente Epifani, che “sente l’aria da 1919” è la persona meno indicata per purificare l’ambiente dall’aria diciannovista che dice di sentire.
Guglielmo Epifani ha rivendicato e rivendica sempre il filo politico-teorico che lo lega al socialista Bruno Buozzi che nel biennio rosso era il massimo dirigente della CGL (l’allora CGIL). B. Buozzi egli altri dirigenti della Cgl hanno la responsabilità storica di aver lavorato per conto dell’allora presidente del consiglio Giovanni Giolitti, al fine di impedire al movimento di occupazione delle fabbriche di lanciarsi nella conquista rivoluzionaria dello stato. Il risultato della mancata conquista del potere fu quello di spianare la strada al fascismo: “Il fascismo è la rivincita, la vendetta attuata dalla borghesia per il panico vissuto nel settembre del 1920, e nello stesso tempo è una lezione tragica per il proletariato italiano, una lezione su ciò che deve essere un partito politico, centralizzato, unito e con le idee chiare. Un partito che deve essere cauto nella scelta delle condizioni, ma anche risolutamente deciso nell'applicazione dei metodi necessari nell'ora decisiva” (Trotsky). Bruno Buozzi fu tra coloro che maggiormente avversarono Gramsci ed Epifani in un suo scritto giovanile su Buozzi prende le parti di questo. Al contrario dei riformisti e dei massimalisti del PSI, Gramsci, nel maggio del 1920, dava questo giudizio sullo stato dei rapporti di forza in quel momento: “la fase attuale della lotta di classe in Italia è la fase che precede: o la conquista del potere politico da parte del proletariato rivoluzionario….o una tremenda reazione da parte della classe proprietaria e governativa. Nessuna violenza sarà trascurata per soggiogare il proletariato industriale e agricolo a un lavoro servile”. Le responsabilità di Buozzi e degli altri dirigenti socialisti (insieme purtroppo ai Bordiga) fu quella di aver sconfessato l’organizzazione militare proletaria degli Arditi del popolo che con una direzione centralizzata e obiettivi politici ben definiti avrebbe liquidato lo squadrismo. Gli Arditi del popolo avevano una struttura militare estesa su tutto il territorio dello stato, 144 sezioni per un totale di 20.000 unità. Nell’estate del 1922, nella battaglia di Parma cacciarono via da Parma i diecimila squadristi guidati da italo Balbo per dare un colpo definivo al movimento operaio di quella regione. Il mancato rovesciamento del governo liberale di Giolitti, per sostituirlo con la dittatura del proletariato rivoluzionario è stata la causa del fascismo.
Riguardo alle ultime uscite di Montezemolo Mussi ha detto che se gli sono “scappate è freudiano”. Questa considerazione su Montezemolo vale per lo stesso Mussi.
Se Mussi si vuole liberare dall’inquietudine non ha che una sola strada quella di rompere con Prodi per due ragioni:1) perché la politica del governo dell’Unione fa gli interessi di tutta la borghesia, da Berlusconi a Montezemolo; 2) perché il governo dell’Unione spiana la strada alla vittoria della destra come è già successo nel 2001.
Di certo la tenacia con cui Mussi difende l’attaccamento al “socialismo europeo”, non lo agevola nella formazione di una volontà a rompere con Prodi e il centro liberale dell’Unione, per la lunga storia di tradimenti e di viltà che contraddistingue “il socialismo europeo”. “Bisogna avere il coraggio di essere vili” fu il moto del gran capo dei riformisti, Turati, di fronte al fascismo trionfante.
Ai compagni e alle compagne che vedono in Sinistra democratica uno strumento utile per il movimento operaio diciamo: avete rotto con D’Alema e Fassino perché vanno nello stesso partito il cui artefice è Prodi e poi non rompete con Prodi stesso? Certamente per voi è una scelta difficile, soprattutto per quei militanti di Sinistra democratica che sostengono che le ragioni della nascita dell’Internazionale comunista sono proprie del XX secolo e ora vanno superate. Questi compagni, sicuramente per un difetto di conoscenza, riguardo a quelle divisioni, parlano di scissioni attribuendole a quei marxisti rivoluzionari che diedero vita all’Internazionale comunista. La realtà è un’altra: la scissione la fecero tutti quei capi e parlamentari socialisti francesi, inglesi e tedeschi che sostennero la prima guerra imperialista mondiale guerra imperialista, tradendo i deliberati dei congressi di Stoccarda(1907) e Basilea(1912) in cui si dichiarava l’opposizione con tutti i mezzi possibili ai governi guerrafondai, e qualora la guerra si facesse trasformare il malcontento popolare prodotto dalla guerra in lotta per rovesciare il proprio governo che faceva la guerra. Lenin fra dirigenti della Seconda Internazionale, l’Internazionale operaia socialista, fu il più coerente nell’eseguire quei deliberati del 1907 e del 1912: “trasformare la guerra imperialista in guerra civile”.
Chiediamo ai compagni e alle compagne di Sinistra democratica di andare sino in fondo con la scelta di abbandonare D’Alema e Fassino al loro destino di socialtraditori: rompete con Prodi e con il centro dell’Unione, fate con noi l’opposizione di sinistra perché questa è l’unica strada per diventare maggioritari e invertire la rotta.
Gian Franco Camboni sez.Ozieri del Partito Comunista dei Lavoratori 24/06/07
giovedì 21 giugno 2007
Conferenza-dibattito a Ozieri
Conferenza-dibattito
Interverranno:
Nicola Tradori, coordinamento nazionale del Partito Comunista dei Lavoratori, delegato sindacale all’Eridania Sadam;
Elena Zolo, Rete 28 Aprile nella CGIL per l’indipendenza e la democrazia sindacale ;
Antonello Sechi, Associazione per il rinnovamento della sinistra;
Antonio Attili, parlamentare di Sinistra democratica;
presiede:
Gianmarco Satta, coordinatore provinciale di Sassari del Partito Comunista dei Lavoratori.
Sala Conferenze della Comunità Montana-Ozieri
Venerdì 22 giugno h. 17
Sezione di Ozieri del Partito Comunista dei Lavoratori
pcl_sezioneozieri@yahoo.it
lunedì 18 giugno 2007
COMUNICATO DELLA SEZIONE OLBIESE DEL mPCL
A quanto pare, il governo Prodi, governo della settima potenza imperialista del mondo, ha preso la decisione di tenere il summit del G8, l’incontro dei rappresentanti dei più grandi briganti imperialisti, nell’isola di La Maddalena , il cui territorio è già pesantemente degradato dalla presenza da oltre trent’anni della base statunitense.
L’incontro degli otto briganti non rappresenta nient’altro che la difesa degli interessi della propria borghesia, delle multinazionali, e delle banche, a scapito dei lavoratori e delle masse oppresse sia dei paesi coloniali e semi-coloniali, sia del “proprio” proletariato, i moderni schiavi salariati dei paesi imperialisti.
Al di là delle ciarlatanerie dei lacchè del capitale, i quali non fanno altro che parlare di fantomatiche azioni di “carità” dei paesi imperialisti nei confronti dei paesi oppressi del terzo mondo, l’azione della borghesia mondiale è volta al violento sfruttamento delle risorse naturali e della manodopera a basso costo dei paesi coloniali e semi-coloniali. I “doni” delle banche ai governi corrotti di questi paesi, sono in realtà un’azione di corruzione in cambio di privatizzazioni dei servizi e delle risorse naturali, per dare al grande capitale la possibilità di perpetrare maggiormente il suo sfruttamento di risorse e di uomini. D’altronde le guerre dei paesi imperialisti, non sono forse una continuazione della politica borghese al fine di estendere i propri profitti grazie al controllo sulle risorse e sui salariati dei paesi aggrediti?
Parallelamente allo sfruttamento dei paesi oppressi, la borghesia imperialista sviluppa il suo sfruttamento ai danni dei lavoratori e delle masse popolari delle proprie nazioni, con l’abbattimento dei salari, delle pensioni, dei servizi sociali, con conseguente perdita del potere d’acquisto e calo del tenore di vita per le classi subalterne; in Italia si può osservare l’effetto del governo di collaborazione di classe, con le sinistre di governo (Prc, Pdci, Sinistra Democratica) subordinate al grande capitale imperialistico, negli attacchi sferrati ai lavoratori: truffa del Tfr, aumento dell’età pensionabile, triennalizzazione dei contratti, perdita del potere d’acquisto dei salari, aumento delle spese militari e taglio alla spesa pubblica etc.
E le sinistre governative, coloro che fino alla partecipazione al governo Prodi manifestavano contro il G8, cosa dicono? In Sardegna, il segretario regionale del Prc, Michele Piras, in un comunicato si esprime criticamente nei confronti della decisione presa dal governo Prodi; ma questa critica si basa sul fatto che i potenti della terra prendono le loro decisioni “senza alcuna forma di partecipazione né delega da parte di alcuno, una forma di sovragoverno a-democratico che pretende il diritto decisionale in regime di prelazione ed in spregio alle Nazioni Unite”! Come se una sorta di “partecipazione democratica" alle decisioni dei grandi briganti imperialisti fosse in grado di spostare l’asse politico di chi ha in mano l’economia e il grosso apparato burocratico e militare! O ancora peggio, viene affermato un presunto “spregio” da parte del summit del G8 nei confronti dell’ONU, quell’organo subalterno al grande capitale, che fino ad oggi ha avvallato tutte le sue guerre e i suoi crimini!
Quello che elude Michele Piras è il fatto che il suo partito partecipa al governo della settima potenza imperialista del mondo, uno degli artefici delle decisioni prese dal G8, un governo che muove la sua guerra quotidiana sia alle masse popolari di paesi aggrediti dalla guerra, sia alle masse del nostro paese. E questo non è un “sovragoverno a-democratico”, bensì è la vera natura della “democrazia” borghese, a cui va sostituita la democrazia più completa, quella del governo dei lavoratori e di tutte le masse oppresse!
L’unico modo per marciare in questa prospettiva e per difendere gli interessi immediati dei lavoratori è che le sinistre di governo rompano col centro liberale dell’unione, ossia con la “propria” borghesia e uniscano le forze in un’opposizione dei lavoratori a qualsiasi governo borghese; ogni giorno, nei sindacati, nelle fabbriche, nei luoghi di lavoro lanciamo questa prospettiva, quella del polo autonomo di classe, l’unica in grado di difendere gli interessi dei lavoratori.
Per parte nostra, schierandoci contro la decisione di tenere il G8 a La Maddalena , annunciamo fin da ora la nostra opposizione al summit dei briganti della Terra, affermando, nella migliore tradizione del movimento operaio, che il vero nemico si trova nel nostro paese.
Movimento per il Partito Comunista dei Lavoratori – Sezione di Olbia
domenica 17 giugno 2007
La demagogia di R. Cugini e A. Licheri
Antonello Licheri fondatore del gruppo consiliare regionale di “sinistra autonomista”, nella presentazione, in Sassari, di questa nuova associazione nata per assicurarsi anche per la prossima legislatura regionale lo stipendio e le indennità di consigliere regionale ( oltre i 16.000 euro mensili), ha proclamato che : “la sinistra non si costruisce nei palazzi, ma nei territori, assieme alla gente, il progetto nasce dal basso”.
Negli anni scorsi, Licheri è stato uno di quelli che ha lavorato, sotto la direzione di Sandro Valentini, altro squallidissimo individuo, per combattere la sinistra del Prc, quando questa alla fine degli anni novanta era impegnata a difendere l’indipedenza di quel partito sia dal centro-sinistra sia dall’amicizia di S. Valentini con il dannunziano N. Grauso. Valentini e A. Licheri profusero il massimo di energie per distruggere la sezione del PRC di Ozieri, che in quel momento era diretta dalla sinistra del PRC, con un consigliere comunale e con una fortissima organizzazione giovanile. L’organizzazione provinciale dei Giovani Comunisti stessa era diretta dalla sinistra del PRC.
Dopo la proclamazione della volontà di voler costruire “la sinistra dal basso”, i due “ sinistri autonomisti”, hanno proseguito affermando di sostenere la giunta del miliardario R. Soru, ma chiedendogli “una svolta a sinistra”. Chiedere una svolta a sinistra alla giunta Soru, è come chiedere a Ratzinger di abbandonare il dogma dell’infallibilità del papa oppure chiedere a Lapo Elkan di non fare il pagliaccio.
La misura della fedeltà alla causa della liberazione del lavoro dal capitale, oggi, qui ed ora, passa attraverso la rottura con Prodi, con Soru e con il centro liberale e corrotto dell’Unione, se non si procede in questa direzione si fa solamente della demagogia e si danneggia la classe lavoratrice.
La cosiddetta “sinistra radicale di governo” se non rompe con Prodi sarà ricordata solamente per essere quella formazione politica che ha chiuso gli occhi di fronte all’amicizia di D’alema e Fassino con Consorte e i “furbetti del quartiere”, continuando a chiedere ai due social traditori una svolta a sinistra.
Un consiglio fraterno a quei compagni e compagne che seriamente si impegnano a costruire Sinistra democratica in Sardegna e nel continente: non confondetevi con i “sinistri autonomisti”
Sez. Ozieri-PCL Ozieri 17/06/07
giovedì 14 giugno 2007
Sulla vicenda dello sfratto dei lavoratori immigrati
Comunicato della sezione olbiese del movimento per il Partito Comunista dei Lavoratori sulla vicenda dello sfratto a Olbia ai danni di un gruppo di immigrati.
Il grave sfratto ai danni di sette immigrati a Olbia porta alla luce la vergognosa realtà delle condizioni di vita in cui versano i lavoratori immigrati sfruttati dai padroni della città e nell’intero paese.
Il problema principale degli immigrati riguarda l’ignobile meccanismo messo in atto dalla legge Bossi-Fini; col fatto che il contratto di soggiorno viene condizionato dall’esistenza di un contratto di lavoro, i lavoratori immigrati sono vergognosamente ricattati dal padronato e versano in uno stato di schiavitù salariata: la loro permanenza nel paese è così strettamente legata alle sporche regole del padrone, che si trova nelle condizioni di ricattarli continuamente, pena la perdita del permesso di soggiorno.
A rendere ancora più grave la situazione è la presenza dei lager razzisti chiamati Cpt (centri di permanenza temporanea), istituiti dal primo governo Prodi attraverso la legge Turco-Napolitano dove vengono rinchiusi, in condizioni disumane, gli immigrati prima di essere espulsi dal paese; anche questi diventano un’arma di ricatto ai lavoratori immigrati da parte delle imprese.
Il semi-ciarlatanesco decreto Amato-Ferrero (quest’ultimo ministro di un partito che fino a poco tempo fa si schierava dalla parte degli immigrati), mantenendo il meccanismo di sfruttamento di classe della Bossi-Fini, ha come unico scopo quello di tentare di arginare la lotta degli immigrati contro le leggi razziste e anti-operaie dei governi borghesi; scopo che sembra non riuscire, come si è visto dalle mobilitazioni determinate degli immigrati nei mesi scorsi.
L’altro aspetto della questione riguarda il problema delle case e degli affitti in nero, un altro fattore che degrada ulteriormente le condizioni di vita dei molti immigrati: come Partito Comunista dei Lavoratori avevamo posto prima delle elezioni, in cui abbiamo annullato la scheda, come soluzione a questa vergogna l’espropriazione delle case sfitte da tempo e in primo luogo delle grandi proprietà immobiliari, e il loro affidamento a nuclei familiari e a persone che ne necessitino, compresi gli immigrati, con permesso di soggiorno e non. Un’altra seria misura da adottare è l’introduzione di un canone d’affitto equo commisurato al reddito, perché è vergognoso che un lavoratore debba spendere l’interno stipendio o buona parte di esso per ottenere ciò che è un diritto!
Ma ciò che colpisce di più di tutta questa vicenda è che i poveri lavoratori sfrattati saranno rinchiusi in un Cpt e rimpatriati nei loro paesi d’origine, perdendo la speranza di una vita più dignitosa.
Esprimendo la più sentita solidarietà agli immigrati sfrattati, come Partito Comunista dei Lavoratori chiediamo e lottiamo per:
-L’ABOLIZIONE DEI CPT, VERI LAGER RAZZISTI;
-L’ABOLIZIONE DELLE LEGGI BOSSI-FINI, TURCO NAPOLITANO E DEL DECRETO AMATO-FERRERO;
-UNA SANATORIA GENERALIZZATA PER TUTTI GLI IMMIGRATI PRESENTI E IL RILASCIO A TUTTI DEL PERMESSO DI SOGGIORNO;
-L’ESPROPRIAZIONE DELLE GRANDI PROPRIETA’ IMMOBILIARI E IL LORO AFFIDAMENTO A FAMIGLIE E PERSONE CHE NE NECESSITINO, COMPRESI GLI IMMIGRATI;
-L’UNITA’ DI CLASSE TRA I LAVORATORI ITALIANI E I LAVORATORI IMMIGRATI, PERCHE’ SOLO LOTTANDO UNITI SI PUO’ VINCERE.
Ovviamente, questi obiettivi possono essere ottenuti soltanto con la lotta e l’opposizione ai governi della confindustria e delle banche, unificando le lotte in un'unica vertenza generale dei lavoratori. Solo una direzione rivoluzionaria, però, può portare queste lotte a vincere; pertanto facciamo appello a tutti i partiti politici e sindacati della sinistra: rompete col governo Prodi e con la borghesia, per unire tutte le forze in polo autonomo di classe che unifichi le lotte e rappresenti fino in fondo gli interessi dei lavoratori, per tornare a vincere. E’ la traduzione in politica dei fischi di Mirafiori e del malcontento operaio, che chiedono una sinistra che non tradisca, ciò che stiamo costruendo come Partito Comunista dei Lavoratori.
lunedì 11 giugno 2007
Marxismo e questione nazionale
Pietro Tresso (1893-1943)
1
Un esame approfondito della questione nazionale dovrà tener conto, prima di tutto, del processo attraverso il quale si è arrivati alla formazione delle “nazioni” contemporanee. Questo processo non è che un aspetto più generale dello sviluppo del capitalismo. E’ il capitalismo che ha creato le “nazioni”. Prima del capitalismo, c’erano dei gruppi etnici più o meno omogenei, più o meno differenti, ma la nazione non esiste. In Italia, per esempio, i Lombardi, i Veneti, etc…,etc.. Questi gruppi etnici avevano, tra di loro, delle similitudini nella lingua, delle tradizioni e una posizione geografica che li avevano più o meno avvicinati, attraverso i secoli, per mezzo di eventi storici comuni. Tuttavia, essi non erano ancora una” nazione”. La nazione non esisteva ancora nel 1870, al momento della fine del potere temporale dei papi. L’anno 1870 rappresenta una tappa importante nella formazione della nazione italiana, poichè essa segna l’unificazione di tutto il territorio della penisola in una sola entità amministrativa e politica. Nondimeno manca ancora quella unità effettiva creata dall’installazione e dalla dominazione del capitalismo, il quale sottomette la “nazione” tutt’intera alla medesima legge di sviluppo, che, come si è detto più in alto, è la legge dello sviluppo del capitalismo.
Ciò che è stato detto per l’Italia potrebbe essere ripetuto, aldilà, dei dati particolari, per la Francia, la Germania, etc….
2
Tuttavia il capitalismo non è solamente la forza che creò le nazioni, è anche quello che, a un certo stadio del suo sviluppo, le sottomette e le opprime. Il Trattato di Versailles ne è la prova più mostruosa. La guerra del 114-1918 ha “liberato” certi popoli dal centralismo burocratico e militare semi-feudale a cui erano sottomessi. Lo smantellamento dell’impero austro-ungarico, la creazione di una Polonia “indipendente”, etc.., ne sono un esempio. Ma nello stesso tempo, esso ha sottomesso altri popoli o delle frazioni di questi agli stati vincitori e, talvolta, a quegli stessi stati che erano sorti in nome dell’indipendenza nazionale. La Polonia, per esempio, che era una “nazione oppressa” sotto l’impero zarista è divenuta a sua volta uno stato che opprime minoranze nazionali. Lo stesso si può dire della Cecoslovacchia, etc.., etc… Nello stesso tempo, le “nazioni” liberate dall’antico centralismo burocratico-militare sono state sottomesse, in realtà, a una schiavitù mille volte più dura e pericolosa, la schiavitù dell’imperialismo moderno.Per esempio, i differenti popoli che costituivano l’antico impero austro-ungarico sono stati “liberati”, ma la loro “liberazione” ha significato nello stesso tempo lo smembramento dell’antica confederazione danubiana, la fine di quella unità economica che era nata e si era sviluppata sulla base di questa confederazione, e la sottomissione effettiva di ciascuno di questi stati, oggi “liberi”, ai banchieri di Parigi, Londra e New York. Altri popoli, al contrario, non fecero altro che passare da un padrone all’altro. Per esempio, i croati e gli sloveni che, ieri, “gemevano” sotto il giogo della monarchia austro-ungarica, maledicono oggi la dominazione della monarchia serba o quella, assai crudele, del fascismo italiano.
Questi fatti rivelano chiaramente che il capitalismo, da forza creatrice di nazioni, è divenuto una forza che le beffeggia, le opprime e le distrugge. Oggi è chiaro che il destino delle nazioni, in ciò che esse rappresentano di progressivo per l’umanità, è strettamente legato alle sorti del proletariato.
3
Se dall’Europa passiamo all’Asia o all’Africa, questa verità ci appare ancora più evidente. Tutta la lotta del capitalismo delle metropoli consiste, in fondo, a mantenere i paesi coloniali nella condizione di fornitori di materie prime e di compratori di prodotti manifatturieri. Si vuole così impedire che questi paesi costruiscano una industria nazionale moderna perché, in questo caso, non solamente essi cesserebbero d’essere delle colonie, ma diventerebbero –come dimostra il Giappone- per queste metropoli, dei concorrenti molto pericolosi sul mercato mondiale. Ma impedire a questi paesi di creare la loro propria industria moderna, significa precisamente rendere loro possibile l’accesso a una via nazionale, cioè a divenire delle nazioni.
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Il Trattato di Versailles, il trionfo della rivoluzione russa, lo sviluppo dei movimenti rivoluzionari negli altri paesi e le difficoltà particolari del movimento rivoluzionario del proletariato nelle regioni dove esistono delle minoranze nazionali, hanno reso il problema di queste minoranze infinitamente più importante di prima della guerra. La classe operaia, sia che si fondi sull’analisi dell’imperialismo, sia sotto l’obbligo necessario della sua azione politica quotidiana, ha compreso che il problema delle minoranze nazionali non solamente non le è estraneo, ma al contrario non può essere risolto che dalla direzione della società attuale e dall’instaurazione del potere proletario. Inoltre il proletariato è, non solamente, l’alfiere di suoi propri interessi di classe, ma anche dello sviluppo delle “nazioni”. Il proletariato-precisamente perché tende a risolvere ogni problema partendo dal fatto dell’esistenza delle classi- rigetta ogni oppressione nazionale ed è la sola classe che, concretamente, agisce per la liberazione delle nazioni e delle minoranze nazionali dalla schiavitù nella quale esse si trovano attualmente, e dall’asservimento all’imperialismo e agli stati che ne sono lo strumento.
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Il proletariato è la sola classe che non solamente può scrivere sulla sua bandiera: diritto di autodecisione dei popoli, ma che può agire di conseguenza. Ma affermare che i popoli hanno diritto a disporre di sé stessi significa, nei paesi dove esistono delle minoranze nazionali, che queste minoranze hanno esse stesse lo stesso diritto, cioè che esse hanno il diritto di decidere se vogliono far parte dello stato al quale sono attualmente legate, o far parte di un altro stato, o essere autonomi. Il proletariato si oppone a qualunque forma di oppressione nazionale quale questa sia e di conseguenza è per la libertà nazionale, la più illimitata. E ciò perché il proletariato è una classe i cui interessi si esprimono non sul piano nazionale ma sul piano internazionale. Il proletariato non combatte i suoi nemici in quanto tedeschi, francesi, giapponesi o altri, ma li combatte in quanto borghesi, grandi proprietari fondiari o sfruttatori d altro tipo. Per il proletariato italiano, per esempio, il borghese, che sia italiano, francese o altro, è un nemico. E più esattamente, il nemico di cui deve sbarazzarsi in primo luogo è il borghese italiano. Al contrario, il proletariato, che sia francese o tedesco, etc…, è fratello del proletariato del proletariato italiano, precisamente perché i suoi interessi di classe sono quelli degli altri paesi.
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Lo stato italiano( prima nella forma democratica, oggi quello di forma fascista) opprime tre minoranze nazionali. La minoranza slovena, la minoranza croata e la minoranza tedesca. Esso “protegge” l’Albania e “civilizza, con i metodi del generale Badoglio, la Libia, l’Eritrea, la Somalia italiana ed è sul punto di lanciarsi contro l’Abissinia.
Lasciamo da parte per un momento le colonie e abbordiamo il problema delle minoranze croata, slovena e tedesca. Queste minoranze sono state sottomesse allo stato italiano dalla forza delle armi imperialiste, giuridicamente legittimate dai trattati di Saint-Germain e di Versailles. Noi siamo contro questo trattato di briganti, dunque siamo contro l’incorporazione forzata delle minoranze croato-slovena e tedesca allo stato italiano. Dunque noi riconosciamo a queste minoranze il diritto di scegliere esse stesse dove e con chi esse vogliono far la loro strada. Inoltre, è chiaro che il fascismo conduce contro queste minoranze una lotta nazionalista ben reale. Il fascismo ha italianizzato le strade dei loro paesi. Ha imposto nomi italiani ai loro bambini. Ha imposto dei maestri di scuola italiani. Nelle chiese, le prediche devono essere fatte in italiano (la popolazione non ne capisce neanche una parola). Nei tribunali, nei municipi, etc… tutti gli atti pubblici devono essere redatti in italiano, e tutti gli avocati sono obbligati a patrocinare in italiano. Ciò vuol dire che un contadino slavo o tedesco che vuole difendere i suoi interessi in tribunale deve servirsi di avvocati che in tribunale parlano una lingua che è loro sconosciuta. Ma dovrà fare la sua deposizione pure in italiano, una lingua completamente sconosciuta. L’oppressione nazionale non potrebbe essere più manifesta. E’ così evidente che la lotta nazionale dei croato-sloveni e dei tedeschi è progressista nella misura in cui essa diventa un ostacolo alle mire dell’imperialismo italiano. Non c’ dunque alcun dubbio che il proletariato ed il suo partito, in questa lotta, devono essere dalla parte delle minoranze nazionali contro lo at imperialista italiano, che sia fascista o democratico. Non agire, anzi, significa rendersi complici dell’imperialismo italiano, significa rafforzare il suo potere, significa tradire non solamente i diritti delle minoranze nazionali ma, prima e soprattutto, gli interessi del proletariato e gli interessi della rivoluzione. Il proletariato deve appoggiare tutte le rivendicazioni di liberazione nazionale delle minoranze nazionali oppresse dallo stato italiano, compreso il loro diritto a separarsi dallo stato italiano e a camminare insieme con chi vogliono.
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Riconoscere questo diritto non implica tuttavia che il proletariato deve consigliare a queste minoranze, sempre e dappertutto, di separarsi dallo stato italiano. Al contrario, l’opposto può rivelarsi giusto. Per esempio, noi riconosciamo ai credenti il diritto di pregare il loro dio e anche quello di andare in chiesa (a patto che paghino i loro preti), ma ciò non significa che noi gli consigliamo di pregare, ne di andare in chiesa. Al contrario, noi facciamo tutto per persuaderli a non fare né l’uno né l’altro. Lo stesso vale per ciò che riguarda la separazione delle minoranze nazionali dello stato italiano. La sola guida che deve servirci in questo caso è l’interesse della rivoluzione. Se questo interesse è favorito dalla separazione delle minoranze nazionali dallo stato italiano, allora noi glielo consiglieremo e noi li aiuteremo in questa loro lotta per la realizzazione di un diritto riconosciuto; se, al contrario, gli interessi della rivoluzione italiana saranno ostacolati da questa separazione, consiglieremo alle minoranze nazionali di non separarsi dallo stato italiano. Tuttavia spetta solo a loro decidere.
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Le minoranze nazionali non si definiscono semplicemente come tali, esse costituiscono un certo insieme di classi.
In altri termini, tra le minoranze nazionali esistono le differenze di classe. Talvolta, la differenziazione delle classi coincide, o quasi, con la differenziazione nazionale. Fra gli Sloveni dell’Istria, per esempio, la massa dei contadini poveri è slovena, mentre i proprietari terrieri sono italiani. Noi dobbiamo sostenere le masse lavoratrici (operai e contadini poveri) per sviluppare la loro azione di classe contro i loro sfruttatori ( siano italiani,sloveni, croati o tedeschi) e con lo stato borghese al quale sono assoggettati, cioè lo stato italiano. Noi non sacrifichiamo le loro rivendicazioni nazionali ai loro interessi di classe ma, difendendo i loro interessi di classe, noi siamo i soli a difendere realmente, egualmente le loro rivendicazioni nazionali. Ci sono due possibilità per le quali le minoranze, attualmente facenti parte dello stato italiano, ottengano la loro liberazione nazionale. La prima sarebbe una nuova guerra imperialista in cui lo stato italiano fosse sconfitto dallo stato yugoslavo o tedesco. Tuttavia questa possibilità costituirebbe una disfatta di tutto il proletariato e per le masse lavoratrici e creerebbe, senza alcun dubbio, una situazione contraria, cioè al posto delle minoranze nazionali all’interno dello stato italiano, avremo delle minoranze nazionali italiane all’interno dello stato vincitore. Questa soluzione è qulla a cui mirano gli imperialisti stranieri e i movimenti nazionalisti piccolo borghesi esistenti, al meno potenzialmente, in seno alle minoranze nazionali slovena, croata e tedesca. Inoltre questa “soluzione” lascerebbe intatta l’oppressione di classe contro queste stesse minoranze nazionali “liberate”. L’altra soluzione, la sola, la vera soluzione, è la vittoria del proletariato italiano sulla propria borghesia. Questa soluzione apporterebbe, d’un colpo, la liberazione di classe alle masse popolari delle minoranze nazionali e il soddisfacimento di tutte le loro rivendicazioni nazionali. E’ la sola soluzione che noi dobbiamo indicare alle minoranze nazionali assoggettate allo stato italiano. E’ l’unica soluzione alla quale dobbiamo lavorare. Ma in che modo? “Smascherando implacabilmente l’oppressione borghese della nazione dominante e conquistando la fiducia del proletariato ( e delle masse lavoratrici povere – Blasco) della nazionalità oppressa” (Trotskij).
“ Ogni altra via equivarrebbe a sostenere il nazionalismo reazionario della borghesia imperialista della nazione dominante, contro il nazionalismo rivoluzionario democratico della nazione oppressa”( Trotskij).
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Oltre la questione delle minoranze nazionali, noi abbiamo avuto in Italia, dal 1919 al 1921, degli altri movimenti autonomisti e separatisti: I due movimenti più caratteristici furono il movimento siciliano e sardo. Quali furono i loro caratteri?
Il movimento separatista siciliano era diretto da dei grandi proprietari terrieri e dalla grande borghesia siciliana. Questo movimento voleva separarsi dall’Italia non perché intendeva spezzare i legami burocratici e di dipendenza con lo stato borghese italiano, ma perché temeva che la rivoluzione scoppiasse in Italia. La grande borghesia siciliana tentò di sfruttare il malcontento delle masse operaie e contadine di fronte all’oppressione della borghesia continentale e dello stato italiano per dirottarli in una lotta contro la rivoluzione proletaria italiana.
Il movimento autonomista e separatista sardo, al contrario, si proponeva di spezzare i legami con lo stato italiano perché vedeva in questo l’ostacolo maggiore alle realizzazioni delle rivendicazioni sociali e culturali delle masse popolari della Sardegna.
Il primo fu dunque un movimento puramente reazionario. Il secondo, al contrario, fu un movimento rivoluzionario democratico. Quale doveva essere il nostro orientamento di fronte ai due movimenti? Nel primo caso, bisognava smascherare il separatismo della grande borghesia siciliana quale nuovo modo di sfruttare le masse operaie e contadine della Sicilia. Nel secondo caso, bisognava dimostrare alle masse della Sardegna che il loro separatismo non poteva che condurli alla disfatta e che il loro destino era strettamente legato a quello del proletariato italiano. Per raggiungere questo risultato bisognava pertanto, nei due casi, dimostrare con i fatti, tanto alle masse operaie e contadine della Sicilia e quelle della Sardegna, che il proletariato difendeva realmente i loro interessi e le loro aspirazioni contro l’oppressione burocratica-militare e culturale sia dello stato e della borghesia italiana, sia delle cricche semi-feudali siciliane e sarde.
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Per quanto riguarda gli errori e i crimini degli staliniani in quest’ambito, sarebbe necessario uno studio a parte. Tre cose, tuttavia, possono essere sottolineate:
1. gli staliniani hanno tradito la formula di Lenin: diritto delle minoranze nazionale all’autodecisione, compreso il diritto alla separazione dallo stato, con: “separatevi dallo stato”. Come se fosse possibile, per queste minoranze, separarsi dallo stato oppressore senza passare sotto l’oppressione di un altro imperialismo.
2. Essi hanno spezzato, il legame che esiste tra il problema della liberazione nazionale e quello della liberazione sociale del proletariato, cioè il problema della rivoluzione proletaria.
3. Essi hanno messo nello stesso sacco i movimenti separatisti reazionari e i movimenti rivoluzionari democratici. Facendo ciò, essi sono caduti in una accumulazione di aberrazioni tradendo gli interessi e le rivendicazioni delle minoranze nazionali e favorendo il gioco dei briganti imperialisti dell’uno o dell’altro campo.
1935
Pietro Tresso, militante nel P.S.I insieme aGramsci, fu tra i fondatori del Pc d’I, prese parte al IV congresso dell’Internazionale Comunista. Membro dell’Ufficio politico,nel 1928. Nel 1930 fu espulso dal partito, ormai sottomesso a Stalin, insieme ad Alfonso Leonetti, e Carlo Ravazzoli perché si opponeva a Togliatti che sosteneva che che il fascismo era prossimo al crollo e si doveva organizzare il partito alla presa del potere.Ciò significava il rientro dei militanti nello stato italiano. I tre contestarono l’analisi togliattiana sullo stato del regime e respinsero la tattica sciagurata del “socialfascismo”: attaccare i partiti intermedi e i socialisti, definiti “socialfascisti”. I tre sostenevano la tattica del fronte unico, abbandonata dagli stalinisti. Combattente nella Resistenza francese, fu assassinato dai sicari stalinisti.
Scritto di Trotsky sul materialismo dialettico
da "In difesa del marxismo"
La dialettica non è una finzione, né una mistica, ma la scienza delle forme del nostro pensiero, quando questo pensiero non si limita alle preoccupazioni della vita quotidiana ma tenta di apprendere dei processi più durevoli e più complesse. La dialettica sta alla logica formale come le matematiche superiori stanno alle matematiche elementari.
Qui cercherò di delimitare, in modo sintetico, l’essenziale della questione. Nella logica aristotelica, il sillogismo semplice parte da A=A. Questa verità è accettata come un assioma per una quantità di azioni pratiche umane e per delle generalizzazioni elementari. Ma in realtà, A non è uguale ad A. E’ facile da dimostrare, senza neanche guardare minuziosamente queste due lettere: esse differiscono sensibilmente. Ma, diranno, non si tratta della grandezza e della forma delle lettere, è solamente il simbolo di due grandezze uguali, per esempio un kg di zucchero. L’obiezione non vale niente: in realtà un kg di zucchero non è mai uguale a un kg di zucchero; due bilance più precise manifestano una differenza. Si obietterà: tuttavia un kg di zucchero è uguale a se stesso. E’ falso: tutti i corpi cambiano constantement di dimensione, di peso, di colore, etc., e non sono mai uguali a se stesse. Il sofista replicherà, allora, che un kg di zucchero è uguale a se stesso “in un istante dato”. Anche senza parlare del valore prastico assai dubbioso di un tale “assioma”, questo non resiste alla critica teorica. Come comprendere la parola “istant”? Si tratta di una infinitesimale frazione di tempo, il kg di zucchero subirà inevitabilmente dei cambiamenti durante questo “istante”. Oppure l’istante non è altro che una pura astrazione matematica, in altri termini rappresentano un tempo nullo? Ma tutto ciò che vive esiste nel tempo; l’esistenza non è che un processo d’evoluzione ininterrotto; il tempo è dunque l’elemento fondamentale dell’esistenza. L’assioma A=A significa dunque che ogni corpo è eguale a se stesso quando non cambia più, cioè quando non esiste.
A prima vista può sembrare che queste “sottigliezze” non siano di alcuna utilità. Ma in realtà, esse hanno una importanza decisiva. L’assioma A=A è, da una parte, la radice di ogni sapere, e, dall’altra parte, la radice dei nostri errori. Non si può impunemente usare l’assioma A=A che nei limiti determinati. Quando la trasformazione qualitativa di A è trascurabile per il compito che ci interessa, allora noi possiamo ammettere che A=A. E’ il caso per esempio del venditore e del compratore di un kg di zucchero. Allo stesso modo consideriamo la temperatura del sole. Così si considera recentemente il potere d’acquisto del dollaro. Ma i cambiamenti quantitativi, al di là di un certo limite, divengono qualitativi. Il kg di zucchero bagnato d’acqua o di essenza cessa di essere un kg di zucchero. Il dollaro, sotto l’azione di un presidente, cessa di essere un dollaro. In tutti gli ambiti della conoscenza, ivi compresa la sociologia, uno dei compiti più importanti consiste nel determinare l’istante critico in cui la quantità si trasforma in qualità.
Ogni operaio sa che è impossibile fare degli oggetti assolutamente identici. Per la lavorazione dei coni per lo scorrimento delle sfere, si ammette che un certo scarto è inevitabile, ma che si deve rimanere in certi limiti ( è ciò che chiamiamo tolleranza). Tanto è che se si mantengono dei limiti di tolleranza, i coni sono considerati come eguali (A=A). Se si superano questi limiti, la quantità si trasforma in qualità; detto altrimenti il cono non vale nulla o è inutilizzabile.
Il nostro pensiero scientifico non è che una parte della nostra attività pratica generale, ivi compresa la tecnica. Per i concetti c’è pure della “ tolleranza”, stabilita non dalla logica formale, per la quale A=A, ma dall’assioma scaturito dall’assioma secondo cui tutto cambia. Il “buon senso” si caratterizza per il fatto che supera sistematicamente le norme di tolleranza stabilite dalla dialettica.
Il pensiero volgare opera con dei concetti quali capitalismo, morale, libertà, stato operaio, che esso considera come delle astrazioni immutabili, giudicando che il capitalismo è il capitalismo, la morale è la morale etc. Il pensiero dialettico esamina le cose e i fenomeni nel loro perpetuo cambiamento. Di più, secondo le condizioni materiali di questi cambiamenti, essa determina il punto critico aldi la del quale A cessa di essere A, e lo Stato operaio cessa diessere uno Stato operaio.
Il vizio fondamentale del pensiero volgare consiste nel soddisfarsi dell’impronta immobile della realtà che, invece, è in eterno movimento. Il pensiero dialettico precisa, corregge, concretizza costantemente i concetti e conferisce loro una ricchezza e una flessibilità che lo avvicinano, fino a un certo punto, ai fenomeni viventi. Non il capitalismo in generale, ma il capitalismo dato, ad uno stadio determinato dello sviluppo storico. Non lo stato operaio in generale, ma quel particolare stato operaio, in un paese arretrato, accerchiato dall’imperialismo.
Il pensiero dialettico sta al pensiero volgare come il cinema sta alla fotografia. Il cinema non rigetta le foto, ma ne combina una serie secondo le leggi mdel movimento: La dialettica non rigetta il sillogismo, ma insegna a combinare il sillogismo in modo da avvicinare la nostra conoscenza alla realtà sempre in movimento e quindi in cambiamento. Nella Logica, Hegel stabilisce una serie di leggi: il cambiamento della quantità in qualità, lo sviluppo attraverso le contraddizioni, il conflitto della forma e del contenuto, l’interruzione della continuità, il passaggio dal possibile al necessario, etc., che sono così importanti per il pensiero dialettico quanto il sillogismo è importante per dei compiti più elementari.
Hegel ha scritto prima di Darwin e di Marx. Grazie all’impulso possente dato al pensiero dalla Rivoluzione francese, Hegel ha anticipato in filosofia il movimento generale della scienza. Ma, poiché, per precisare, si trattava di una geniale anticipazione, essa ha preso in Hegel un carattere idealista. Hegel operava con delle ombre ideologiche, come se esse fossero la realtà suprema. Marx ha mostrato che il movimento delle ombre ideologiche non fa che riflettere il movimento reale dei corpi materiali:
Noi chiamiamo la nostra dialettica materialistica , poiché le sue radici non sono nel cielo (né nelle profondità del nostro “libero spirito”), ma nella realtà obiettiva, nella natura. La coscienza è nata dall’incosciente, la psicologia dalla fisiologia, il mondo organico dall’inorganico, il sistema solare dalla nebulosa. A ogni livello della scala dello sviluppo, i cambiamenti quantitativi sono divenuti qualitativi. Il nostro pensiero, compreso quello dialettico, non è che una delle manifestazioni della materia che cambia. Non c’è posto, in questa meccanica, ne per Dio, né per il diavolo, né per l’anima immortale, né per le norme eterne del diritto e della morale. La dialettica del pensiero, procedendo dalla dialettica della natura, ha di conseguenza un carattere interamente materialista:
Il darwinismo, che spiegava l’origine delle specie con la trasformazione del quantitativo in qualitativo, ha significato il trionfo della dialettica al livello di tutta la natura organica. Un altro grande trionfo fu la scoperta della tavola dei pesi atomici, poi quella della trasformazione degli elementi gli uni negli altri.
A queste trasformazioni (delle specie, degli elementi, etc.) è strettamente legata la questione della classificazione, egualmente importante nelle scienze naturali e nelle scienze sociali. Il sistema di Linneo (XVII sec.), fondandosi sulla immutabilità delle specie, si limitava all’arte di descrivere e di classificare le piante secondo il loro aspetto esteriore. Il periodo infantile della botanica è analogo a quello della logica, perché le forme del nostro pensiero si sviluppano, come tutto ciò che è vivente. Rigettando deliberatamente l’idea dell’immutabilità delle specie, e attraverso lo studio della storia dell’evoluzione delle piante e della loro conformazione, che si è potuto gettare le basi di una classificazione realmente scientifica.
Marx che a differenza di Darwin era un dialettico cosciente, ha trovato le basi di una classificazione scientifica delle società umane nello sviluppo delle forze produttive e la struttura dei rapporti di proprietà, che costituiscono l’anatomia della società. Non è che utilizzando il metodo di Marx che si può utilizzare il concetto di stato operaio e il momento della sua rovina.
In tutto ciò, noi lo vediamo non c’è niente di “metafisico” o di “scolastico”, come affermano gli ignoranti soddisfati di se stessi. La logica dialettica esprime le leggi del movimento del pensiero scientifico contemporaneo. Al contrario, la lotta contro la dialettica materialista riflette un lontano passato, il conservatorismo della piccola borghesia, l’arroganza dei mandarini universitari e… l’ombra di una speranza nell’al di là.
venerdì 8 giugno 2007
TUTTI A ROMA, IL 9 GIUGNO
PER UNA GRANDE MANIFESTAZIONE POPOLARE E DI MASSA
CONTRO BUSH E IL SUO ALLEATO PRODI
Il 9 giugno giunge a Roma mister Bush, il protagonista numero uno delle politiche di guerra che infestano il mondo col loro carico di crimini e di orrori nel nome della “democrazia” e della “pace”.
Come in tanti altri paesi, anche in Italia, il presidente USA troverà ad accoglierlo una grande manifestazione popolare di rigetto dell’imperialismo americano e delle sue politiche criminali. Come in tanti altri paesi del mondo, la manifestazione antiBush denuncerà con chiarezza le responsabilità del suo governo locale alleato.
Il governo Prodi-D’Alema-Parisi – governo della settima potenza capitalista del mondo - è complice dell’amministrazione americana. Tutta la sua politica estera vuole concordare con il governo Usa una comune gestione delle politiche militari e di guerra: e ciò che viene chiamato “multilateralismo”. E’ una politica che mira ad usare l’alleanza con gli USA come leva degli interessi del capitalismo italiano nelle aree strategiche del mondo per garantirgli una fetta di torta nella spartizione internazionale delle zone d’influenza, delle materie prime, della manodopera a basso costo. Per questo l’Italia è in Libano, in Afghanistan, nei Balcani: non per la “pace”, ma per il profitto delle grandi imprese e delle banche. La stessa legge del profitto che sul fronte interno colpisce i salari, sfrutta la precarietà, impone il taglio a scuola, sanità e pensioni, al fine di assicurare al capitale il grosso delle risorse pubbliche e di finanziare le spese militari. Spese militari che col governo di Centrosinistra sono aumentate del 13%.
Quelle sinistre italiane (PRC – PdCI – Sinistra Democratica) che, tradendo i movimenti pacifisti e antimperialisti, hanno votato le missioni di guerra e l’aumento delle spese militari lo hanno fatto per la stessa ragione per cui hanno votato finanziarie antioperaie e antipopolari: la difesa dei propri ministeri, dei propri sottosegretari, della Presidenza della Camera. Per questo pretendevano che la manifestazione antiBush risparmiasse Prodi. Per questo la loro pretesa grottesca è stata respinta.
La manifestazione popolare, pacifica e di massa del 9 giugno a Roma, sarà al tempo stesso contro Bush e contro Prodi. Su questa base è possibile e auspicabile la più ampia unità di tutte le forze disponibili della sinistra italiana, del mondo del lavoro e dei movimenti di lotta di questi anni. Fuori da questa chiarezza c’è solo doppiezza e trasformismo: che sono per noi inaccettabili.
Il Movimento per il Partito Comunista dei lavoratori è impegnato in tutta Italia nella promozione della grande manifestazione di Roma, dove saremo presenti in forze dietro lo striscione
“No a un governo di guerra. Per una sinistra che non tradisca”.
La costruzione di una sinistra coerentemente anticapitalista è indispensabile non solo per ricondurre la lotta contro la guerra alla lotta contro il capitalismo che la produce: ma anche per difendere l’autonomia dei movimenti dalle manovre di chi vorrebbe piegarli agli interessi del proprio governo, del proprio imperialismo, e … delle proprie carriere.
sabato 2 giugno 2007
La deriva razzista dell’etno-nazionalismo
La discriminazione razzista è diretta conseguenza dell’art. 133 del regolamento interno del consiglio regionale che stabilisce che ogni dipendente della regione deve conoscere la lingua sarda per poter “quantomeno comprendere il consigliere regionale che ha diritto di rivolgersi a lui in lingua sarda, e che intenda di usare tale diritto”. Un aberrante privilegio. Quando il consigliere, ispirato dall’etno-nazionalismo e dal “sentimento dell’identità”, si rivolge ad un dipendente nella sua variante locale, deve trovare a disposizione dei dipendenti in grado di comprendere ogni variante locale.
Gli etno-nazionalisti non sono inclini alla fatica dell’analisi, preferiscono il sentimento e, così, gettano, alla rinfusa, nel loro armamentario teorico riferimenti opposti in modo assoluto all’etno-nazionalismo. Così è successo a Emilio Lussu, evocato solamente perché nato in Sardegna. Emilio Lussu, negli anni trenta, proponeva un vicepresidente ebreo per una ipotetica Confederazione del mediterraneo occidentale. Un altro esempio, in pieno delirio i tromboni dell’ “autonomismo democratico”, ormai infettati dall’etno-nazionalismo, hanno messo R. Soru sullo stesso piano di Emilio Lussu.
Tutte le forze democratiche della Sardegna si devono mobilitare perché al cittadino tedesco, operaio residente in Teulada, possa partecipare al concorso pubblico da cui è stato escluso e che venga abolito l’aberrante art.133 del regolamento del consiglio regionale.
Questo caso illustra molto bene la degradazione culturale ed etica dei consiglieri regionali.
Consiglieri regionali, colonizzati eravate colonizzati siete rimasti!
Sezione provinciale di Sassari del Movimento costitutivo per il Partito Comunista dei Lavoratori.
31 maggio 2007