domenica 30 dicembre 2007

Al tradimento non c’è limite: nel gorgo del parlamentarismo decadente

La camarilla al vertice del PRC e Bertinotti, in testa “oggi recupera la disponibilità a un governo di unità nazionale con le destre per favorire la costruzione di una nuova sinistra del Centrosinistra( e intanto garantendosi, con la continuità della legislatura, la continuità della presidenza della Camera)”(M. Ferrando). Così, il presidente della Camera si assicura una lauta ricompensa ed altri privilegi.

La proposta di un governo di unità nazionale, il berlusconiano governo delle larghe intese, significa spartirsi la torta con il capo della destra che tutto è, tranne che un appartenente a quella borghesia illuminata, dal cui mito Bertinotti è stato sedotto da giovane come molti altri traditori della sua stessa pasta. Bertinotti, e non da oggi, ha tradito con tutti e due i capi dei due raggruppamenti che contendono per la direzione degli affari della borghesia e sui modi con cui attaccare il movimento operaio.

Berlusconi ha appreso la lezione di Sarkozy. Quest’ultimo, contrariamente alle aspettative, non ha scelto lo scontro frontale con le burocrazie sindacali. Già prima di assumere le funzioni di capo di stato, “Sarkozy aveva già incontrato i dirigenti delle tre organizzazioni sindacali più importanti. Bernard Thibault (CGT), Francis Chérèque (CFDT) e Jean-Claude Mailly(FO) e gli aveva detto: ‘Io vi svelo subito un trucco: questa riforma, io la farò. Tutto il resto è negoziabile’ ( Le Monde 26.11.2007). Dopo ha mantenuto con loro il dialogo. Gli ha incontrati tanto pubblicamente quanto in privato per discutere e, talvolta, per cenare con loro. Sarkozy è pure arrivato a dare del tu al dirigente della federazione dell’energia della CGT, Frédéric Imbrecht” ( Lo sciopero delle ferrovie e il ruolo della LCR, in World Socialist Web Site). Sarkozy ha avuto successo. Lo sciopero - invece di estendersi alle grandi masse ed innanzitutto a quelle delle banlieues e rendere ingovernabile per la borghesia la Francia-è stato tradito. Sul giornale francese Le Figaro (22 novembre 2007) è stato ben chiarita la tattica di Sarkozy : “ Il capo dello stato non vuole più inasprire il tono con i sindacati che hanno fragili rapporti con la loro base. Egli sa che ha bisogno di loro per il seguito delle riforme: codice del lavoro, fusione Unedic e ANPE, sistema pensionistico del settore privato, formazione professionale. ‘I regimi speciali, sono l’aperitivo, per le altre riforme, noi avremo bisogno di sindacati responsabili’ giustifica David Martinon, portavoce dell’Eliseo”( in World socialist web site). Guanti gialli con la burocrazia sindacale francese e repressione poliziesca contro i lavoratori di origine africana e attacchi sbirreschi brutali nelle banlieues, questa è la politica di Sarkozy. Berlusconi ha messo a punto la lezione della sua ritirata sull’articolo 18. Anche lui ha bisogno della burocrazia. Nel suo caso si tratta in particolare del rapporto con la burocrazia della CGIL. Con Cisl e Uil firmò il patto per l’Italia. Per tutti i padroni la sconfitta nelle grandi fabbriche del governo e della burocrazia concertativa sull’accordo del 23 luglio è un brutto segnale. Confindustria, le forze politiche borghesi, la burocrazia sindacale sono obbligate da quel fatto a trovare un intesa per evitare che le cose peggiorino per loro: attorno a quegli operai indipendenti delle grandi fabbriche si può coagulare il malcontento delle grandi masse, innanzitutto nelle aree metropolitane. Non è casuale che l’iniziativa aperta di Berlusconi nei confronti di Veltroni sia venuta qualche mese dopo i risultati della consultazione sindacale.

Bertinotti sa che è considerato un traditore fra quanti hanno votato No nelle grandi fabbriche ed è emblematico quanto ha dichiarato al Corriere della sera(15 dicembre) su quanto ha visto ai funerali degli operai della Tyssen : “ho percepito una separazione, un cancello, tra gli operai che stavano dentro la fabbrica e si sentivano soli, e noi che venivamo visti come quelli che stanno fuori e non muoiono bruciati” (anche in questo occasioni, Bertinotti non perde l’occasione di fare il fesso con quel linguaggio che lui crede ricercato). Il disprezzo proletario che Bertinotti “percepisce” lo riempie di paura e lo obbliga a prostrarsi davanti ai suoi protettori con azioni sempre più squalificanti. Si è vantato (Corsera 15 dicembre) della solidarietà data a Berlusconi, con una telefonata, quando, l’estate scorsa, circolavano le foto faunesche del boss di Arcore a passeggio con alcune aspiranti a carriere nella RAI, in una delle sue ville in Sardegna : “ Presidente - esordì - mi spiace molto, perché queste sono cose fastidiose. E’ già sgradevole che si scavi nella vita privata e si violi la privacy. Lo è di più se tutto ciò viene usato come appiglio per attaccare l’avversario politico”. Questa rivelazione si trova nell’intervista in cui il presidente della Camera “lancia una sfida di politica culturale” per ammantare il “dialogo” con Berlusconi ai fini di un “governo dalle larghe intese” e della “autoresponsabilizzazione” di costui. Perciò Bertinotti è in prima fila a difendere Berlusconi dall’inchiesta della procura di Napoli circa il contenuto della telefonata con Agostino Saccà: “una violazione dei diritti del cittadino”, “bisogna bandire che vengano fuori nomi e cognomi”. Bertinotti non ha mai speso una parola quando le intercettazioni venivano utilizzate per accusare di terrorismo i lavoratori di origine araba. E interessante notare come Bertinotti non sia intervenuto a difendere Clementina Forleo quando è partito il linciaggio nei suoi confronti per l’utilizzo delle intercettazioni sul caso Unipol che coinvolgevano Dalema, Fassino e Latorre ( nessun esponenti delle classi dominanti ha perdonato la Forleo per la sentenza su Daki). Nicola Latorre, ora dirigente del PD, ha elogiato l’ex segretario del PRC per la sua campagna in difesa della privacy dei membri della classe dominante: “ha interpretato in maniera efficace il pensiero di quanti in Parlamento si ribellano alle ripetute e clamorose violazioni dei più elementari diritti”. Un altro esponente del PD, Peppino Caldarola, anche lui dalemiano di ferro, non è da meno nella difesa di Berlusconi e si chiede: “Dov’è finito il garantismo di sinistra? Dove sono gli intellettuali? Dove sono gli Umberto Eco, i Beppe Vacca, i Biagio De Giovanni, le Rita Levi Montalcini?” ( stessa volgarità tipica di Storace, pedina di Bandana contro Fini). Nell’epoca del parlamentarismo decadente le teorie della borghesia rivoluzionaria vengono storpiate ad uso e consumo di quello che Gramsci chiamava il sovversivismo delle classi dominanti. I diritti dell’individuo, parola d’ordine con cui la borghesia rivoluzionaria portò la masse contadine e le plebi urbane alla lotta contro l’assolutismo e l’aristocrazia, viene usata per difendere i borghesi che violano le stesse leggi borghesi quando sono di ostacolo ai loro interessi. Qualora si faccia, il governo delle larghe intese si farà, anche, per assicurare l’impunità a tutti i borghesi e politicanti rinnegati che in un modo o nell’altro hanno avuto delle disavventure con loro stesse leggi. Anche noi ci poniamo una domanda: come mai gli esponenti di Magistratura Democratica non aprono bocca su quel groviglio di vicende politico-giudiziarie che vanno dal caso Forleo alle inchieste del procuratore calabrese De Dominicis su grandi flussi di denaro dall’UE alle regioni meridionali, in cui è coinvolto il boss di Ceppaloni? Se trent’anni fa Magistratura Democratica tentava di analizzare il diritto dal punto di vista della questione sociale - dopo un trentennio di capitolazione della burocrazia berlingueriana e di quella sindacale, dopo il crollo dell’Urss e dell’offensiva ideologica all’insegna del liberalismo e del liberismo - ha finito con l’assumere la difesa del formalismo della legge. Ma il formalismo delle regole che avrebbe dovuto ripulire la borghesia italiana non ha potuto nulla contro il sovversivismo delle classi dominanti. La linea del sovversivismo delle classi dominanti che Dalema aveva cercato di far adottare a tutto il centro sinistra ai tempi della bicamerale trionfa oggi nel Partito democratico, con Bertinotti a ruota. Non è un caso che quando furono rese note le intercettazioni delle telefonate tra Consorte e Dalema, a difesa di quest’ultimo si schierarono Berlusconi e Forza Italia.

E’ passato molto tempo da quando i parlamenti della borghesia rivoluzionaria francese dirigevano la guerra interna ed esterna contro l’assolutismo e l’aristocrazia e approvavano decreti per la leva di massa per quell’armata che diventò il terrore delle potenze dominanti del tempo ( dagli Asburgo ai teocrati romani) o quando Jean Paul Marat, il rivoluzionario di origine sarda, si presentava alla Convenzione con le pistole. Nell’epoca del parlamentarismo corrotto e decadente fra le principali iniziative delle forze politiche borghesi c’è quella di corrompere i partiti del movimento operaio. Nel gorgo del parlamentarismo affogano i residui dei gruppi dirigenti del PCI-PDS-DS e del PSI. Il parlamentarismo corrotto risucchia i rappresentanti dei partiti operai e questi con loro, quando la tattica parlamentare riflette la linea generale di capitolazione. Mandare in Parlamento dei rivoluzionari è una necessità del proletariato, perché oggi su questo fronte è sguarnito:

Se avete un partito veramente comunista, non temerete mai di mandare uno dei vostri uomini nel parlamento borghese, perché agirà da rivoluzionario”(Trotsky, Discorso sulla questione parlamentare al II congresso dell’Internazionale Comunista).

Sulla questione parlamentare il nostro partito dovrà assumere un’iniziativa verso quei settori del proletariato e dell’estrema sinistra che disgustati dal parlamentarismo hanno posizioni astensioniste, per spiegare che anche dentro il parlamento si può condurre un’azione rivoluzionaria, anche, denunciando le malefatte che i borghesi fanno nella loro privacy e coloro che li difendono.

sez. Sassari Partito Comunista dei Lavoratori 27/12/07


mercoledì 19 dicembre 2007

Comunicato PCL Sardegna su Unilever

Il Partito Comunista dei Lavoratori esprime la massima solidarietà ai lavoratori Unilever di Cagliari.

La richiesta di messa in Cassa integrazione và contrastata dall’ unita di tutti i lavoratori delle fabbriche che chiudono o licenziano. Soltanto l’ unita della classe operaia che rivendichi la nazionalizzazione senza indennizzo sotto controllo operaio può dare una soluzione nell’ immediato al dramma dei lavoratori che perdono la fonte di reddito e può aprire alla prospettiva di un governo dei lavoratori per i lavoratori.

Cagliari 19-12-07

Coordinamento Regionale del Partito Comunista dei Lavoratori Sardegna

martedì 11 dicembre 2007

FARE COME GLI OPERAI DELL’UNILEVER: OCCUPARE LE FABBRICHE IN CRISI E CHE LICENZIANO

La crisi dell’industria sarda mette in discussione il posto di lavoro di centinaia di operai, dalla Palmera alla Legler. Le speculazioni e l’inettitudine di un’infame classe padronale si ripercuotono su chi manda avanti la produzione e ne dovrebbe essere il vero proprietario, la classe lavoratrice.

Un’intera classe operaia è in lotta per la salvezza del posto di lavoro, ma i tentennamenti delle direzioni sindacali nella piattaforma e nelle rivendicazioni impediscono che le mobilitazioni trovino uno sbocco vincente; vengono infatti divise le lotte che unite avrebbero un potenziale di vittoria enorme e le rivendicazioni delle burocrazie sindacali sono insufficienti e illusorie (più volte, da parte dei sindacati, si è sentito parlare, come nel caso della Palmera, di “ripensamento” da parte dei padroni o di “speranza” in una poco probabile “eticità” delle banche!).

La strada per vincere le lotte viene dagli operai dell’Unilever: l’occupazione degli stabilimenti per scongiurare il rischio di chiusura della fabbrica. Questa è l’unica via per evitare la fine della produzione e salvare il posto di lavoro, nonché per portare avanti la contrattazione. Certi sindacalisti scettici dicono: “l’occupazione della fabbrica non durerà per molto e verranno tutti licenziati”. Questo è vero solo se la lotta degli operai dell’Unilever rimarrà isolata; ma se la lotta si generalizza e gli operai di tutte le fabbriche in crisi occupano gli stabilimenti, unendo le loro forze e creando un coordinamento regionale delle lotte, si porranno le condizioni per la vittoria. E la vittoria non passa per la speranza in un nuovo padrone che prenda in mano la gestione della fabbrica: essa può essere assicurata solamente dalla nazionalizzazione senza indennizzo ai padroni speculatori e sotto il controllo dei lavoratori, obiettivo che solo l’occupazione della fabbrica può porre in primo piano.

Solo così la classe operaia, contando sulle proprie forze e non sulla “benevolenza” dei padroni o delle istituzioni e lacchè vari, può vincere la lotta e porsi alla testa di una mobilitazione più ampia che coinvolga tutti i settori oppressi dal capitalismo, compresi i piccoli pastori ed agricoltori sardi schiacciati dal grande capitale di banche e industrie che possono essere salvati solamente dal controllo operaio sulla produzione e sul sistema bancario. In definitiva la crisi dell’industria e della società sarda può essere risolta solamente dal controllo pianificato dei lavoratori sulla produzione, possibile solo con la conquista di un Governo dei Lavoratori stessi.

Il Partito Comunista dei Lavoratori, che terrà a Gennaio il proprio congresso fondativo, fa appello a sindacati, partiti e organizzazioni dei lavoratori per un polo autonomo di classe anticapitalistico che marci in questa direzione, possibile solo se essi rompono col governo Prodi, con la giunta Soru, col Partito Democratico e con tutti i governi e partiti dei padroni. Questa è anche l’unica via per evitare un nuovo governo reazionario guidato da Berlusconi e le destre.

PER IL COORDINAMENTO REGIONALE DELLE LOTTE, PER L’UNITA’ DEI LAVORATORI IN LOTTA

PER LA VERTENZA GENERALE DEL MONDO DEL LAVORO, PER IL POLO AUTONOMO DI CLASSE

PER LA NAZIONALIZZAZIONE SOTTO CONTROLLO OPERAIO DELLE AZIENDE IN CRISI

PER IL GOVERNO DEI LAVORATORI!


Partito Comunista dei Lavoratori - Coordinamento regionale Sardegna

sabato 8 dicembre 2007

La strage della Thyssen-Krupp di Torino evidenzia la realtà dello sfruttamento capitalistico

Comunicato Stampa di Franco Grisolia e Marco Ferrando (Partito Comunista dei Lavoratori)

(7 dicembre 2007)

La gravissima strage della Thyssen-Krupp di Torino, evidenzia ancora una volta la realtà dello sfruttamento capitalistico nel nostro paese. Si dovrebbero vergognare quegli ipocriti politici e commentatori che in questi decenni, a desta come a sinistra e a volte anche all'"estrema sinistra" hanno parlato assurdamente di "fine della classe operaia" o società "postindustriale".

In realtà la classe operaia produttiva esiste come prima; continua col suo lavoro a produrre ricchezza, che gli viene estorta dai profitti in crescita esponenziale; soffre di uno sfruttamento ed una intensità di lavoro anche superiore al passato. In cambio riceve bassi salari, sempre più ridotti in termini reali, e paga i suoi sacrifici con migliaia di morti e centinaia di migliaia di feriti l'anno. E questo non solo nelle piccole aziende o nel lavoro precario , ma anche, come dimostra il caso della Thyssen-Krupp, nella grande industria.

Per combattere questa realtà, che i demagoghi ipocriti del centrosinistra e della sinistra governista denunciano a parole, ma nulla fanno per debbellare realmente, è necessario un programma anticapitalistico che implichi l'instaurazione generale di un vero controllo operaio su tutti gli aspetti della vita in fabbrica e la nazionalizzazione immediata senza indennizzo e sotto controllo dei lavoratori delle industrie di morte, obbiettivo che, come Partito Comunista dei Lavoratori, lanciamo oggi con forza rispetto alla Thyssen-Krupp.

Franco Grisolia (responsabile sindacale)
Marco Ferrando (portavoce nazionale)
movimento per il Partito Comunista dei Lavoratori

giovedì 6 dicembre 2007

Conferenza stampa di presentazione del congresso del 3 dicembre 2007

Resoconti di agenzia

(4 dicembre 2007)

Falce e martello sullo sfondo di un mappamondo, risultati attorno all'1 per cento in qualche realtà alle ultime amministrative, poco più di duemila militanti, il fiore all'occhiello di una personalità molto nota come il giornalista ed ex eurodeputato Prc Lucio Manisco che si dice «molto vicino» alla nuova formazione: si presenta così il Partito comunista dei lavoratori, una delle schegge della sinistra radicale uscita da Rifondazione e pronta a rappresentare l'alternativa alla 'Cosa rossa'.
Il Pcl andrà a congresso dal 3 al 6 gennaio a Rimini ed oggi ha presentato il suo biglietto da visita in una conferenza stampa forse non casualmente nello stesso centro congressi nel quale si svolgeva la riunione della direzione del Prc.

Marco Ferrando, leader indiscusso del nuovo partito, rilancia l'accusa alla sinistra di governo «compromessa con un governo subalterno alle grandi imprese e alle banche». E anche «la 'Cosa rossa' rappresenta una sinistra del centrosinistra che continua a rivendicare il compromesso con il Pd nella prospettiva comune di governo». Il Pcl invece vuole costruire «una sinistra anticapitalista che parte dalle lotte dei lavoratori» e che non a caso, sostiene Ferrando, «è molto cresciuto nelle adesioni, in particolare nelle grandi fabbriche, con la campagna contro il Protocollo del 23 luglio».

Il Pcl non lega troppo nemmeno con la Sinistra critica di Salvatore Cannavò, che non è ancora uscita dal Prc ma lavora a un polo unitario con i Cobas e i centri sociali più radicali: «Non erano carne né pesce quand'erano dentro Rifondazione, continuano a non esserlo fuori. Ma con i Cobas e le Rdb, con la Rete dei comunisti, abbiamo da tempo - sottolinea Ferrando, a suo tempo escluso dalle liste elettorali di Rifondazione per una polemica con Fausto Bertinotti su Israele - un patto di unità d'azione, abbiamo costruito molte manifestazioni insieme, compresa quella del 9 giugno contro Bush e Prodi». Ma quelle sono forze «che restano collocate su un terreno di movimento - chiarisce il leader del Pcl - mentre noi saremo presenti a tutte le elezioni, anche alle politiche se si va al voto anticipato». Qualunque sia l'esito delle trattative per nome e simbolo della 'fed' di sinistra, quindi, una falce e martello sulla scheda elettorale, ci sarà: quella di Ferrando.

domenica 25 novembre 2007

La lezione delle proletarie indipendenti

Dopo i trecentomila metalmeccanici indipendenti che hanno bocciato l’accordo del 23 luglio, un’altra lezione di indipendenza politico-teorica è venuta dalla manifestazione delle donne proletarie del 24 novembre.

I colpi quando arrivano di sorpresa sono i peggiori perché confondono chi li prende. E’ così è stato per le politicanti borghesi che hanno tentato di provocare il corteo delle proletarie e per quelle che sul palco erano convinte di essere le dirigenti del movimento.

Prestigiacomo e Carfagna erano convinte che, facendo leva sull’uso ideologico del dato biologico della comunanza di genere sessuale, avrebbero potuto isolare le proletarie d’avanguardia. Invece, tutto il corteo è stato unanime per la loro cacciata.

Melandri, Turco e Pollastrini non l’hanno passata liscia per l’infame “pacchetto sicurezza”, che colpisce, in particolare, le donne rom. Queste politicanti borghesi ipocrite prive di spessore culturale hanno potuto misurare la distanza che le separa dalle donne proletarie.

Qualche giornalista ha ripetuto la solita solfa dell’occasione perduta “cercando le contestazioni più che l’unione”. L’ideologia ha il potere di deformare la realtà per chi ne è vittima. Il corteo ha approvato la cacciata delle politicanti borghesi di Forza Italia e del Partito Democratico mostrando la sua unità di orientamento politico. La comunanza di genere è solo un dato biologico che si manifesta in determinati contesti socio-economici caratterizzati dalla divisione e dall’antagonismo delle classi e che da questi è condizionato. Mentre le politicanti borghesi sono vittime del riduzionismo biologico, le donne proletarie d’avanguardia analizzano la realtà come totalità dove non esistono variabili indipendenti, ma una totalità dove tutte le parti e le differenti manifestazioni interagiscono dialetticamente. Le prime producono ideologia finalizzata all’oppressione; le seconde, al contrario, producono scienza finalizzata alla liberazione da ogni tipo di oppressione.

L’unità che cercano le proletarie e i proletari indipendenti è quella della propria classe intorno a un programma rivoluzionario che abbia il suo centro nell’obiettivo della conquista del potere politico. Solo chi non vuole l’emancipazione da ogni tipo di oppressione dice che la questione della conquista del potere politico è “superata”. Anche, oggi, come nel passato non esiste alcun dato che permetta di concludere che la conquista del potere politico è “arcaica”. Solo il governo della classe rivoluzionaria può mettere fine alla violenza sulle donne.

Sezione di Sassari del Movimento Costitutivo per il Partito Comunista dei Lavoratori/ 25 novembre 2007

lunedì 19 novembre 2007

Contro il razzismo reazionario di alcuni consiglieri comunali di Olbia, per l’unità nella lotta tra lavoratori italiani e immigrati

In passato la scienza e certi scienziati corrotti sono stati utilizzati dalla borghesia per giustificare la presunta superiorità e inferiorità di determinate “razze” e il conseguente razzismo, strumento della borghesia contro i lavoratori. Diversi pseudo-scienziati (soprattutto negli Stati Uniti), anche in tempi non molto lontani, hanno utilizzato la ricerca sul genoma umano per giustificare la presunta inferiorità di neri, donne, omosessuali e per cercare di far credere che la povertà o la criminalità fossero dei fattori determinabili a livello genetico.

Ma oggi la situazione è cambiata: gli ultimi sviluppi e le ultime scoperte nel campo della genetica indicano che l’umanità sia la stessa nella sua diversità, che il genoma umano sia identico in tutti gli individui di diverse etnie per il 99,9% e che la “razza” non sia determinabile per la scienza a livello genetico. L’umanità è una sola e con gli sviluppi scientifici cadono tutte le ciarlatanerie sulla “superiorità” di alcuni uomini su altri e sulla presunta “criminalità genetica” di determinate etnie o popoli.

Il razzismo è sempre stato uno strumento utilizzato dalla classe dominante borghese per deviare il malcontento e l’odio della classe lavoratrice nei confronti delle sue politiche contro un falso nemico, i lavoratori immigrati, naturale alleato della classe operaia.

Oggi in Italia i governi e i partiti borghesi di centrodestra e centrosinistra portano avanti, senza eccezione, campagne razziste e xenofobe contro gli immigrati per impedire che il disagio sociale di milioni di lavoratori italiani causato delle politiche di sacrifici, dai bassi salari, dai mutui usurai sulla casa, dallo strozzinaggio delle banche, si ripercuota contro i veri responsabili della rapina quotidiana ai loro danni: non i lavoratori immigrati, anche loro forza-lavoro da sfruttare per il mercato capitalista, ma i padroni, le banche, i loro governi e partiti, nemici dei lavoratori italiani e immigrati. La campagna razzista contro i lavoratori rumeni portata avanti dal governo Prodi va in questa direzione, proprio in un momento in cui la classe operaia italiana paga le conseguenze di anni di sacrifici sulla sua pelle. Gli immigrati presenti nel nostro paese vivono una situazione davvero pessima: ricattati dalla Bossi-Fini e dai lager Cpt (istituiti da un governo di centrosinistra), strumenti del padronato e con difficoltà ad avere alloggi dignitosi.

Il 15 Novembre scorso nel consiglio comunale di Olbia si è discussa la situazione degli immigrati in città. Da alcuni volgari individui dai banchi della maggioranza si sono sentite delle immani sciocchezze xenofobe che identificano gli immigrati come criminali e sostenendo che andrebbero cacciati via: le parole pronunciate da questa gente, per le ragioni riportate prima, meritano soltanto derisione e disprezzo.

Ma anche chi, dai banchi del consiglio comunale, si nasconde dietro le parole di “accoglienza” e “dialogo” (il sindaco Giovannelli, i consiglieri di centrodestra e dei partiti borghesi di centrosinistra), è in realtà portatore degli stessi interessi e delle stesse politiche che permettono lo sfruttamento selvaggio dei lavoratori immigrati e italiani e attraverso campagne razziste sulla “sicurezza” rinchiudono nei Cpt e rimpatriano gli immigrati su basi di discriminanti etniche; con l’unico fine di sfruttare manodopera ancora più ricattabile e riversare il malcontento sociale dei lavoratori italiani sui lavoratori immigrati, vittime della società capitalista. Va ricordato che il consigliere Varrucciu che parla demagogicamente di “integrazione” fa parte di un partito (il Partito Democratico) che rappresenta uno dei maggiori artefici della campagna antirumena promossa dal governo, e che il sindaco Giovannelli è di una coalizione che ha varato al governo nazionale l’infame legge razzista Bossi-Fini.

Ogni attacco ai diritti dei lavoratori immigrati si traduce perciò in un attacco alle condizioni sociali e di vita dei lavoratori italiani: il Partito Comunista dei Lavoratori denuncia il carattere razzista e antioperaio delle campagne anti-immigrati e si batte per l’unità dei lavoratori italiani con quelli immigrati. A partire dalla denuncia di tutte le campagne razziste, mistificatrici e antioperaie sulla “sicurezza” rivendichiamo e ci battiamo per:

- l’integrazione dei lavoratori immigrati nel movimento sindacale italiano a partire da comuni rivendicazioni sociali, il primo passo verso l’unificazione delle lotte;

- l’abrogazione della legge razzista Bossi-Fini, l’eliminazione della legge 30 e di tutte le riforme precarizzanti del lavoro, verso la stabilizzazione a tempo indeterminato dei lavoratori di qualsiasi nazionalità e l’eliminazione del lavoro nero;

- l’introduzione del reato penale per tutti i padroni che sfruttano attraverso il lavoro nero i lavoratori italiani e immigrati;

- l’abolizione dei Cpt quali strumenti di oppressione razziale e classista;

- la regolarizzazione di tutti gli immigrati e l’abolizione delle misure poliziesche per il permesso di soggiorno e di lavoro; pieno diritto alla cittadinanza per chi viene nel nostro paese in cerca di migliori condizioni di vita;

- la requisizione delle grandi proprietà immobiliari quale misura per dare una casa ai lavoratori immigrati e italiani che ne sono sprovvisti.

- la nazionalizzazione delle banche, vero strumento di oppressione e insicurezza sociale, sotto il controllo dei lavoratori, per eliminare lo strozzinaggio quotidiano ai danni delle classi oppresse.

Queste rivendicazioni, che sono alla base dell’unità nella lotta tra lavoratori italiani e stranieri, esulano naturalmente da un quadro di compatibilità nell’ottica della società capitalista: i bisogni e le necessità elementari dei lavoratori sono incompatibili con la società capitalistica e richiedono la lotta per una nuova società, a partire da un governo dei lavoratori che elimini la dittatura dei banchieri e degli industriali e realizzi le rivendicazioni di tutti gli oppressi, compresi gli immigrati.

Noi ci battiamo per questa prospettiva e invitiamo le sinistre che ora sostengono il governo borghese Prodi a rompere con i poteri forti, i loro governi e i loro partiti e a non rendersi corresponsabili delle politiche di massacro sociale per i lavoratori italiani e stranieri. A chi ci accusa di dividere la sinistra noi rispondiamo di ricercare l’unità di lotta tra tutti i lavoratori e le loro organizzazioni: ma solo fuori dai governi antipopolari e in opposizione ad essi, l’unica prospettiva realistica e necessaria.

Partito Comunista dei Lavoratori – Sezione di Olbia

mercoledì 14 novembre 2007

Comunicato sulla lotta dei lavoratori della formazione professionale

Il Movimento Costitutivo per il Partito Comunista dei Lavoratori esprime la totale solidarietà ai lavoratori della formazione professionale che in questi giorni presidiano il palazzo della Giunta Regionale. Invita tutti i Comunisti a sostenere la lotta di questi lavoratori che non solo sono stati privati del posto di lavoro ma vengono continuamente presi in giro da accordi che puntualmente la Regione non rispetta e che nella giornata di lunedì 12 novembre sono stati sgomberati dal giardino del palazzo della Giunta in viale Trento. Lo sgombero è responsabilità del Presidente della Regione Renato Soru che ritiene che le tende dei manifestanti non siano esteticamente compatibile con il decoro e la fruibilità del palazzo.

Tutto ciò è molto grave tanto più in quanto a sostenere questa maggioranza ci sono due partiti che si dicono Comunisti, screditando così il Comunismo e ciò che ha rappresentato e rappresenta nella storia dei lavoratori e degli sfruttati.

Il Partito Comunista dei Lavoratori è impegnato nella costruzione di una opposizione Comunista al governo di Centro Sinistra in Sardegna terrà il suo congresso fondativo a Gennaio e invita tutti i Comunisti che non si vendono alle lusinghe del capitalismo a rafforzare questa opposizione: l'unico modo per sostenere le lotte dei lavoratori anche in Sardegna.

Coordinamento Regionale PCL

14/11/07

martedì 13 novembre 2007

PER L’OCCUPAZIONE E LA NAZIONALIZZAZIONE DELLA PALMERA

LICENZIAMO I LICENZIATORI!

Come volevasi dimostrare i padroni procedono, per chi aveva ancora dubbi, verso la chiusura definitiva dell’azienda e il criminale licenziamento dei lavoratori della Palmera: la famiglia Palau ha gettato la maschera di ipocrisia e ha comunicato ufficialmente la vendita del marchio Palmera e delle quote di mercato alla multinazionale del tonno Rio Mare-Bon Ton. Le voci messe in giro dai politici al potere e dai loro lacché su nuovi imprenditori caduti dal cielo volenterosi di acquistare la fabbrica si sono rivelate, come era prevedibile, delle frottole. A confermare la volontà dei Palau di chiudere definitivamente e al più presto la fabbrica, essi hanno mandato in cassintegrazione altri 40 operai e oggi in pochi rimangono a lavorare (anche se per poco) all’interno dell’azienda.

Il Partito Comunista dei Lavoratori da pieno sostegno alla lotta dei lavoratori della Palmera, ma la piattaforma rivendicativa di CGIL, CISL e UIL è totalmente ambigua giacché spera nel “cambiare idea” da parte dei padroni e nel “codice etico” delle banche con cui si sono indebitati.

Con i padroni, volenterosi solo di riempire le loro tasche sulle spalle degli operai, non si può sperare in nessun accordo: l’unica strada che può far vincere i lavoratori è la loro lotta, l’occupazione della fabbrica e la rivendicazione della nazionalizzazione sotto controllo operaio e senza nessuna lira di indennizzo ai padroni speculatori!

PER L’OCCUPAZIONE DELLA PALMERA

PER LA NAZIONALIZZAZIONE SOTTO CONTROLLO OPERAIO E SENZA UNA LIRA DI INDENNIZZO AI PADRONI

PER IL COORDINAMENTO DELLE LOTTE, PER L’UNITA’ DELLE LOTTE DEI LAVORATORI



Sezione di Olbia del Partito Comunista dei Lavoratori

venerdì 9 novembre 2007

Resoconto assemblea del Pcl del 7 novembre 2007.



Resoconto assemblea del Pcl del 7 novembre 2007.

Il 7 Novembre scorso, presso la sala conferenze dell’Hotel Stella 2000 ad Olbia, si è tenuta una partecipata assemblea pubblica organizzata dalla sezione di Olbia del Partito Comunista dei Lavoratori, con la partecipazione del portavoce nazionale, Marco Ferrando.

L’assemblea è stata introdotta dal compagno Antonio Carboni, con una dettagliata relazione nella quale ha esposto i seguenti argomenti: nascita, natura e principi del Mpcl; situazione nazionale e caratterizzazione del governo Prodi, in particolare della sinistra di governo e del centro liberale borghese; controriforme messe in atto negli ultimi anni dai vari governi borghesi, di centrodestra e di centrosinistra; la situazione sarda e lo sviluppo delle lotte di classe in Sardegna, con le varie vertenze all’Eridania sadam, all’Unilever, alla Legler, una descrizione dettagliata della questione della Palmera e altri casi; parole d’ordine portate avanti dal Pcl nei luoghi di lavoro, come la nazionalizzazione senza indennizzo e sotto il controllo operaio delle fabbriche in crisi e l’unificazione delle lotte.

Alla relazione del compagno Antonio è seguito il dibattito che è stato molto ricco di interventi e nel quale sono stati sollevati numerosi problemi inerenti alla tattica sindacale, alla coscienza dei lavoratori, alle condizioni di lavoro dei precari e dei lavoratori immigrati, allo sfruttamento al quale sono sottoposti i lavoratori in generale da parte del padronato. Il primo intervento nel dibattito è stato quello del compagno Giovanni Antonio Orunesu del Prc la cui critica principale alla nostra linea è consistita nel fatto che, siccome molti lavoratori votano a destra, non avrebbe senso portare avanti le rivendicazioni che il Pcl ha coerentemente sostenuto fino ad adesso. Tale critica, come ha illustrato il compagno Gian Franco Camboni della sezione di Ozieri del Pcl nel dibattito, non solo fa in modo che gli operai continuino a subire e ad essere succubi dell’ideologia piccolo-borghese e reazionaria della destra, ma nasconde il problema fondamentale: chi sia responsabile di questa situazione. Infatti riteniamo che tale responsabilità sia prima di tutto dei gruppi dirigenti del Prc, che non hanno voluto costruire un partito radicato nei posti di lavoro, ma, con le loro politiche di compromesso con i partiti borghesi, hanno finito per rendere le sedi di partito dei semplici comitati elettorali, affossando l’enorme potenzialità delle lotte dei lavoratori in Sardegna. Il compagno Gian Franco ha inoltre evidenziato la necessità di un’assemblea nazionale dei delegati, rivendicazione portata avanti dal nostro Partito, a partire dai metalmeccanici che hanno respinto il vergognoso accordo del 23 Luglio.

In seguito sono intervenuti altri compagni di diverse realtà ed organizzazioni e il compagno Sisinnio Bitti della sezione di Olbia del Pcl, che ha illustrato e attaccato l’accordo-truffa del 23 Luglio portato avanti dalle burocrazie sindacali, che aumenta l’età pensionabile e precarizza maggiormente il lavoro.

Il pubblico che ha partecipato all’assemblea/dibattito, composto di 33 persone, era piuttosto eterogeneo: erano presenti dipendenti del pubblico impiego sanitari e insegnanti, operai delle aziende Novafloor, Technova e Cerasarda, un rappresentante dell’associazione interculturale, delegati Rdb/Cub e Cgil, rappresentanti di Rifondazione Comunista e Sinistra Democratica, studenti e militanti del nostro Partito.

In seguito il compagno Ferrando ha concluso l’assemblea col suo intervento molto apprezzato dai presenti, nel quale ha messo in luce i numerosi problemi sollevati durante il dibattito e ha fatto un quadro generale molto esauriente dell’attuale situazione politica italiana. A partire da questa ha descritto la necessità della costruzione del Partito Comunista dei Lavoratori come direzione alternativa delle lotte, per una sinistra che non tradisca.

Partito Comunista dei Lavoratori – Sezione di Olbia 09/11/07

martedì 30 ottobre 2007

Assemblea/dibattito con Marco Ferrando

PER UNA SINISTRA CHE NON TRADISCA

PER L’OPPOSIZIONE AI GOVERNI BORGHESI

PERCHÉ GOVERNINO I LAVORATORI


Mercoledì 7 Novembre 2007 ore 17:30
Assemblea/dibattito pubblico con la partecipazione di
Marco Ferrando
Portavoce nazionale del Movimento per il
Partito Comunista dei Lavoratori

A Olbia, presso la Sala Conferenze dell’Hotel Stella 2000
Viale Aldo Moro, 70

Il governo Prodi, governo dei banchieri e della Confindustria, perpetua continui attacchi ai diritti e alle condizioni dei lavoratori; viene innalzata l’età pensionabile, vengono peggiorate le condizioni di lavoro dei precari mentre si regalano i soldi alla Confindustria e si spendono miliardi nelle guerre per arricchire i banditi della finanza. I No degli operai delle grandi fabbriche contro l’accordo-truffa del 23 Luglio ci indicano una sola strada necessaria e possibile:
COSTRUIRE L’OPPOSIZIONE DEI LAVORATORI


Organizza la sezione di Olbia del
Partito Comunista dei Lavoratori
L’opposizione di sinistra

giovedì 18 ottobre 2007

Contro il presidenzialismo, il capitalista Soru e i suoi lacchè del centro-sinistra vota NO al referendum del 21 ottobre.

La controriforma presidenzialista che il centro-sinistra sardo ha confezionato per il suo padrone, il miliardario Soru è l’ennesima pugnalata che i traditori del movimento operaio le direzioni dei DS, PRC e PDCI danno ai lavoratori.
Con la statutaria i poteri del presidente sono pressoché assoluti in quanto in caso di sfiducia al presidente della giunta, quest’ultimo si dimette e con lui tutti i consiglieri regionali. Al presidente della giunta viene affidato un potere di ricatto nei confronti dei consiglieri, tali da piegarli alla sua volontà e alle sue decisioni.
Il dato più interessante di questa vicenda è che i gruppi dirigenti regionali dei DS, del PRC e del PDCI hanno fatto proprio il presidenzialismo che alla fine degli anni cinquanta divenne il principale elemento programmatico, mai abbandonato, del Movimento Sociale Italiano.
In quegli anni sulla spinta della controriforma presidenzialista imposta dal generale DE Gaulle in Francia, il Movimento Sociale italiano la riprese per uscire dall’isolamento e per aggregare intorno a se un fronte anticomunista.
Alla degenerazione e al tradimento dei gruppi dirigenti regionali dei DS, del PRC e del PDCI non c’è un limite.
Alcuni gruppi dell’estrema sinistra sarda che si caratterizzano per il loro infantilismo hanno scelto l’astensionismo dando così una mano a Soru, al centro-sinistra e a tutta la borghesia compresa quella di centro-destra che demagogicamente si oppone a questa controriforma.
La sconfitta alle urne del presidenzialismo non significa ritornare allo status quo ma assestare un colpo a Soru e ai suoi lacchè socialtraditori.
Noi comunisti ci battiamo per la democrazia del proletariato rivoluzionario che può essere ottenuta solo con l’abbattimento dello stato borghese, ma le masse lavoratrici oggi sono in uno stato di mobilitazione rivoluzionaria? No. Purtroppo, ancora, coltivano illusioni di democrazia borghese, ma questo significa che i comunisti devono astenersi da uno strumento della democrazia borghese? Farlo sarebbe fare un regalo alla borghesia.
Perciò noi comunisti invitiamo i lavoratori, le lavoratrici, i giovani e gli intellettuali onesti a votare NO il 21 ottobre.

Vota NO contro il presidenzialismo, contro Soru e i suoi lacchè socialtraditori

Coordinamento regionale del Movimento Costitutivo del Partito Comunista dei Lavoratori

mercoledì 10 ottobre 2007

PER UNO SCIOPERO GENERALE IN SARDEGNA

Appello ai sindacati, ai partiti e alle organizzazioni dei lavoratori


La classe lavoratrice sarda vive attualmente in uno stato disastroso e subisce continuamente attacchi ai suoi diritti da parte dei padroni e del loro rappresentante, il padrone Soru. Sono decine le fabbriche che rischiano di chiudere mandando a casa centinaia di lavoratori e i posti di lavoro minacciati. La lotta dei lavoratori della Legler, della Palmera, e di tutte le fabbriche che chiudono e licenziano, dimostra come sia necessario abbandonare la pratica della concertazione con i padroni e le istituzioni, dannosa per il movimento operaio e del tutto favorevole agli interessi del padronato: è necessario che si apra una vertenza generale che porti a lottare uniti tutti i lavoratori che rischiano di perdere il posto di lavoro, quelli precari, quelli a cui non viene rinnovato il contratto, e tutti quelli che subiscono pesanti attacchi ai loro diritti e alle loro condizioni di lavoro; i lavoratori chiedono che si ponga termine ai sacrifici, e che la crisi dei padroni incapaci e sfruttatori venga pagata dai padroni stessi, e non dai lavoratori. Mantenere separate le vertenze ha l’unico fine di indebolire il potenziale enorme delle lotte. Solo unificando queste si potranno unire le forza della classe operaia per tornare a vincere, per cacciare via Soru in nome di un governo dei lavoratori e per i lavoratori. Non serve fare pressione sull’industriale sfruttatore Soru o su qualsiasi altro esponente della borghesia: i lavoratori possono e devono contare unicamente sulle proprie forze. E’ perciò necessario che i lavoratori conquistino l’indipendenza dai governi, dalle giunte, dalle coalizioni e dai partiti dei padroni e che si promuova immediatamente uno sciopero generale sardo che unifichi tutte le vertenze in corso sui capisaldi della nazionalizzazione delle aziende in crisi e che licenziano, del controllo operaio sull’industria, del reintegro dei cassintegrati e dell’assunzione a tempo indeterminato dei lavoratori precari. I lavoratori hanno un potenziale di lotta enorme, devono solo prenderne la consapevolezza e unirsi.
Il Partito Comunista dei Lavoratori fa appello ai sindacati e ai partiti della sinistra radicale (Prc, Pdci, Sinistra Democratica) perché venga proclamato uno sciopero generale dei lavoratori della Sardegna, in difesa del posto di lavoro e dei propri diritti.
Le nostre parole d’ordine sono:
- Nazionalizzazione sotto controllo operaio delle aziende in crisi e che licenziano
- Controllo operaio sull’industria
- Assunzione a tempo indeterminato di tutti i lavoratori precari
- Via Soru e tutti i governi dei padroni, per un governo dei lavoratori per i lavoratori!


Coordinamento regionale della Sardegna del Partito Comunista dei Lavoratori

lunedì 8 ottobre 2007

Contro il presidenzialismo, per la democrazia proletaria

Il presidenzialismo è una forma di regime politico della borghesia contro il movimento operaio: è significativo che nella storia della lotta di classe in Europa, questa tipo di regime fu adottato per la prima volta in Francia dopo la sconfitta operaia nella rivoluzione del 1848. Il rafforzamento del potere esecutivo ha avuto ed ha la funzione di ostacolare quanto è più possibile l’iniziativa politica del proletariato, fino a negare la presenza nelle istituzioni rappresentative borghesi del partito indipendente del movimento operaio. Queste dinamiche sono riassunte nell’espressione bonapartismo adottata da Marx per caratterizzare il regime di Napoleone III.
La controriforma presidenzialista dello statuto regionale sardo è l’ennesimo servizio che l’accozzaglia di ceto politico di origine PCI e PSI fa alla borghesia sarda e più in generale alla borghesia dello stato italiano. La controriforma presidenzialista della regione sarda che i DS, il PRC e il PDCI sostengono per il referendum del 21 di ottobre prossimo non è, come scrive Francesco Cocco sul sito manifestosardo, “ l’abbandono di quel resta della tradizione del movimento operaio”, ma l’ennesima pugnalata di un ceto politico che ha fatto le sue fortune economiche tradendo permanentemente la classe salariata.
La posta in gioco non è quella di “difendere la democrazia autonomista”, ma quella riconquistare la piena indipendenza politica-teorica del movimento operaio. E la conquista dell’indipendenza non la si ottiene come propone sempre Francesco Cocco, con “una coalizione politica per sua natura trasversale”, ma ricompattando il movimento operaio saldando le lotte economiche con la rivendicazione della democrazia operaia.
Solo con la conquista dell’indipendenza politico-teorica potrà impedire che continui la strumentalizzazione del movimento operaio e delle masse popolari da parte di questa o quella frazione della borghesia e dei suoi agenti politici.
Il fallimento della controriforma presidenzialista della regione sarda che il Partito Comunista dei Lavoratori persegue, darebbe un duro colpo alla borghesia e ai suoi agenti politici nel movimento operaio ( i gruppi dirigenti sardi e continentali dei DS, del PRC e del PDCI). Questo è l’obiettivo da raggiungere e non quanto propone Francesco Cocco: “la salvaguardia delle condizioni elementari di agibilità politica della nostra democrazia autonomista”. La democrazia autonomista è l’armatura che ha ingabbiato, dal II dopoguerra, la classe operaia sarda e i suoi alleati. Togliatti, attaccando quei settori del partito che criticavano confusamente la sua linea , fu chiaro nell’obbligare il partito alla linea collaborazionista dell’ autonomismo democratico:
molti compagni facevano delle riserve alla politica comunista perché volevano dare all’autonomia un contenuto di classe, ma l’autonomia è una rivendicazione democratica: l’autonomia interessa tutti, poveri e ricchi, ed infatti ogni qualvolta si creano situazioni in cui una regione viene oppressa nell’ambito dello stato si crea una solidarietà tra le classi contro lo sfruttamento dello stato….., l’autonomia non deve essere legata al socialismo, ma solamente alla democratizzazione dell’isola”.
Togliatti è stato un politico volgare che è ricorso al più trito interclassismo collaborazionista meridionalista che Gramsci ha sottoposto alla critica e al disprezzo totali.
Non esistono forme intermedie di democrazia per quanto riguarda il contenuto di classe: o democrazia borghese o democrazia proletaria.


Coordinamento regionale della Sardegna del
Movimento Costitutivo per il Partito Comunista dei Lavoratori

giovedì 4 ottobre 2007

Volantinaggio contro l'accordo del 23 Luglio

I militanti della sezione di Olbia del mPCL terranno, l'8 Ottobre, un volantinaggio per il No all'accordo-bidone presso i cancelli della Technova e della Novafloor e discuteranno con gli operai delle due fabbriche.




domenica 30 settembre 2007

Sinistra democratica, tertium non datur

di Gian Franco Camboni (sez. Ozieri PCL) 28 agosto 2007

Sul sito aprileonline le militanti e i militanti di Sinistra democratica dibattono sul “socialismo nel XXI secolo”, muovendo dalla convinzione che devono essere superate “le storiche fratture del XX secolo tra comunisti e socialisti italiani”(aprileonline,31-7-07).
Le “storiche fratture tra comunisti e socialisti italiani” sono una delle manifestazioni della reazione nei partiti socialisti contro il tradimento, nell’agosto del 1914, dei deliberati dell’Internazionale operaia socialista sulla questione della guerra: la Risoluzione sul militarismo e i conflitti internazionali del congresso di Stoccarda (1907) e il Manifesto del congresso di Basilea (1912), entrambi portano le firme Lenin e Rosa Luxemburg.
In questi due testi veniva definita la politica proletaria contro la guerra per prevenirla oppure, qualora scopiasse, per trasformare il malcontento verso di essa in lotta per il rovesciamento dei propri governi e per la conquista del potere:
1) “il congresso conferma le risoluzioni dei precedenti congressi internazionali concernenti l’azione contro il militarismo e l’imperialismo e ricorda che l’azione contro il militarismo non può essere separata dall’azione complessiva contro il capitalismo” (Stoccarda);
2) “Queste guerre sono il risultato della concorrenza incessante provocata dagli armamenti del militarismo, che è uno degli strumenti principali della dominazione economica della borghesia e dell’asservimento economico e politico della classe operaia” ( Stoccarda);
3) “Le guerre sono favorite da pregiudizi nazionalistici che sono coltivati sistematicamente nell’interesse delle classi dominanti, al fine di distogliere la massa proletaria dai suoi doveri di classe e dai suoi doveri di solidarietà internazionale” ( Stoccarda);
4) “Se una guerra minaccia di scoppiare, è dovere della classe operaia nei paesi interessati, è dovere dei loro rappresentanti nei parlamenti fare tutti gli sforzi per impedire la guerra con tutti i mezzi che sembrano loro i più adatti e che variano naturalmente secondo l’acutezza della lotta delle classi e la situazione politica generale. Nel caso in cui la guerra nondimeno scoppiasse, hanno il dovere d’interporsi per farla cessare immediatamente e di utilizzare con tutte le loro forze la crisi economica e politica creata dalla guerra per mettere in agitazione gli strati più profondi e precipitare la caduta della dominazione capitalistica” (Stoccarda).
Nella Risoluzione di Basilea fu precisata con riferimenti storici la concezione dell’utilizzo della crisi “per precipitare la caduta della dominazione capitalista”:
“Che si ricordino che la guerra franco-tedesca ha provocato l’esplosione rivoluzionaria della Comune, che la guerra russo-giapponese ha messo in movimento le forze rivoluzionarie dei popoli della Russia; si ricordino che il malessere provocato dall’aumento delle spese militari e navali ha dato ai conflitti sociali in Inghilterra e nel continente una acutezza inabituale e scatenato scioperi formidabili”. I capi dei principali partiti dell’Internazionale furono al servizio delle proprie borghesie durante la guerra e, nell’immediato dopoguerra, fecero di tutto per ostacolare nei propri paesi il “precipitare della dominazione capitalista”, favorendo così la reazione e la vittoria del fascismo e del nazismo.
Le compagne e i compagni di Sinistra democratica che vogliono “superare le storiche fratture fra comunisti e socialisti italiani” non vedono che la pratica coerente con quanto approvato nei congressi di Stoccarda e Basilea e il loro tradimento non possono essere conciliati e superati. La prima nega il secondo: tertium non datur. O si sceglie la prima oppure si tradisce.
Quando Lenin, nel pieno del massacro imperialista, sintetizzò la politica proletaria nella formula “trasformare la guerra imperialista in guerra civile”, precisò il principio dell’utilizzazione della crisi prodotta dalla guerra per “precipitare la caduta della dominazione capitalista”. La politica proletaria sulla guerra imperialista si fondava sul contenuto specifico del militarismo capitalista che Rosa Luxemburg fissò nella relazione su militarismo e colonialismo al congresso internazionale di Parigi (1900): “questa politica del militarismo si è generalizzata e accentuata nella forma della politica mondiale dell’imperialismo. Non è più soltanto quell’armamento formidabile che costituisce la preparazione a una guerra possibile tra due o tre stati vicini; è un militarismo che fa correre costantemente a nuove conquista coloniali tutte le grandi nazioni del mondo; che trasforma gli Stati Uniti d’America in uno stato esclusivamente militarista, che fa lo stesso per l’Inghilterra; e mentre finora la Germania , quasi da sola, vedeva accrescersi incessantemente il suo esercito e la sua flotta, questa politica è diventata la parola d’ordine del mondo intero”. Sette anni dopo, il congresso di Stoccarda ribadì il nesso immanente e necessario tra militarismo e capitalismo per mettere in guardia dalle revisioni opportuniste, ricordando “che l’azione contro il militarismo non può essere separata dall’azione complessiva contro il capitalismo”.
In armonia con questa concezione maggioritaria nella Seconda Internazionale prima dell’agosto 1914, Lenin caratterizzò la fase imperialistica del capitalismo come “epoca delle guerre e delle rivoluzioni” e non esiste alcun dato politico del XX e del XXI che può smentirlo. Si tratta di qualcosa di non previsto nel primo testo programmatico del socialismo scientifico? No. Nel Manifesto del Partito Comunista viene messa in evidenza la dinamica esponenziale, propria delle crisi capitaliste:
“con quale mezzo la borghesia riesce a superare la crisi? Da un lato con la distruzione di una gran quantità di forze produttive; dall’altro, con le conquiste di nuovi mercati e lo sfruttamento più intenso di quelli esistenti. Con quale mezzo dunque?Preparando crisi più estese e più violente e diminuendo i mezzi per prevenire le crisi stesse”. L’internazionalizzazione della concorrenza capitalista produce necessariamente la guerra ma, anche, le rivoluzioni. Le guerre della borghesia imperialista non sono come le guerre rivoluzionarie della borghesia francese che assestarono alle potenze assolutiste feudali europee colpi tali dai quali non si ripresero. Le guerre imperialiste - con o senza la maschera ipocrita della Società delle Nazioni, ieri; con o senza la maschera ipocrita dell’ONU, oggi- sono un atto crudele contro la marcia dell’umanità verso superiori forme di vita.

Al contrario dei capi della Seconda Internazionale, Lenin armò il proletariato dell’unica politica realistica da adottare contro i governi che preparavano la guerra o contro quelli che la facevano: rovesciarli e istituire la dittatura del proletariato rivoluzionario. Sempre Lenin, nel pieno della guerra, si batté per applicare la politica militare proletaria verso l’esercito di leva:
“ La militarizzazione invade oggi tutta la vita sociale…..Che faranno contro di ciò le donne proletarie? Si accontenteranno di maledire ogni guerra e tutto ciò che è inerente alla guerra ed esigere il disarmo? Mai le donne di una classe rivoluzionaria accetteranno una funzione così vergognosa. Esse diranno ai loro bambini: ‘Presto tu sarai grande. Ti daranno un fucile: Prendilo e impara a maneggiare le armi. E’ una scienza necessaria ai proletari. Ma non per sparare sui tuoi fratelli, gli operai degli altri paesi, - come si fa nella guerra attuale, e come ti insegnano di fare i traditori del socialismo - ma per mettere fine allo sfruttamento , alla miseria e alle guerre non formulando pii desideri, ma riportando la vittoria sulla borghesia” ( Lenin, Il Programma militare della rivoluzione proletaria, 1916).I termini della contraddizione del militarismo nel suo rapporto con la politica proletaria furono fissati da F. Engels in polemica col socialismo piccolo borghese:
“L’ esercito è diventato fine precipuo dello stato e fine a se stesso; i popoli non esistono più se non nel fornire e nutrire i soldati. Il militarismo domina e divora l’Europa. Ma questo militarismo reca in sé anche il germe della propria rovina. La concorrenza reciproca dei singoli
stati li costringe da una parte ad impiegare ogni anno più denaro per esercito, marina, cannoni, ecc., e quindi ad affrettare sempre di più la rovina finanziaria; dall’altra a prendere sempre più sul serio il servizio militare obbligatorio per tutti e con ciò, in definitiva, a familiarizzare tutto il popolo con l’uso delle armi e a renderlo quindi capace di far valere ad un certo momento la sua
volontà di fronte ai signori della casta militare che esercitano il comando. E questo momento si presenta non appena la massa del popolo, operai delle campagne e delle città e contadini ha una sua volontà. A questo punto l’esercito dei principi si muta in un esercito di popolo; la macchina si rifiuta di servire, il militarismo soggiace alla dialettica del suo proprio sviluppo. Ciò che non poté compiere la democrazia borghese nel ’48, precisamente perché era borghese e non proletaria, cioè dare alle masse lavoratrici una volontà il cui contenuto corrisponda alla loro condizione di classe: questo sarà infallibilmente realizzato dal socialismo. E ciò significa far saltare in aria dall’interno il militarismo e, con esso, tutti gli eserciti permanenti”. I soviet dei soldati dell’ex esercito zarista, i soviet dei marinai di Kiel costituiscono una delle conferme della contraddizione esposta da Engels. Non è un caso che dopo l’impiego disastroso dell’esercito di leva in Vietnam, i circoli dirigenti della borghesia degli USA presero la decisione di adottare il modello di esercito professionale. Alla prova del fuoco, l’esercito professionale USA e la dottrina militare di Rumsfeld prendono colpi in Iraq e in Afghanistan; i soldati disertano, si suicidano (99 nel 2006, ventotto dei quali mentre erano in Iraq e Afhganistan) e tentano di suicidarsi (948 nel 2006), come avveniva anche nel precedente esercito di leva. Negli eserciti delle classi dominanti il fattore morale è inesistente; al contrario, è il motore delle armate rivoluzionarie come si può constatare nella storia delle rivoluzioni e delle guerre civili in Europa -dalla rivoluzione dei Paesi bassi all’Ottobre rosso. Proprio perché il fattore morale è il loro motore le armate rivoluzionarie sono state sempre invincibili.
Dopo che la socialdemocrazia e Stalin con le loro politiche sciagurate portarono alla vittoria del fascismo hitleriano, Trotsky fu l’unico a mettere in guardia il movimento operaio sulle probabilità maggiori di una guerra d’aggressione all’Urss. Trotsky previde che la casta usurpatrice del primo stato operaio - nazionalizzazione dell’industria, delle banche, dell’agricoltura, monopolio del commercio estero, pianificazione economica, repressione della ex classe dominante e politica estera di mobilitazione rivoluzionaria - si sarebbe alleata con uno dei due blocchi dell’imperialismo nel prossimo conflitto. La politica di Stalin, dallo sciagurato patto con Hitler alla svolta verso l’imperialismo inglese e statunitense, confermerà ampiamente quel pronostico. Ancora una volta la guerra era la “questione chiave della politica”(Trotsky).
Per il fondatore dell’Armata Rossa, come la prima guerra imperialista contribuì in modo decisivo allo tsunami rivoluzionario che dal suo epicentro petroburghese travolse tutta l’Europa imperialista, anche il secondo conflitto avrebbe accelerato i tempi per le esplosioni rivoluzionarie. Tre erano i compiti del proletariato rivoluzionario:
1) trasformare la guerra imperialista in guerra civile in entrambi i blocchi rivali, adottando le parole d’ordine specifiche per ogni situazione;
2) difendere l’Urss da qualsiasi aggressore e trasformare la guerra di difesa della patria socialista in rivoluzione politica antiburocratica;
3) porsi alla testa delle rivoluzioni anticoloniali in Asia, Africa e America latina per farle transcrescere nella rivoluzione permanente, “il solo programma vero per la liquidazione di ogni oppressione, sociale o nazionale”(Trotsky).
Trotsky e Jim Cannon difesero la politica militare proletaria per gli eserciti di leva di entrambi i blocchi imperialisti con la specifica tattica e specifiche parole d’ordine contro quelle minoranze della IV Internazionale che sostenevano un astratto disfattismo rivoluzionario, dannoso nella lotta per l’egemonia sia nei movimenti armati degli operai e dei contadini in Francia, in Italia, nei Balcani ed in Grecia contro l’occupazione nazista e i regimi preesistenti, sia nei movimenti rivoluzionari anticoloniali. La casta usurpatrice - conoscendo le sue doti di stratega rivoluzionario e condottiero di eserciti rivoluzionari nella più grande guerra civile conosciuta finora ed essendo consapevole della funzione che Trotsky e la IV Internazionale avrebbero potuto avere nelle esplosioni rivoluzionarie - migliorò la tattica dell’assassinio che riuscì, disgraziatamente per le masse oppresse del mondo. Il socialismo scientifico, al contrario di quanto affermano i mistificatori, conosce ed è pienamente consapevole del ruolo che ricoprono gli individui nella storia umana. La teoria della necessità del partito deriva da questa conoscenza e da questa consapevolezza.
Le “fratture storiche fra comunisti e socialisti italiani,” che i firmatari di “Sinistra democratica si apra verso l’innovazione del pensiero”desiderano superare, sono insuperabili, ineliminabili. Qualora in qualsiasi parte del mondo le masse rivoluzionarie preso il potere, daranno le lezioni che si meritano ai controrivoluzionari, i traditori del socialismo difenderanno la controrivoluzione come hanno fatto sempre.
Allora “quale socialismo nel XXI secolo”, quello di “Nenni, Brandt, Saragat, Pertini, Lina Merlin” ( Gianluca Scroccu-aprileonline-23 agosto 2007), oppure quello di Lenin, Rosa Luxemburg e Trotsky?
Un’ultima osservazione. Il compagno Giuliano Garavini auspica un’iniziativa politica al fine di “evitare che si ripeta il rito delle due piazze”(aprileonline, 11-8-2007). Dia l’esempio e venga nella piazza della sinistra che non tradisce, così si risolve questo problema.
All’opposizione contro il governo Prodi o al governo con Prodi. Tertium non datur

martedì 18 settembre 2007

BASTA SACRIFICI! NO ALL’ACCORDO DEL 23 LUGLIO

Il pronunciamento F.I.O.M. contro l'accordo del 23 luglio su pensioni e precariato apre una breccia preziosa.
Sono vent'anni che tutti i governi, di centro-destra e di centro-sinistra, chiedono sacrifici ai lavoratori, colpendo in primo luogo la previdenza pubblica e le condizoni del lavoro. Il risultato è che i salari dei lavoratori sono in picchiata, le loro pensioni future sono colpite, milioni di giovani supersfruttati non sanno come campare. Mentre nel solo 2005 le prime venti imprese italiane hanno guadagnato 41milardi di profitti netti (largamente esentasse). Uno scandalo.
Ora il governo Prodi, sostenuto dalle sinistre cosiddette "radicali" (sic), vorrebbe imporre un innalzamento dell'età pensionabile addirittura maggiore di quello predisposto da Berlusconi e la salvaguardia della legge 30 ( Maroni), contro cui hanno lottato in passato milioni di lavoratori. E' vergognoso che le burocrazie sindacali CGIL-CISL-UIL abbiano siglato quest'accordo contro gli operai e contro i giovani, ad esclusivo vantaggio degli industriali e dei banchieri, a cui l'ultima finanziaria votata da tutte le sinistre ha già regalato 5 miliardi di euro (10 a regime).
Cosa aspettano le sinistre ministeriali, oggi "critiche", a rompere con un governo confindustriale? Altro che piccoli emendamenti letterari all'accordo come foglia di fico per votarlo, conservare le poltrone e tenersi amico Epifani! La politica degli industriali non va emendata, va respinta. Ai sacrifici bisogna dire "BASTA"!

Invitiamo tutti i lavoratori e lavoratrici a votare NO all'accordo Prodi-Epifani-Montezemolo in ogni fabbrica e luogo di lavoro.

Formiamo ovunque comitati unitari per il NO all'accordo e avviamo una campagna capillare di controinformazione e denuncia!
E' necessaria una grande assemblea nazionale di delegati sindacali, democraticamente eletti nei luoghi di lavoro, che promuova lo sciopero generale e rompa definitivamente con la lunga stagione della concertazione e segni una svolta di fondo del movimento operaio.
Proponiamo che dopo 20 anni di negoziati a perdere sulla piattaforma del padronato (e sulla pelle dei lavoratori), si apra una vertenza generale di lotta che unisca lavoratori, precari, disoccupati sulle loro rivendicazioni ed esigenze, contro le classi dominanti e i loro governi.

C'è la forza per tornare a vincere, ma alla sola condizione che il mondo del lavoro ritrovi l'indipendenza delle proprie ragioni, ribellandosi alla dittatura degli industriali e dei banchieri.

Il Partito Comunista dei Lavoratori, che terrà a gennaio il proprio congresso fondativo, si pone al servizio di questa causa.

Movimento per il Partito Comunista dei Lavoratori
Direzione nazionale – via Marco Aurelio 7 – 20127 Milano – tel.388/6184060

info@pclavoratori.it

18 Luglio 2007

domenica 16 settembre 2007

Occupare la Palmera!

Lunedì 17 i militanti delle sezioni provinciali di Olbia e di Sassari del Partito Comunista dei Lavoratori parteciperanno alla manifestazione dei lavoratori della Palmera presso il nuovo ospedale di Olbia. nel corso della manifestazione sarà distribuito questo volantino:


SOLO L’OCCUPAZIONE DELLA FABBRICA PUO’ SALVARE IL POSTO DI LAVORO E SCONFIGGERE IL PADRONE

I padroni speculatori hanno preso la definitiva decisione, com’era prevedibile, di chiudere la storica fabbrica olbiese per dare il via alla loro speculazione immobiliare, con l’intenzione di mandare a casa i lavoratori della Palmera.

Ogni proposta di un nuovo imprenditore disposto ad acquistare la fabbrica è una bufala per i lavoratori: se fosse vero che un nuovo padrone prendesse in mano lo stabilimento, lo farebbe al prezzo di pesanti licenziamenti. In ogni caso un nuovo imprenditore non è quello che vogliono i Palau, interessati a vendere i preziosi terreni, e ogni proposta del genere ha come unico scopo quello di distogliere i lavoratori dalla lotta.

Da ciò risulta evidente che i lavoratori non possono contare né sul “rispetto degli accordi” da parte dei padroni (il cui unico scopo è quello di realizzare cospicui profitti alle spalle dei lavoratori), né sulla speranza di un nuovo imprenditore, né tantomeno sull’aiuto dei vari Soru e Giovannelli e delle istituzioni, garanti della proprietà del padrone.

I lavoratori, per non perdere il posto di lavoro e per vincere la loro lotta, devono contare solamente su loro stessi.

L’unica forma di lotta possibile e realistica è quella dell’occupazione della fabbrica, prima che i Palau procedano con lo smantellamento dell’azienda portando via i macchinari. E’ soltanto questa forma di lotta che può arrestare gli attacchi del padrone e dare credibilità alla rivendicazione della nazionalizzazione sotto controllo operaio della Palmera, l’unica soluzione in grado di salvare il posto di lavoro.

L’esperienza della crisi della Palmera ha dimostrato come la pratica della concertazione, portata avanti dalle dirigenze sindacali confederali, sia totalmente fallimentare per i lavoratori, e unicamente vantaggiosa per i padroni: perciò chiediamo ai sindacati di abbandonare l’imbroglio della concertazione, e procedere all’occupazione, l’unica lotta in grado di evitare la perdita del lavoro di più di 200 lavoratori.

L’occupazione della Palmera, inoltre, sarebbe un esempio per i lavoratori delle altre fabbriche sarde in crisi, il primo passo per unificare le lotte: i lavoratori hanno una forza maggiore rispetto a quella del padrone, devono solo unire le forze ed essere consapevoli che solo loro stessi possono salvare il posto di lavoro.

Il Partito Comunista dei Lavoratori fa appello all’occupazione della Palmera e alla mobilitazione di tutti i lavoratori di Olbia affinché la fabbrica non venga chiusa.

Movimento per il

PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

lunedì 10 settembre 2007

Lettera aperta a Michele Carrus, segretario CGIL-Gallura

La lotta delle lavoratrici e dei lavoratori della Palmera si può vincere solo se si ha fiducia nelle lavoratrici e nei lavoratori stessi. Durante le distribuzioni dei nostri volantini all’ingresso della fabbrica abbiamo constatato che l’intelligenza politica e sociale delle lavoratrici e dei lavoratori determinava la loro volontà di lotta contro il padrone parassita e inetto che vuole disfarsi della fabbrica.
Questa volontà è rafforzata dopo aver provato il disprezzo padronale per gli accordi sindacali. I padroni il cui fine è il profitto ragionano sui rapporti di forza e non sulle “regole democratiche”. Ma i rapporti di forza sono favorevoli al padrone quando c’è la passività e la rassegnazione dei lavoratori. Ma questo non è il caso della Palmera né della classe lavoratrice sarda né di quella internazionale (si pensi alla lotta in corso nella fabbrica AutoVAZ, a Togliattigrad, per portare il salario mensile attuale di 7000 a 25000 rubli. L’indomani dello sciopero d’avvertimento del 1 agosto scorso, la direzione ha distribuito una reprimenda a 170 lavoratori accusandoli di aver violato il codice del lavoro).
Non è vero che la sorte della Palmera dipende da questo o quell’altro imprenditore, ma dalla compattezza e la disciplina dei lavoratori e dalla fedeltà dei sindacalisti alla causa dei lavoratori.
L’unica forma di lotta realistica è l’occupazione della fabbrica e la mobilitazione delle masse olbiesi.
Michele Carrus se deve avere fiducia nelle lavoratrici e lavoratori della Palmera, raccoglierne la volontà di lotta.
La lotta della Palmera dimostra quanto sia fuorviante l’etichetta di Olbia come città berlusconiana. Berlusconiana è la minoranza sociale dominante ad Olbia e lo stuolo di parassiti lacchè che si nutrono delle bricciole che quella minoranza lascia cadere dal tavolo della “grande abbuffata”. Il movimento operaio olbiese ha una storia gloriosa. Quando Olbia si chiamava Terranova, tra il 2 e il 3 dicembre 1922 per debellare il movimento operaio di questa piccola città…..da Civitavecchia partirono duecento fascisti armati di moschetto, di bombe, di due mitragliatrici”( Emilio Lussu).
Noi marxisti siamo consapevoli del ruolo che gli individui ricoprono negli eventi storici, per questo ragione il destino delle lavoratrici e lavoratori della Palmera dipende dalle scelte che farà Michele Carrus: o la lotta e l’occupazione della fabbrica o la sconfitta di 200 lavoratori, della CGIL e di tutto il movimento operaio sardo.

Movimento per il Partito Comunista dei Lavoratori - Sezioni provinciali di Sassari Olbia

Risposta al Manifestosardo

L’unica, autentica e vera preoccupazione dei firmatari di Idee contro i signori della guerra(1 settembre 2007) è di impedire che si coaguli un’opposizione di sinistra, anche, contro l’iniziativa di Soru per tenere il prossimo incontro del G8 in Sardegna. Nel nostro documento intitolato Come impedire l’organizzazione del G8 in Sardegna (20 agosto 2007) abbiamo esposto proposte organizzative e politiche di lotta contro l’iniziativa del miliardario presidente la giunta regionale di centrosinistra:
“-una struttura il più possibile capillare fatta di comitati nei luoghi di lavoro( privilegiando le fabbriche dove sono già in corso delle vertenze), nei sindacati, fra le RSU, nelle scuole e nei comuni;
-un programma di agitazione e rivendicazione politico-economica che ci aiuti a legare la condizione di oppressione economica nei luoghi di lavoro ( in particolare dei giovani) con le rivendicazioni generali. Si deve partire, ad esempio, con una presenza nelle fabbriche con sit-in davanti ai cancelli per discutere con i lavoratori dei loro problemi, proporre iniziative comuni di lotta, raccogliere sottoscrizioni, spiegare la necessità di impedire il G8”.
I firmatari di Idee contro i signori della guerra, al contrario, propongono:“Dobbiamo però rifiutare la logica dello scontro e contrapporre al G8 la forza delle idee e dei movimenti:proponiamo perciò la costruzione di un forum globale internazionale da svolgersi in Sardegna negli stessi giorni del G8, che contrapponga la forza pacifica delle idee e dei movimenti a quella dei signori della guerra, del petrolio, delle armi e della speculazione”.
Mentre noi ci opponiamo al regalo che verrà fatto agli speculatori, le centinaia di milioni di euro di cui ha parlato il sindaco di La Maddalena , Manifestosardo, Raffaello Ugo( Cagliari social forum), Franco Uda( Arci Sardegna), Cristina Ibba(PRC), Vincenzo A. Romano(PDCI), e Mauro Nieddu non si oppongono ai regali agli speculatori. Questa è la sostanza politica di Idee contro i Signori della guerra. Se il G8 si farà, siamo certi che verranno premiati con finanziamenti regionali per il “ forum globale internazionale” dove si potranno pavoneggiare e celebrare le loro liturgie da preti rossi.
L’idealismo reazionario della piccola borghesia di “sinistra” considera le idee prive di qualsiasi determinazione materiale. Le idee sono determinazioni della materia vivente che a loro volta determinano i comportamenti della materia vivente. La borghesia profonde risorse per alimentare e diffondere l’idealismo piccolo-borghese ad uso e consumo del popolino al fine di far credere che “ un altro mondo è possibile con la sola forza delle idee”. Gli idealisti piccolo borghesi vogliono nascondere ciò che evidente quando si usa correttamente il lume naturale: le idee delle classi dominanti hanno tutti gli strumenti per imporsi ed essere dominanti. Le idee per la trasformazione del mondo, allo stato delle cose, di strumenti ne hanno pochi. Il principale strumento delle idee per trasformare il mondo è la classe lavoratrice: i lavoratori, le lavoratrici, le casalinghe, i pensionati, i giovani e gli scienziati e artisti indipendenti e disinteressati e non gli artisti da ente turistico con le loro stupidaggini sulla “sardità”. Ma la classe lavoratrice va organizzata in modo indipendente e i firmatari di Idee contro i signori della guerra si rifiutano di farlo. L’idealista piccolo borghese non arriva a capire che la base delle idee delle classi dominanti è nello sfruttamento esercitato nei luoghi di lavoro. L’idealista piccol9o borghese non ha un pensiero dialettico vede la realtà a compartimenti stagno, non coglie le interconnessioni dinamiche degli eventi. A causa di questo vuoto concettuale non arrivano a capire che la lotta alla Legler, alla Palmera, nella formazione professionale ecc. è la stessa lotta contro le idee dei signori della guerra.
L’idealista piccolo borghese si emoziona con la retorica roboante, i nostri firmatari hanno tirato in ballo i nuovi Cavalieri dell’Apocalisse e i loro scudieri . Siamo certi che quando i nostri firmatari scopriranno che per le masse contadine dell’Europa feudale, guidate dagli eretici, il mito dell’Apocalisse significava la resa dei conti finale con l’aristocrazia e i l suo braccio intellettuale, la chiesa cattolica, ricercheranno figure retoriche rassicuranti per mascherare il loro servilismo. Abbasso i preti rossi.

Movimento per il Partito Comunista dei Lavoratori - Sezioni provinciali di Sassari e di Olbia