domenica 30 settembre 2007

Sinistra democratica, tertium non datur

di Gian Franco Camboni (sez. Ozieri PCL) 28 agosto 2007

Sul sito aprileonline le militanti e i militanti di Sinistra democratica dibattono sul “socialismo nel XXI secolo”, muovendo dalla convinzione che devono essere superate “le storiche fratture del XX secolo tra comunisti e socialisti italiani”(aprileonline,31-7-07).
Le “storiche fratture tra comunisti e socialisti italiani” sono una delle manifestazioni della reazione nei partiti socialisti contro il tradimento, nell’agosto del 1914, dei deliberati dell’Internazionale operaia socialista sulla questione della guerra: la Risoluzione sul militarismo e i conflitti internazionali del congresso di Stoccarda (1907) e il Manifesto del congresso di Basilea (1912), entrambi portano le firme Lenin e Rosa Luxemburg.
In questi due testi veniva definita la politica proletaria contro la guerra per prevenirla oppure, qualora scopiasse, per trasformare il malcontento verso di essa in lotta per il rovesciamento dei propri governi e per la conquista del potere:
1) “il congresso conferma le risoluzioni dei precedenti congressi internazionali concernenti l’azione contro il militarismo e l’imperialismo e ricorda che l’azione contro il militarismo non può essere separata dall’azione complessiva contro il capitalismo” (Stoccarda);
2) “Queste guerre sono il risultato della concorrenza incessante provocata dagli armamenti del militarismo, che è uno degli strumenti principali della dominazione economica della borghesia e dell’asservimento economico e politico della classe operaia” ( Stoccarda);
3) “Le guerre sono favorite da pregiudizi nazionalistici che sono coltivati sistematicamente nell’interesse delle classi dominanti, al fine di distogliere la massa proletaria dai suoi doveri di classe e dai suoi doveri di solidarietà internazionale” ( Stoccarda);
4) “Se una guerra minaccia di scoppiare, è dovere della classe operaia nei paesi interessati, è dovere dei loro rappresentanti nei parlamenti fare tutti gli sforzi per impedire la guerra con tutti i mezzi che sembrano loro i più adatti e che variano naturalmente secondo l’acutezza della lotta delle classi e la situazione politica generale. Nel caso in cui la guerra nondimeno scoppiasse, hanno il dovere d’interporsi per farla cessare immediatamente e di utilizzare con tutte le loro forze la crisi economica e politica creata dalla guerra per mettere in agitazione gli strati più profondi e precipitare la caduta della dominazione capitalistica” (Stoccarda).
Nella Risoluzione di Basilea fu precisata con riferimenti storici la concezione dell’utilizzo della crisi “per precipitare la caduta della dominazione capitalista”:
“Che si ricordino che la guerra franco-tedesca ha provocato l’esplosione rivoluzionaria della Comune, che la guerra russo-giapponese ha messo in movimento le forze rivoluzionarie dei popoli della Russia; si ricordino che il malessere provocato dall’aumento delle spese militari e navali ha dato ai conflitti sociali in Inghilterra e nel continente una acutezza inabituale e scatenato scioperi formidabili”. I capi dei principali partiti dell’Internazionale furono al servizio delle proprie borghesie durante la guerra e, nell’immediato dopoguerra, fecero di tutto per ostacolare nei propri paesi il “precipitare della dominazione capitalista”, favorendo così la reazione e la vittoria del fascismo e del nazismo.
Le compagne e i compagni di Sinistra democratica che vogliono “superare le storiche fratture fra comunisti e socialisti italiani” non vedono che la pratica coerente con quanto approvato nei congressi di Stoccarda e Basilea e il loro tradimento non possono essere conciliati e superati. La prima nega il secondo: tertium non datur. O si sceglie la prima oppure si tradisce.
Quando Lenin, nel pieno del massacro imperialista, sintetizzò la politica proletaria nella formula “trasformare la guerra imperialista in guerra civile”, precisò il principio dell’utilizzazione della crisi prodotta dalla guerra per “precipitare la caduta della dominazione capitalista”. La politica proletaria sulla guerra imperialista si fondava sul contenuto specifico del militarismo capitalista che Rosa Luxemburg fissò nella relazione su militarismo e colonialismo al congresso internazionale di Parigi (1900): “questa politica del militarismo si è generalizzata e accentuata nella forma della politica mondiale dell’imperialismo. Non è più soltanto quell’armamento formidabile che costituisce la preparazione a una guerra possibile tra due o tre stati vicini; è un militarismo che fa correre costantemente a nuove conquista coloniali tutte le grandi nazioni del mondo; che trasforma gli Stati Uniti d’America in uno stato esclusivamente militarista, che fa lo stesso per l’Inghilterra; e mentre finora la Germania , quasi da sola, vedeva accrescersi incessantemente il suo esercito e la sua flotta, questa politica è diventata la parola d’ordine del mondo intero”. Sette anni dopo, il congresso di Stoccarda ribadì il nesso immanente e necessario tra militarismo e capitalismo per mettere in guardia dalle revisioni opportuniste, ricordando “che l’azione contro il militarismo non può essere separata dall’azione complessiva contro il capitalismo”.
In armonia con questa concezione maggioritaria nella Seconda Internazionale prima dell’agosto 1914, Lenin caratterizzò la fase imperialistica del capitalismo come “epoca delle guerre e delle rivoluzioni” e non esiste alcun dato politico del XX e del XXI che può smentirlo. Si tratta di qualcosa di non previsto nel primo testo programmatico del socialismo scientifico? No. Nel Manifesto del Partito Comunista viene messa in evidenza la dinamica esponenziale, propria delle crisi capitaliste:
“con quale mezzo la borghesia riesce a superare la crisi? Da un lato con la distruzione di una gran quantità di forze produttive; dall’altro, con le conquiste di nuovi mercati e lo sfruttamento più intenso di quelli esistenti. Con quale mezzo dunque?Preparando crisi più estese e più violente e diminuendo i mezzi per prevenire le crisi stesse”. L’internazionalizzazione della concorrenza capitalista produce necessariamente la guerra ma, anche, le rivoluzioni. Le guerre della borghesia imperialista non sono come le guerre rivoluzionarie della borghesia francese che assestarono alle potenze assolutiste feudali europee colpi tali dai quali non si ripresero. Le guerre imperialiste - con o senza la maschera ipocrita della Società delle Nazioni, ieri; con o senza la maschera ipocrita dell’ONU, oggi- sono un atto crudele contro la marcia dell’umanità verso superiori forme di vita.

Al contrario dei capi della Seconda Internazionale, Lenin armò il proletariato dell’unica politica realistica da adottare contro i governi che preparavano la guerra o contro quelli che la facevano: rovesciarli e istituire la dittatura del proletariato rivoluzionario. Sempre Lenin, nel pieno della guerra, si batté per applicare la politica militare proletaria verso l’esercito di leva:
“ La militarizzazione invade oggi tutta la vita sociale…..Che faranno contro di ciò le donne proletarie? Si accontenteranno di maledire ogni guerra e tutto ciò che è inerente alla guerra ed esigere il disarmo? Mai le donne di una classe rivoluzionaria accetteranno una funzione così vergognosa. Esse diranno ai loro bambini: ‘Presto tu sarai grande. Ti daranno un fucile: Prendilo e impara a maneggiare le armi. E’ una scienza necessaria ai proletari. Ma non per sparare sui tuoi fratelli, gli operai degli altri paesi, - come si fa nella guerra attuale, e come ti insegnano di fare i traditori del socialismo - ma per mettere fine allo sfruttamento , alla miseria e alle guerre non formulando pii desideri, ma riportando la vittoria sulla borghesia” ( Lenin, Il Programma militare della rivoluzione proletaria, 1916).I termini della contraddizione del militarismo nel suo rapporto con la politica proletaria furono fissati da F. Engels in polemica col socialismo piccolo borghese:
“L’ esercito è diventato fine precipuo dello stato e fine a se stesso; i popoli non esistono più se non nel fornire e nutrire i soldati. Il militarismo domina e divora l’Europa. Ma questo militarismo reca in sé anche il germe della propria rovina. La concorrenza reciproca dei singoli
stati li costringe da una parte ad impiegare ogni anno più denaro per esercito, marina, cannoni, ecc., e quindi ad affrettare sempre di più la rovina finanziaria; dall’altra a prendere sempre più sul serio il servizio militare obbligatorio per tutti e con ciò, in definitiva, a familiarizzare tutto il popolo con l’uso delle armi e a renderlo quindi capace di far valere ad un certo momento la sua
volontà di fronte ai signori della casta militare che esercitano il comando. E questo momento si presenta non appena la massa del popolo, operai delle campagne e delle città e contadini ha una sua volontà. A questo punto l’esercito dei principi si muta in un esercito di popolo; la macchina si rifiuta di servire, il militarismo soggiace alla dialettica del suo proprio sviluppo. Ciò che non poté compiere la democrazia borghese nel ’48, precisamente perché era borghese e non proletaria, cioè dare alle masse lavoratrici una volontà il cui contenuto corrisponda alla loro condizione di classe: questo sarà infallibilmente realizzato dal socialismo. E ciò significa far saltare in aria dall’interno il militarismo e, con esso, tutti gli eserciti permanenti”. I soviet dei soldati dell’ex esercito zarista, i soviet dei marinai di Kiel costituiscono una delle conferme della contraddizione esposta da Engels. Non è un caso che dopo l’impiego disastroso dell’esercito di leva in Vietnam, i circoli dirigenti della borghesia degli USA presero la decisione di adottare il modello di esercito professionale. Alla prova del fuoco, l’esercito professionale USA e la dottrina militare di Rumsfeld prendono colpi in Iraq e in Afghanistan; i soldati disertano, si suicidano (99 nel 2006, ventotto dei quali mentre erano in Iraq e Afhganistan) e tentano di suicidarsi (948 nel 2006), come avveniva anche nel precedente esercito di leva. Negli eserciti delle classi dominanti il fattore morale è inesistente; al contrario, è il motore delle armate rivoluzionarie come si può constatare nella storia delle rivoluzioni e delle guerre civili in Europa -dalla rivoluzione dei Paesi bassi all’Ottobre rosso. Proprio perché il fattore morale è il loro motore le armate rivoluzionarie sono state sempre invincibili.
Dopo che la socialdemocrazia e Stalin con le loro politiche sciagurate portarono alla vittoria del fascismo hitleriano, Trotsky fu l’unico a mettere in guardia il movimento operaio sulle probabilità maggiori di una guerra d’aggressione all’Urss. Trotsky previde che la casta usurpatrice del primo stato operaio - nazionalizzazione dell’industria, delle banche, dell’agricoltura, monopolio del commercio estero, pianificazione economica, repressione della ex classe dominante e politica estera di mobilitazione rivoluzionaria - si sarebbe alleata con uno dei due blocchi dell’imperialismo nel prossimo conflitto. La politica di Stalin, dallo sciagurato patto con Hitler alla svolta verso l’imperialismo inglese e statunitense, confermerà ampiamente quel pronostico. Ancora una volta la guerra era la “questione chiave della politica”(Trotsky).
Per il fondatore dell’Armata Rossa, come la prima guerra imperialista contribuì in modo decisivo allo tsunami rivoluzionario che dal suo epicentro petroburghese travolse tutta l’Europa imperialista, anche il secondo conflitto avrebbe accelerato i tempi per le esplosioni rivoluzionarie. Tre erano i compiti del proletariato rivoluzionario:
1) trasformare la guerra imperialista in guerra civile in entrambi i blocchi rivali, adottando le parole d’ordine specifiche per ogni situazione;
2) difendere l’Urss da qualsiasi aggressore e trasformare la guerra di difesa della patria socialista in rivoluzione politica antiburocratica;
3) porsi alla testa delle rivoluzioni anticoloniali in Asia, Africa e America latina per farle transcrescere nella rivoluzione permanente, “il solo programma vero per la liquidazione di ogni oppressione, sociale o nazionale”(Trotsky).
Trotsky e Jim Cannon difesero la politica militare proletaria per gli eserciti di leva di entrambi i blocchi imperialisti con la specifica tattica e specifiche parole d’ordine contro quelle minoranze della IV Internazionale che sostenevano un astratto disfattismo rivoluzionario, dannoso nella lotta per l’egemonia sia nei movimenti armati degli operai e dei contadini in Francia, in Italia, nei Balcani ed in Grecia contro l’occupazione nazista e i regimi preesistenti, sia nei movimenti rivoluzionari anticoloniali. La casta usurpatrice - conoscendo le sue doti di stratega rivoluzionario e condottiero di eserciti rivoluzionari nella più grande guerra civile conosciuta finora ed essendo consapevole della funzione che Trotsky e la IV Internazionale avrebbero potuto avere nelle esplosioni rivoluzionarie - migliorò la tattica dell’assassinio che riuscì, disgraziatamente per le masse oppresse del mondo. Il socialismo scientifico, al contrario di quanto affermano i mistificatori, conosce ed è pienamente consapevole del ruolo che ricoprono gli individui nella storia umana. La teoria della necessità del partito deriva da questa conoscenza e da questa consapevolezza.
Le “fratture storiche fra comunisti e socialisti italiani,” che i firmatari di “Sinistra democratica si apra verso l’innovazione del pensiero”desiderano superare, sono insuperabili, ineliminabili. Qualora in qualsiasi parte del mondo le masse rivoluzionarie preso il potere, daranno le lezioni che si meritano ai controrivoluzionari, i traditori del socialismo difenderanno la controrivoluzione come hanno fatto sempre.
Allora “quale socialismo nel XXI secolo”, quello di “Nenni, Brandt, Saragat, Pertini, Lina Merlin” ( Gianluca Scroccu-aprileonline-23 agosto 2007), oppure quello di Lenin, Rosa Luxemburg e Trotsky?
Un’ultima osservazione. Il compagno Giuliano Garavini auspica un’iniziativa politica al fine di “evitare che si ripeta il rito delle due piazze”(aprileonline, 11-8-2007). Dia l’esempio e venga nella piazza della sinistra che non tradisce, così si risolve questo problema.
All’opposizione contro il governo Prodi o al governo con Prodi. Tertium non datur

martedì 18 settembre 2007

BASTA SACRIFICI! NO ALL’ACCORDO DEL 23 LUGLIO

Il pronunciamento F.I.O.M. contro l'accordo del 23 luglio su pensioni e precariato apre una breccia preziosa.
Sono vent'anni che tutti i governi, di centro-destra e di centro-sinistra, chiedono sacrifici ai lavoratori, colpendo in primo luogo la previdenza pubblica e le condizoni del lavoro. Il risultato è che i salari dei lavoratori sono in picchiata, le loro pensioni future sono colpite, milioni di giovani supersfruttati non sanno come campare. Mentre nel solo 2005 le prime venti imprese italiane hanno guadagnato 41milardi di profitti netti (largamente esentasse). Uno scandalo.
Ora il governo Prodi, sostenuto dalle sinistre cosiddette "radicali" (sic), vorrebbe imporre un innalzamento dell'età pensionabile addirittura maggiore di quello predisposto da Berlusconi e la salvaguardia della legge 30 ( Maroni), contro cui hanno lottato in passato milioni di lavoratori. E' vergognoso che le burocrazie sindacali CGIL-CISL-UIL abbiano siglato quest'accordo contro gli operai e contro i giovani, ad esclusivo vantaggio degli industriali e dei banchieri, a cui l'ultima finanziaria votata da tutte le sinistre ha già regalato 5 miliardi di euro (10 a regime).
Cosa aspettano le sinistre ministeriali, oggi "critiche", a rompere con un governo confindustriale? Altro che piccoli emendamenti letterari all'accordo come foglia di fico per votarlo, conservare le poltrone e tenersi amico Epifani! La politica degli industriali non va emendata, va respinta. Ai sacrifici bisogna dire "BASTA"!

Invitiamo tutti i lavoratori e lavoratrici a votare NO all'accordo Prodi-Epifani-Montezemolo in ogni fabbrica e luogo di lavoro.

Formiamo ovunque comitati unitari per il NO all'accordo e avviamo una campagna capillare di controinformazione e denuncia!
E' necessaria una grande assemblea nazionale di delegati sindacali, democraticamente eletti nei luoghi di lavoro, che promuova lo sciopero generale e rompa definitivamente con la lunga stagione della concertazione e segni una svolta di fondo del movimento operaio.
Proponiamo che dopo 20 anni di negoziati a perdere sulla piattaforma del padronato (e sulla pelle dei lavoratori), si apra una vertenza generale di lotta che unisca lavoratori, precari, disoccupati sulle loro rivendicazioni ed esigenze, contro le classi dominanti e i loro governi.

C'è la forza per tornare a vincere, ma alla sola condizione che il mondo del lavoro ritrovi l'indipendenza delle proprie ragioni, ribellandosi alla dittatura degli industriali e dei banchieri.

Il Partito Comunista dei Lavoratori, che terrà a gennaio il proprio congresso fondativo, si pone al servizio di questa causa.

Movimento per il Partito Comunista dei Lavoratori
Direzione nazionale – via Marco Aurelio 7 – 20127 Milano – tel.388/6184060

info@pclavoratori.it

18 Luglio 2007

domenica 16 settembre 2007

Occupare la Palmera!

Lunedì 17 i militanti delle sezioni provinciali di Olbia e di Sassari del Partito Comunista dei Lavoratori parteciperanno alla manifestazione dei lavoratori della Palmera presso il nuovo ospedale di Olbia. nel corso della manifestazione sarà distribuito questo volantino:


SOLO L’OCCUPAZIONE DELLA FABBRICA PUO’ SALVARE IL POSTO DI LAVORO E SCONFIGGERE IL PADRONE

I padroni speculatori hanno preso la definitiva decisione, com’era prevedibile, di chiudere la storica fabbrica olbiese per dare il via alla loro speculazione immobiliare, con l’intenzione di mandare a casa i lavoratori della Palmera.

Ogni proposta di un nuovo imprenditore disposto ad acquistare la fabbrica è una bufala per i lavoratori: se fosse vero che un nuovo padrone prendesse in mano lo stabilimento, lo farebbe al prezzo di pesanti licenziamenti. In ogni caso un nuovo imprenditore non è quello che vogliono i Palau, interessati a vendere i preziosi terreni, e ogni proposta del genere ha come unico scopo quello di distogliere i lavoratori dalla lotta.

Da ciò risulta evidente che i lavoratori non possono contare né sul “rispetto degli accordi” da parte dei padroni (il cui unico scopo è quello di realizzare cospicui profitti alle spalle dei lavoratori), né sulla speranza di un nuovo imprenditore, né tantomeno sull’aiuto dei vari Soru e Giovannelli e delle istituzioni, garanti della proprietà del padrone.

I lavoratori, per non perdere il posto di lavoro e per vincere la loro lotta, devono contare solamente su loro stessi.

L’unica forma di lotta possibile e realistica è quella dell’occupazione della fabbrica, prima che i Palau procedano con lo smantellamento dell’azienda portando via i macchinari. E’ soltanto questa forma di lotta che può arrestare gli attacchi del padrone e dare credibilità alla rivendicazione della nazionalizzazione sotto controllo operaio della Palmera, l’unica soluzione in grado di salvare il posto di lavoro.

L’esperienza della crisi della Palmera ha dimostrato come la pratica della concertazione, portata avanti dalle dirigenze sindacali confederali, sia totalmente fallimentare per i lavoratori, e unicamente vantaggiosa per i padroni: perciò chiediamo ai sindacati di abbandonare l’imbroglio della concertazione, e procedere all’occupazione, l’unica lotta in grado di evitare la perdita del lavoro di più di 200 lavoratori.

L’occupazione della Palmera, inoltre, sarebbe un esempio per i lavoratori delle altre fabbriche sarde in crisi, il primo passo per unificare le lotte: i lavoratori hanno una forza maggiore rispetto a quella del padrone, devono solo unire le forze ed essere consapevoli che solo loro stessi possono salvare il posto di lavoro.

Il Partito Comunista dei Lavoratori fa appello all’occupazione della Palmera e alla mobilitazione di tutti i lavoratori di Olbia affinché la fabbrica non venga chiusa.

Movimento per il

PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

lunedì 10 settembre 2007

Lettera aperta a Michele Carrus, segretario CGIL-Gallura

La lotta delle lavoratrici e dei lavoratori della Palmera si può vincere solo se si ha fiducia nelle lavoratrici e nei lavoratori stessi. Durante le distribuzioni dei nostri volantini all’ingresso della fabbrica abbiamo constatato che l’intelligenza politica e sociale delle lavoratrici e dei lavoratori determinava la loro volontà di lotta contro il padrone parassita e inetto che vuole disfarsi della fabbrica.
Questa volontà è rafforzata dopo aver provato il disprezzo padronale per gli accordi sindacali. I padroni il cui fine è il profitto ragionano sui rapporti di forza e non sulle “regole democratiche”. Ma i rapporti di forza sono favorevoli al padrone quando c’è la passività e la rassegnazione dei lavoratori. Ma questo non è il caso della Palmera né della classe lavoratrice sarda né di quella internazionale (si pensi alla lotta in corso nella fabbrica AutoVAZ, a Togliattigrad, per portare il salario mensile attuale di 7000 a 25000 rubli. L’indomani dello sciopero d’avvertimento del 1 agosto scorso, la direzione ha distribuito una reprimenda a 170 lavoratori accusandoli di aver violato il codice del lavoro).
Non è vero che la sorte della Palmera dipende da questo o quell’altro imprenditore, ma dalla compattezza e la disciplina dei lavoratori e dalla fedeltà dei sindacalisti alla causa dei lavoratori.
L’unica forma di lotta realistica è l’occupazione della fabbrica e la mobilitazione delle masse olbiesi.
Michele Carrus se deve avere fiducia nelle lavoratrici e lavoratori della Palmera, raccoglierne la volontà di lotta.
La lotta della Palmera dimostra quanto sia fuorviante l’etichetta di Olbia come città berlusconiana. Berlusconiana è la minoranza sociale dominante ad Olbia e lo stuolo di parassiti lacchè che si nutrono delle bricciole che quella minoranza lascia cadere dal tavolo della “grande abbuffata”. Il movimento operaio olbiese ha una storia gloriosa. Quando Olbia si chiamava Terranova, tra il 2 e il 3 dicembre 1922 per debellare il movimento operaio di questa piccola città…..da Civitavecchia partirono duecento fascisti armati di moschetto, di bombe, di due mitragliatrici”( Emilio Lussu).
Noi marxisti siamo consapevoli del ruolo che gli individui ricoprono negli eventi storici, per questo ragione il destino delle lavoratrici e lavoratori della Palmera dipende dalle scelte che farà Michele Carrus: o la lotta e l’occupazione della fabbrica o la sconfitta di 200 lavoratori, della CGIL e di tutto il movimento operaio sardo.

Movimento per il Partito Comunista dei Lavoratori - Sezioni provinciali di Sassari Olbia

Risposta al Manifestosardo

L’unica, autentica e vera preoccupazione dei firmatari di Idee contro i signori della guerra(1 settembre 2007) è di impedire che si coaguli un’opposizione di sinistra, anche, contro l’iniziativa di Soru per tenere il prossimo incontro del G8 in Sardegna. Nel nostro documento intitolato Come impedire l’organizzazione del G8 in Sardegna (20 agosto 2007) abbiamo esposto proposte organizzative e politiche di lotta contro l’iniziativa del miliardario presidente la giunta regionale di centrosinistra:
“-una struttura il più possibile capillare fatta di comitati nei luoghi di lavoro( privilegiando le fabbriche dove sono già in corso delle vertenze), nei sindacati, fra le RSU, nelle scuole e nei comuni;
-un programma di agitazione e rivendicazione politico-economica che ci aiuti a legare la condizione di oppressione economica nei luoghi di lavoro ( in particolare dei giovani) con le rivendicazioni generali. Si deve partire, ad esempio, con una presenza nelle fabbriche con sit-in davanti ai cancelli per discutere con i lavoratori dei loro problemi, proporre iniziative comuni di lotta, raccogliere sottoscrizioni, spiegare la necessità di impedire il G8”.
I firmatari di Idee contro i signori della guerra, al contrario, propongono:“Dobbiamo però rifiutare la logica dello scontro e contrapporre al G8 la forza delle idee e dei movimenti:proponiamo perciò la costruzione di un forum globale internazionale da svolgersi in Sardegna negli stessi giorni del G8, che contrapponga la forza pacifica delle idee e dei movimenti a quella dei signori della guerra, del petrolio, delle armi e della speculazione”.
Mentre noi ci opponiamo al regalo che verrà fatto agli speculatori, le centinaia di milioni di euro di cui ha parlato il sindaco di La Maddalena , Manifestosardo, Raffaello Ugo( Cagliari social forum), Franco Uda( Arci Sardegna), Cristina Ibba(PRC), Vincenzo A. Romano(PDCI), e Mauro Nieddu non si oppongono ai regali agli speculatori. Questa è la sostanza politica di Idee contro i Signori della guerra. Se il G8 si farà, siamo certi che verranno premiati con finanziamenti regionali per il “ forum globale internazionale” dove si potranno pavoneggiare e celebrare le loro liturgie da preti rossi.
L’idealismo reazionario della piccola borghesia di “sinistra” considera le idee prive di qualsiasi determinazione materiale. Le idee sono determinazioni della materia vivente che a loro volta determinano i comportamenti della materia vivente. La borghesia profonde risorse per alimentare e diffondere l’idealismo piccolo-borghese ad uso e consumo del popolino al fine di far credere che “ un altro mondo è possibile con la sola forza delle idee”. Gli idealisti piccolo borghesi vogliono nascondere ciò che evidente quando si usa correttamente il lume naturale: le idee delle classi dominanti hanno tutti gli strumenti per imporsi ed essere dominanti. Le idee per la trasformazione del mondo, allo stato delle cose, di strumenti ne hanno pochi. Il principale strumento delle idee per trasformare il mondo è la classe lavoratrice: i lavoratori, le lavoratrici, le casalinghe, i pensionati, i giovani e gli scienziati e artisti indipendenti e disinteressati e non gli artisti da ente turistico con le loro stupidaggini sulla “sardità”. Ma la classe lavoratrice va organizzata in modo indipendente e i firmatari di Idee contro i signori della guerra si rifiutano di farlo. L’idealista piccolo borghese non arriva a capire che la base delle idee delle classi dominanti è nello sfruttamento esercitato nei luoghi di lavoro. L’idealista piccol9o borghese non ha un pensiero dialettico vede la realtà a compartimenti stagno, non coglie le interconnessioni dinamiche degli eventi. A causa di questo vuoto concettuale non arrivano a capire che la lotta alla Legler, alla Palmera, nella formazione professionale ecc. è la stessa lotta contro le idee dei signori della guerra.
L’idealista piccolo borghese si emoziona con la retorica roboante, i nostri firmatari hanno tirato in ballo i nuovi Cavalieri dell’Apocalisse e i loro scudieri . Siamo certi che quando i nostri firmatari scopriranno che per le masse contadine dell’Europa feudale, guidate dagli eretici, il mito dell’Apocalisse significava la resa dei conti finale con l’aristocrazia e i l suo braccio intellettuale, la chiesa cattolica, ricercheranno figure retoriche rassicuranti per mascherare il loro servilismo. Abbasso i preti rossi.

Movimento per il Partito Comunista dei Lavoratori - Sezioni provinciali di Sassari e di Olbia

Lev Trotsky - Darwinismo e marxismo

Darwinismo e Marxismo

di Lev Trotsky – da “I compiti dell’educazione comunista”(1923)

Tradotto dai militanti della sezione di Olbia del Partito Comunista dei Lavoratori

Anche se Darwin, come lui stesso ha dichiarato, non ha perso la sua credenza in Dio malgrado il suo rigetto della teoria biblica della creazione, il darwinismo stesso è nondimeno inconciliabile col suo credo. Per questo, così come per altri aspetti, il darwinismo è un precursore, una preparazione del marxismo. Considerato da un punto di vista materialista e dialettico, il marxismo è l’applicazione del darwinismo alla società umana. Il liberalismo di Manchester ha tentato di adattare meccanicamente il darwinismo alla sociologia. Tali tentativi hanno solo condotto a puerili analogie celanti una perfida apologia borghese: gli antagonismi esaminati da Marx erano spiegati come la legge "eterna" della lotta per la vita. Sono delle assurdità. È solo lo stretto rapporto tra darwinismo e marxismo che permette di capire lo sviluppo vivente dell’essere nella sua primordiale connessione con la natura inorganica; nella sua ulteriore particolarizzazione ed evoluzione; nelle sue dinamiche; nella differenziazione delle necessità della vita fra le prime varietà elementari dei regni vegetale e animale; nelle sue lotte; nella comparsa del “primo” uomo o di una creatura simile all’uomo, facente uso del primo utensile; nello sviluppo della cooperazione primitiva, che impiega organismi associativi; nell’ulteriore stratificazione della società derivante dallo sviluppo dei mezzi di produzione, ossia dei mezzi di assoggettamento della natura; nella lotta di classe; e, infine, nella lotta per il superamento delle classi.

Comprendere il mondo da un punto di vista così ampio significa emancipare per la prima volta la coscienza dell’uomo dai residui di misticismo e assicurare un solido punto d’appoggio. Ciò significa essere pienamente convinti che per il futuro non ci sono intralci soggettivi interni alla lotta, ma che i soli ostacoli e opposizioni esistenti sono esterni, e devono essere sormontati in vari modi, seguendo le condizioni del conflitto.

Quante volte abbiamo sentito dire: “la pratica ha la meglio in fin dei conti”. Questo è corretto nel senso che l’esperienza collettiva di una classe, e di tutta l’umanità, spazza via gradualmente le illusioni e le false teorie basate su affrettate generalizzazioni. Ma si può dire con altrettanta ragione che “la teoria ha la meglio in fin dei conti”, quando noi comprendiamo da ciò che la teoria nella realtà comprende tutta l’esperienza dell’umanità. Vista da questo punto di vista, l’opposizione tra teoria e pratica sparisce, poiché la teoria non è nient’altro che la pratica correttamente considerata e generalizzata. La teoria non respinge la pratica, ma la superficiale, empirica, grossolana attitudine nei suoi confronti. Per essere capaci di valutare correttamente le condizioni della lotta, la situazione della nostra propria classe, noi dobbiamo possedere un metodo sicuro di orientamento politico e storico. Questo metodo è il marxismo, o, per quanto riguarda l’epoca recente, il leninismo.

Marx e Lenin; queste sono le nostre due guide supreme nella sfera dell’indagine sociale. Per le generazioni più giovani la via verso Marx passa per Lenin. La strada diretta diventa sempre più difficile, perché il periodo che divide le nascenti generazioni dai geni che fondarono il socialismo scientifico, Marx ed Engels, è troppo lungo. Il leninismo è la più alta incarnazione e condensazione del marxismo per l’azione rivoluzionaria diretta nell’epoca imperialista dell’agonia mortale della società borghese. L’Istituto Lenin a Mosca deve diventare un’accademia superiore di strategia rivoluzionaria. Il nostro Partito Comunista è permeato dal grande spirito di Lenin. Il suo genio rivoluzionario è con noi. I nostri polmoni rivoluzionari respirano l’atmosfera di questa migliore e più alta dottrina che il precedente sviluppo del pensiero umano ha creato. Perciò noi siamo così profondamente convinti che il futuro sia nostro.

lunedì 3 settembre 2007

IL PADRONE PUO’ ESSERE SCONFITTO

Per costringere la famiglia Palau a retrocedere dalle sue decisioni non c’è altra forma di lotta che quella di occupare la fabbrica.
Altra strada per mantenere aperta la vertenza non ne esiste.
Per regalare soldi agli industriali e ai pescicani della finanza governi e banche centrali non fanno alcuna obiezione, anzi sono sempre pronti.
Per ripianare le perdite che banche e speculatori della finanza hanno perso nella crisi finanziaria di agosto, che è la premessa di una crisi ben più grave, la Banca Centrale Europea, quella americana e giapponese hanno regalato 324,75 miliardi di euro.
Lavoratrici e lavoratori della Palmera, occupate la fabbrica e chiamate alla mobilitazione tutta la popolazione di Olbia.
Questa è l’ora della lotta.

Il Partito Comunista dei Lavoratori rivendica:

· L’OCCUPAZIONE DELLA FABBRICA

· LA NAZIONALIZZAZIONE DELL’AZIENDA SENZA INDENNIZZO AI PADRONI E SOTTO CONTROLLO OPERAIO

· IL COORDINAMENTO CON I LAVORATORI DELLE ALTRE FABBRICHE IN CRISI E DI TUTTE LE VERTENZE IN CORSO




Movimento per il Partito Comunista dei Lavoratori - Sezione di Olbia
http://www.pclolbia.blogspot.com